Chi ha superato gli “anta” probabilmente ricorda il programma della domenica pomeriggio, dagli studi radiofonici della RAI da Bolzano, che aveva tra i protagonisti Ottavio Fedrizzi, “el Checo della Portèla” (scomparso a 95 anni, a Ziano di Fiemme, il 2 agosto 2010). Raccontava in dialetto ciò che, di inusuale, era accaduto nel corso della settimana in Trentino. Oggi il quartiere della Portéla, a Trento, già bombardato dagli Alleati il 2 settembre 1943 (circa 200 i morti) oggi è sotto attacco degli spacciatori di droga. C’è chi si fa una “canna” e chi è alla canna del gas. Se ne fa portavoce Pier Dal Rì, che in quel lembo di città ha vissuto una buona fetta della sua vita.
Sul “Corriere del Trentino” Alessandro Rigamonti ha proposto nei giorni scorsi un reportage su ciò che accade nel rione cittadino della Portèla. Ciò che Rigamonti descrive è il degrado del quartiere di Trento divenuto territorio franco dello spaccio, in prossimità della basilica che fu sede del concilio della controriforma (1545-1563) e all’ombra della torre del principe-vescovo Vanga che presidiava i traffici lungo il fiume. Il resoconto è spietato quanto documentato, crudo e serio. Non lascia cedimenti al buonismo, alla comprensione e alla compassione per chi fa lo spacciatore di morte. Descrive le modalità, le tecniche, le astuzie e le precauzioni con cui gli spacciatori si beffano dei controlli degli uomini dello Stato. È un mercato di qualità con uno stuolo di adepti istruiti e inquadrati, forse pure ben retribuiti o ricattati, coperti dalla protezione di una sorta di loro sindacato.
Un lavoro subito, senza la fatica d’aver calcato i banchi di scuola, che sa sfornare apprendisti di ogni risma. La testimonianza del procuratore della Repubblica, a Trento, nell’audizione parlamentare sul “caso porfido” ha descritto un Trentino come un regno dei “gnampi” dove è facile sfuggire ai controlli e passare, insalutati ospiti, fra le maglie di una giustizia barocca.
Indicare un ladro, un aggressore, un molestatore o uno spacciatore è molto pericoloso; si corre il rischio di compiere un reato. Inoltre ci sono associazioni, come accade con l’orso, che scendono in campo e presentano esposti, si schierano con il “povero” extracomunitario, disgraziato, vittima di una società opulenta buona solo a discorsi da salotto.
Non servono tanti giri di parole per dire che la Portèla oggi è il Bronx dello spaccio. Ho amici che sono proprietari di casa e sono disperati. Si sono rivolti a tutti, spesso pure al sindaco, ma senza apparente risposta.
Davanti a tutto ciò, in molti allargano sconfortati le braccia in segno resa. A chi si è interessato alla situazione non resta che un amaro consiglio: chiudete bar ed esercizi commerciali, (s)vendete le case e andate a vivere altrove. Lasciate perdere il recupero del fabbricato dell’ex Provveditorato agli studi, l’ex campo da calcio dell’oratorio, l’ultima scuola materna delle suore, la Casa (per la protezione) della giovane e tutte le attività artigianali (falegnami, lattonieri, meccanici) che hanno fatto la vita vivace del quartiere.
Quanto allo spaccio consentitemi una riflessione: non vedo un disegno condiviso per debellare ciò che è davvero insopportabile. C’è un silenzio tombale di tutte le Istituzioni, anche della Chiesa, quasi una comprensione tacita e bonaria. Possibile che lo Stato, la Provincia, la chiesa e mettiamoci pure il Comune siano solo splendide debolezze?
Siamo a un bivio fra la legalità da applicarsi anche con le maniere forti e una tolleranza compassionevole con la scusa che se proliferano gli spacciatori è perché ci sono i trentini che ne fanno uso.
C’è chi teme che, arrestando anche gli acquirenti, possa essere tolto il velo a quei cittadini trentini che si spacciano per modelli di virtù. Nella tramonto della Portela ci vorrebbe il nuovo “Checco” con “la spazadora”. Magari per spostare il “traffico” e il “libero mercato” nel cortile interno di palazzo Geremia, dove il sindaco, passando, possa vedere e annusare l’aria che tira. In tal modo la polizia potrà tornare a occuparsi dei ladri e gli abitanti della Portela continuare a vivere senza patemi nelle loro abitazioni e tenere aperti gli esercizi commerciali, oggi interdetti all’avventore per l’alto rischio di “rissa in corso”.
Altri tempi, quando “el Checo dala Portèla” domandava ai radioascoltatori: “Avé magnà polito e volintera? Ben, son content”. Oggi in quel rione cittadino non è contento proprio nessuno.