Mentre si cerca faticosamente un accordo per il cessate il fuoco e avviare trattative che possano portare a un accordo di coesistenza pacifica fra israeliani e palestinesi, torna in primo piano lo slogan di un unico Stato “dal fiume al mare”, dal Giordano all’Adriatico. Renzo Fracalossi ragiona attorno a codesto progetto.
Le parole non sono mai asettiche e neutre, soprattutto in momenti difficili e complessi come quelli che stiamo vivendo. Ognuno può liberamente interpretarle come meglio crede, ma ciò che rimane come punto fermo e il significato percepito dalla comunità in ascolto. Ripetere slogan senza conoscerne la profondità dei significati, consente alle propagande di stabilire, a priori, cosa vogliono dire quelle parole.
Durante le imponenti manifestazioni di piazza, largamente animate da sentimenti umanitari e dall’urgenza di porre fine a quella tragedia che – comunque vada – segnerà pesantemente il tempo a venire, è risuonato con preoccupante frequenza un ben noto slogan: “From the river at the sea, Palestine will be free” (Palestina libera, dal fiume al mare).
Sono parole tutt’altro che normali. In esse infatti, si raccoglie, non solo una consolidata aspirazione nazionalista palestinese, ma anche il testo dello statuto di Hamas, che prevede (art.20 dello statuto rivisto nel 2017) il rifiuto di “qualsiasi alternativa alla piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare”.
Questo concetto sembra vedere la luce, molto probabilmente, dopo la sconfitta araba nella cosiddetta “guerra dei sei giorni” (1967) e come affermazione appunto di un crescente e nuovo nazionalismo palestinese, capace di scavalcare anche le culture politiche del mondo arabo che, è bene ricordarlo, non si è mai del tutto identificato con quel nazionalismo: né allora, né oggi. In breve, il concetto “dal fiume al mare” si trasforma in slogan che viene ad assumere, non tanto e non solo una dimensione irredentista, quanto soprattutto quella di una consequenzialità ineluttabile fra il futuro palestinese e la cancellazione di Israele. Lo spazio dell’uno esclude, secondo questo slogan, quello dell’altro e comporta quindi la negazione dello “Stato degli ebrei”, nato dalle teorie di Theodor Herzl quale unica possibile salvezza, davanti all’acuirsi delle persecuzioni antisemite che lordano i secoli dell’occidente.
La frase infatti, se letta senza le lenti delle ideologie contrapposte, non evidenzia affatto la creazione di un ipotetico Stato palestinese, quanto piuttosto l’estinzione irrinunciabile di quello esistente. In altri termini, si chiede, con assoluta chiarezza, la materiale distruzione dell’“entità sionista” nata nel 1948, quale condizione irrinunciabile per dare sostanza ad un prossimo Stato dei palestinesi.
Davanti a tutto questo è palese come le responsabilità, peraltro innegabili e terribili dell’attuale governo israeliano nel dramma umanitario che si consuma, abbiano una rilevanza collaterale. Hamas infatti, va ribadito, nega, ben prima del 7 ottobre 2023, la possibilità di esistenza di “qualsiasi alternativa alla piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare.”
Dietro quello slogan, si cela quindi un perverso meccanismo ideologico che contrappone al “male” assoluto incarnato da Israele e che va estirpato definitivamente, il “bene”, ancora tutto da costruire, rappresentato da un nuovo Stato chiamato a governare tutta la regione palestinese, individuando la stessa nei vecchi possedimenti ottomani e nel territorio sottoposto al “Mandato” britannico.
Ma questa contrapposizione manichea rivela anche una contraddizione evidente, perché, nell’invocare un dominio sull’intera geografia medio-orientale, nega con essa l’esistenza anche di Stati come il Libano, la Giordania e la Siria, nati, come Israele, dalle ceneri del colonialismo europeo in Palestina. Infine, una Palestina “libera dal fiume al mare”, nell’ipotetica irrealtà della sparizione di Israele, non rappresenterebbe comunque la soluzione dell’enorme groviglio di problemi, spesso intestini alla cultura mussulmana e che riguardano quell’area. A loro volta, essi sono parte infatti di una più ampia, lunga ed irrisolta contrapposizione fra l’occidente e l’islam; una contrapposizione che attraversa la storia e che – è utile sottolinearlo – la distruzione di Israele non farebbe altro che acuire.

