Ciclicamente e spesso in concomitanza con la “Festa della Liberazione”, si rianimano sprazzi di un dibattito decisamente originale, quanto complesso e che porta in superficie il concetto di “sionismo”. Usato, spesso a sproposito, come termine dispregiativo atto ad indicare un supposto disegno “imperialista” israeliano, proprio di quel concetto pare, almeno a chi scrive, che talora sfuggano ai più i contorni reali.
Premesso che nessun punto di vista, sinceramente estraneo a pregiudizi ideologici, può confutare il senso e l’esistenza dello “Stato degli Ebrei”, così come non può contestare la forma democratica e parlamentare dello stesso, non va dimenticato come l’attuale Stato di Israele sia debitore di larga parte della sua storia proprio all’avvento del sionismo.
Il termine “sionismo” deriva anzitutto dal Monte Sinài, primo nucleo originario della città di Gerusalemme. Il vocabolo pare dovuto all’editore ebreo austriaco Nathan Birnbaum nel 1890 e viene ripreso, pochi anni dopo, dal giornalista ebreo-austroungarico Theodor Herzl, inviato a Parigi nel 1895 per seguire il tragico caso Dreyfuss, esploso l’anno precedente. Quell’esperienza, segnata dalle stigmate di un diffuso antisemitismo, porta Herzl ad elaborare una teoria di stampo nazionalista ebraico, in un’epoca in cui il nazionalismo si affaccia al proscenio della storia contemporanea, rompendo schemi e vecchie strutture politico-ideologiche e riassumendo il suo percorso nel motto “un popolo, una nazione”. Il tema non è peraltro nuovo dentro il pensiero ebraico europeo.
Dal “territorialismo” di Israel Zangwill, che domanda il riconoscimento di una indentità politica per gli ebrei pur mantenendo questi dentro le geografie tradizionali degli insediamenti nel vecchio continente, all’ “autonomismo” che chiede appunto autonomia politica per gli ebrei, al pari di altre etnie dentro il vasto impero austroungarico, piuttosto che nelle terre di Germania o nei possedimenti dello zar. Ma non solo. Per gli ebrei ortodossi il “regno di Israele” – e quindi la sua traduzione in uno Stato materiale e ad esso corrispondente – potrà esserci solo con l’avvento del Messia e quindi ogni proposta di ritorno in Palestina va rifiutata categoricamente. Per i “riformati” invece, gli ebrei sono solo una comunità religiosa e non etnica e come tale non necessitano di una patria e di uno Stato, mentre per il “Bund”, di ispirazione socialista, solo la lotta contro l’ingiustizia sociale e per l’uguaglianza dei diritti rappresenta l’unica modalità possibile per realizzare il sogno della “Terra di Sion”. Infine, gli ebrei di cultura marxista, per i quali il progetto egualitario universale è l’unico adatto a garantire un posto specifico per gli ebrei del mondo.
Come si può osservare si tratta di un orizzonte complesso, vasto e composito e sul quale il sionismo si innesta con un certo grado di rapidità ed anche sulla base di alcune premesse. Infatti, già prima dell’elaborazione filosofica e politica di Herzl, alcuni segnali di una nascente tensione nazionalista si sono avvertiti attraverso la fondazione (1860) dell’ “Alleanza Israelitica Universale” voluta da Adolphe Cremieux in Francia; la costruzione di un piccolo borgo ebraico a Gerusalemme appoggiata da filantropo ebreo-inglese Sir Moses Montefiore (1861); la costituzione della prima scuola ebraica di agraria “Mikveh Israel” (1870) e la composizione dell’ “Hatikvah” (1878), un inno che poi diventerà sionista prima e dello Stato di Israele poi. E ancora. Nel 1882, Edmond James Rotschild finanzia un primo sito ebraico in Palestina, l’attuale “Rishon LeZion”, seguito a ruota dal ricco imprenditore ebreo-tedesco Maurice de Hirsch che sostiene economicamente altri insediamenti.
Herzl si convince, durante il dibattimento processuale a carico del capitano Dreyfuss, di come il possibile processo di assimilazione degli ebrei dentro i vari Stati europei che si stanno componendo nel magma della storia del XIX secolo, non possa comunque portare ad una piena integrazione ed accettazione dell’ebreo, dentro le varie comunità nazionali nelle quali egli vive. Le comunità ebraiche hanno quindi urgente necessità di un proprio Stato nazionale, dove vivere in sicurezza e lontane dai pericoli dell’antisemitismo. Si tratta dell’essenza del sionismo, ovvero di un pensiero che si volge a tutela dell’identità e della sopravvivenza della presenza ebraica nella storia.
Il ragionamento di Herzl prende anche spunto dalla consapevolezza, nel poliedrico e policromo panorama delle rappresentanze plurietniche che compongono il Parlamento austrougarico, di quanto solo gli ebrei non abbiano trovato alcuna forma di rappresentatività parlamentare e politica, per l’impossibilità di fare riferimento ad un proprio “cuore” nazionale e quindi ad un concetto di patria e ad una prospettiva unitaria. È pertanto ineludibile dar vita ad un “focolare nazionale ebraico” in Palestina cioè nella biblica terra di Sion, garantito dal diritto pubblico, anche quale obiettivo per lo sviluppo di una coscienza nazionale, sia nel singolo come nelle varie comunità della Diaspora europea.
Nascono così le profetiche pagine del volume “Der Judenstaat” (“Lo Stato degli ebrei”), che Herzl pubblica nel 1896 e che, rapidamente tradotto in molte lingue, ottiene una straordinaria diffusione. In quelle righe, di natura evidentemente laica, risiede lo spirito di un vero nazionalismo ebraico, con l’obiettivo di affermare il diritto all’autodeterminazione dei figli di Israele dentro un loro Stato, corrispondente circa ai territori della Cananea, della Terra Santa e della Palestina.
Dopo la lunga dominazione ottomana, conclusasi con la sconfitta dei turchi alleati agli imperi centrali nella I guerra mondiale, il territorio della Palestina e della Transgiordania viene sottoposto ad un “Mandato” della Società delle Nazioni che affida quell’area alla Gran Bretagna, lasciando alla Francia il “Mandato” sulle terre della confinante Siria.
Per molti secoli quelle arse alture sono state abitate anche da una piccola porzione di popolazione ebraica che, alla fine del XIX secolo, inizia ad aumentare progressivamente, sulla base di spinte migratorie alimentate appunto dal sogno di Theodor Herzl. Tale flusso prende avvio a valle del primo congresso mondiale sionista, tenutosi a Basilea, in Svizzera nel 1897 e che si chiude approvando un programma politico centrato sulla scelta insediativa in Medio Oriente, così riassunta “Il sionismo persegue per il popolo ebraico una patria in Palestina, pubblicamente riconosciuta e legalmentegarantita”. Da quel momento in poi la questione di un “focolare ebraico” assume sempre più consistenza dentro la politica internazionale, al punto che nel 1917 il governo inglese, che amministra le geografie della Palestina, si fa promotore di un disegno di stanziamento ebraico in quei luoghi, attraverso la cosiddetta “Dichiarazione Balfour”.
Il movimento sionista diventa così il fulcro di una massiccia spinta migratoria proveniente soprattutto dall’ Europa centrorientale e che porta ad una rapida lievitazione della popolazione ebraica: dalle 80.000 unità circa del 1918, alle 175.000 del 1931 ed alle oltre 400.000 del 1936. Ovviamente non si tratta di un processo indolore.
Lo scontro con la realtà araba presente sul territorio del “Mandato” britannico si fa via via crescente e sfocia in moti violenti nel 1929 e soprattutto in quasi quattro anni di scontri, conosciuti come “grande rivolta araba”. Tutto questo impone agli inglesi l’adozione di una politica di netta divergenza dai propositi della “Dichiarazione Balfour”, con una forte limitazione della vendita di terreni agli ebrei, con pesanti vincoli all’immigrazione ebraica dall’Europa e con il ripetuto respingimento di navi di profughi, spesso in fuga dalla persecuzione nazifascista.
I “Chaluzim”, ovvero i pionieri della migrazione ebraica, non portano solo forza-lavoro, tecniche evolute e nuove imprenditorialità, ma anche le loro famiglie, i loro valori, la loro cultura e soprattutto l’idea europea di “nazione”, sostituendo, al contempo, la lingua ebraica a quella yiddish o a quelle importate dai singoli immigrati.Infine, nel rispetto del dettato dell’art. 4 del “Mandato britannico” e con l’assenso del movimento sionista, nel 1923 viene costituita l’“Agenzia Ebraica”, quale organo di autogoverno in grado di gestire direttamente scuole, ospedali ed infrastrutture e quale primo embrione del futuro “Stato degli ebrei”, che realizza il sogno romantico di Theodor Herzl.