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    Opinioni&Confronti

    Lasciate l’acqua dov’è

    Marco ZulbertiBy Marco Zulberti25 Luglio 2022Nessun commento7 Minuti di lettura
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    Sono giorni torridi. I ghiacciai si sciolgono, i fiumi boccheggiano, le coltivazioni del fondovalle si inaridiscono. A più riprese, gli amministratori della pianura padana hanno chiesto al Trentino di rilasciare maggiore quantità di acqua dai bacini artificiali alzati nell’ultimo secolo. L’economista Marco Zulberti, originario della valle del Chiese ma che vive in Lombardia, scrive che “no”, l’acqua va lasciata in montagna e la pianura deve cominciare a risparmiarla. È un punto di vista controcorrente che vale la pena di leggere. 

    Più l’acqua corre veloce verso il basso più la montagna si desertifica. Più canali, bacini artificiali, cementificazioni dei greti e delle rive dei torrenti e dei fiumi si compiono, più l’acqua scorre e corre via dalla montagna svuotandola, dopo che si era riempita nei secoli se non nei millenni. Il ciclo dell’acqua non è quello semplice e superficiale della nevicata e della pioggia, scende l’acqua nei torrenti e nei fiumi e arriva al mare in un tempo breve. La vera acqua impregna come una spugna tutte le montagne che si sono riempite lentamente nei secoli. Il ciclo dell’acqua è un ciclo lentissimo, secolare di accumulo e poi di discesa lenta, se non lentissima dalle mille sorgenti nei greti dei fiumi. L’acqua poi esce lentamente in migliaia di piccole esili sorgenti. Ed esce per decenni anche se non piove come le famose fonti “sorgive lombarde” del Milanese, Lodi e Pavia, dove l’erba era verde tutto l’anno anche quando nelle regioni vicine era tutto arso. Ne parlano i libri di storia medievale e faceva la ricchezza di Milano. Le montagne di granito non sono enormi sassi compatti in un blocco unico ma ci sono millenni di terra che li ha avvolti. Le montagne sono state scavate, penetrate, con fiumi e laghi sotterranei che non sappiamo immaginare. Questo è il concetto che non capiscono quelli della Coldiretti e nemmeno del concetto di consumo a rubinetto che ingenuamente vorrebbe la politica. In montagna l’acqua di superficie è solo il 2%. Più superfici incanaliamo e cementifichiamo, più bacini idroelettrici costruiamo nei pressi dei ghiacciai, più i ghiacciai si desertificheranno. 

    Per cui se non si comprende questo concetto che dipende dalla velocità con cui l’acqua viene rubata alla montagna, estratta come il migliore dei minerali, e vale più dell’oro, distruggendo il mantenimento di questo millenario deposito vitale, chi consuma acqua non lo capisce che non si può sfruttare a questa velocità. 

    Il fiume Chiese nella piana di Darzo al confine fra Trentino e Lombardia

    Ripeto: più canali, più dighe, più i fiumi vengono cementati e più la montagna si desertifica, perché tutte le sorgenti deviate in questi cento anni verso le dighe con chilometri di briglie hanno inaridito intere enormi aree.

    La politica con i suoi i tecnici superficiali e con i suoi contadini idrovori sulla base di questo concetto e in concomitanza con il surriscaldamento globale non fanno che accelerare i consumi delle riserve vitali, diventando auto-distruttivi perché sostanzialmente sono solo dei giganteschi pericolosi consumatori della futura vita in montagna. No ai prelievi, pertanto. No ai prelievi. E queste cose le raccontano chi la montagna la conosce fin nel suo angolo più “umido”.

    E se l’acqua corre via e in qualche periodo la siccità persiste ancora di più è importante che l’acqua venga rallentata in montagna dove più bassa è l’evaporazione. Non accelerata. È un errore veramente assurdo quello che si sta compiendo da un secolo sul fiume Chiese. Violentato alle sorgenti dalle opere idroelettriche, imbrattato lungo il corso, estratto dal Lago di Idro, prosciugato prima dalle ferriere della val Sabbia e poi dall’agricoltura intensiva. 

    Accelerare il percorso dell’acqua è un errore che si è compiuto anche in altre parti del mondo. In Arabia Saudita è successo questo. Per combattere una desertificazione che avanzava sono arrivati tecnici e pseudo esperti che hanno bucano la terra con migliaia di pozzi per creare ampi giardini e campi circolari. Fu uno spettacolo. Appariva un miracolo. Ma solo per qualche anno. Uno alla volta tutti i pozzi si sono esauriti e il deserto è diventato ancora più arido. Da quel momento il governo dell’Arabia Saudita ha capito che quella regione è spacciata e tutte le guerre tra Irak, Iran, Siria, Giordania, Libano e Yemen sono frutto di questo trasferimento di masse umane verso il Mediterraneo. Ma la nostra informazione non sa informare. Ci ha provato Oriana Fallacci a scrivere di queste cose trent’anni fa ma poi fu asfaltata da compagini politiche ideologiche che ancora oggi non capiscono. Dobbiamo invece imparare da Israele che ha sviluppato grazie al KKR il sistema a scorrimento lento a goccia ed oggi fornisce alla Giordania il 50% dell’acqua di cui ha bisogno.

    Le colture idrovore come il mais vanno limitate se non vietate. Questo devono capire la Coldiretti e i ministri del governo a lei affini. Nel passato mai i nostri vecchi hanno coltivato il mais in pianura. Perché la polenta gialla è un alimento della montagna trentina dell’Alto Chiese e non della pianura bresciana? Perché il mais in pianura è giunto innaturalmente da poco. Un motivo a cui nessuno pensa.

    Per comprendere il circolo secolare dell’acqua ci vuole una visione profonda, informata, fatta di vita e pratica della montagna e visione geologica e storica degli eventi. I consumatori e i coltivatori intensivi e assetati di acqua e di moneta rimarranno senza acqua e senza soldi.

    Perché nei millenni le malghe sono diventate un bene preziosissimo per gli allevamenti? Perché le mucche in montagna trovavano cibo e acqua in modo naturale. Andiamo ad osservare nell’Alta Valle del Chiese le sterminate pianure e altipiani che si trovano tra il lago di Idro, Passo Crocedomini e la val di Daone. Verdissime anche in questo periodo di siccità ma quasi tutte crollate e diventate tane per lupi e orsi. L’agricoltura non può diventare industriale perché troppo legata al ciclo della natura. Situazioni simili sono avvenute anche in Australia e Stati Uniti dove uno sfruttamento troppo intensivo ha inaridito molte zone prima verdi. Questo è il messaggio che Coldiretti e il ministro Gelmini devono capire. E nemmeno il turismo che vende il paesaggio ne è esente. Sul Lago di Garda non ci possono stare 50 milioni di turisti. Non ci possono essere le masse. 

    Si alzino i prezzi. Si limiti il numero delle ville, le speculazioni immobiliari, si facciano i singoli depuratori per ogni abitato a minimo impatto come nell’alto Chiese. Cara Coldiretti e ministri Gelmini e Cingolani: si deve comprendere il senso del limite e smetterla di parlare di “boost” finanziari che sono una vera sciocchezza economica teorica. Non è un motore la natura che sia avvia con una iniezione di oro o con un motorino di avviamento. 

    Quello che appare moralmente folle inoltre è la voglia di divertirsi, di svago, di far finta che non stia succedendo niente nell’ambiente e nella Natura e si continui a pensare che abbiamo un sistema economico industriale come negli anni Settanta. Ma questa situazione di aver fiducia solo nella fiducia, senza cambiare rotta su molte cose, condurrà a questo clima culturale festaiolo dove si perdono solo due minuti di riflessione per l’ultimo bombardamento, attentato, strage, creando una società alienata dalla realtà come i fanatici politici o religiosi. 

    Tutta la modernità è piena di una cultura cortocircuitata ed esageratamente semplificata. Ciò porta a diffondere un pensiero verso un agire non riflessivo come sosteneva Marcuse in “L’uomo ad una dimensione”. Non ci si può più affidare all’ideologia sia essa politica che religiosa: ce lo dicono i fallimenti del Novecento e le chiese vuote. La sola Natura è madre e non conosciamo i suoi cicli. Non possiamo né spingerla né tirarla. Al massimo rispettarla e chi ha fede pregarla. Siamo in un clima da Titanic ma dobbiamo far finta di niente. Una situazione irreale per la quale, personalmente, non riesco quasi più a sorridere.

    importante
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