Come ha ben documentato fin qui Renzo Fracalossi, dopo alterne vicende ed essere rimasto per molto tempo sotto traccia, l’antisemitismo in Italia e in Germania esplode negli anni Trenta del XX secolo, con le leggi razziali di Mussolini e di Hitler. È il via libera alle pratiche dell’annientamento e dello sterminio di milioni di esseri umani, colpevoli solo di essere un gruppo etnoreligioso che professava la tradizione di Abramo, una fede religiosa diversa da quella dei “buoni cristiani” che li avviarono al massacro.
Il 7 novembre 1938 uno studente ebreo polacco di diciassette anni, da poco residente a Parigi, Herschel Grynszpan, decide di vendicare platealmente la recente espulsione dei suoi genitori dalla Germania ed appronta un rudimentale attentato all’ambasciata tedesca nella capitale francese. Non è un progetto premeditato, né tanto meno un “complotto giudaico”, bensì solo il gesto di protesta di un adolescente. Armato di pistola, Herschel Grynszpan attende qualche funzionario tedesco all’uscita dagli uffici dell’ambasciata e, alla prima occasione utile, spara, uccidendolo, al Consigliere d’ambasciata Ernst Eduard von Rath.
L’eco di quello sparo rimbomba per tutta la Germania. Il Ministro per la Propaganda, Joseph Goebbels, con il tacito consenso di Hitler da fiato alle trombe dell’indignazione popolare e definisce l’attentato come “uno dei crimini più bestiali del giudaismo internazionale che ha armato la mano di un folle”. L’occasione, unica e irripetibile, va colta al volo per organizzare, con teutonica precisione, quelli che apparentemente debbono sembrare “gesti spontanei” di rabbia delle masse tedesche. Si scatena in tal modo la furia vendicatrice e, nella notte fra il 9 ed il 10 novembre 1938, i beni, le proprietà e pure la vita degli ebrei sono messi in grave pericolo. A Berlino – ed in altre grandi città del Reich – squadre di SS e SA, vestite in borghese per dar maggior risalto alla reazione popolare, compiono assalti e raid distruggendo, imprese, negozi, sinagoghe, uffici di proprietà ebraica e soprattutto vetrine e vetrate.
È la “Kristallnacht”, la “notte dei cristalli”, appunto. Dopo ore di inferno, i danni causati da questi vandalismi ammontano a oltre 25 milioni di Reichsmark, mentre si contano cento morti ammazzati e quasi trentamila arresti di ebrei, con conseguente deportazione nei primi Campi di concentramento.
Si tratta di un successo pieno del progetto di Goebbels che, in tal modo, oscura per un periodo il protagonismo di Göring e Himmler nella lotta contro il “complotto mondiale giudaico”. Ma si tratta anche dell’avvio di una più sistematica persecuzione che comporta l’esproprio totale delle proprietà ebraiche; dell’abbandono forzato del commercio al dettaglio, come dei lavori qualificanti e di ogni posizione apicale, sia nel sistema privato come, ancor più, in quello pubblico. Agli ebrei, inoltre, viene impedito l’ingresso nei luoghi pubblici (teatri, sale di danza, cinema, caffè, ristoranti e perfino le spiagge del Mar del Nord e del Baltico), in modo tale da rendere palese la loro separazione netta con gli ariani. I primi sono spinti ad emigrare, sottostando a condizioni economiche molto pesanti, mentre i secondi si impadroniscono in fretta dei beni e delle proprietà confiscate alle varie comunità ebraiche, come alle ditte ed ai singoli individui.
L’esempio che si segue in Germania è quello già in vigore, da poco, in Italia dove il 5 settembre di quel fatidico 1938 è entrata in vigore la prima delle molte “leggi razziali”, che portano alla discriminazione e alla persecuzione degli ebrei italiani da parte del regime fascista, rompendo in tal modo l’unità nazionale, il valore della cittadinanza e dividendo gli italiani in due categorie: gli ebrei e, anche qui, gli ariani.
Ma chi sono questi “italiani di razza ebraica” che debbono abbandonare subito le scuole del regno, tanto per cominciare? Si tratta di circa quarantamila persone, sparse un po’ ovunque sul territorio metropolitano, a fronte degli oltre quaranta milioni di italiani censiti in quel periodo. Una minoranza esigua, ma ingigantita dal regime che individua nell’ebreo il responsabile di ogni sofferenza del Paese.
In Italia il fenomeno è ben più strano che in Germania. Infatti, il fascismo, fin dai suoi esordi, non è antisemita. Anzi. Molti ebrei sono iscritti al Partito fin dall’esordio in piazza San Sepolcro a Milano e si riconoscono nei valori del fascismo. Non ci sono forze politiche o gruppi organizzati dichiaratamente antisemiti e la storia complessiva degli ebrei nel “bel Paese”. Tolti alcuni episodi legati all’ostracismo storico di certo cattolicesimo, è una storia fatta di dialogo e di integrazione. La partecipazione degli ebrei alla vita nazionale è tale insomma da consentire a Guido Jung, un grande economista ebreo, di fondare l’I.R.I (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e di entrare a far parte del governo di Mussolini in qualità di Ministro delle Finanze.
Improvvisamente però Mussolini inverte la rotta in tema di antisemitismo, dopo le conquiste in Africa orientale e la proclamazione dell’impero. Serve un nuovo nemico contro il quale saldare il rapporto fra popolo e regime e, posto che già nella Germania dell’“allievo” Hitler quel nemico è stato individuato nell’ebraismo internazionale, il Duce decide quindi di orientare in tale direzione la politica fascista. Ancora nel 1937 cominciano ad apparire articoli di stampa a sfondo antisemita e la campagna si fa via via più violenta ed esplicita, anche perché molte personalità dell’antifascismo militante sono di fede e cultura ebraica come i fratelli Carlo e Nello Rosselli, Umberto Terracini, Leone Ginzburg e altri.
Nel luglio 1938 appare il “Manifesto degli scienziati razzisti”, dove si cerca anzitutto di evidenziare le improbabili diversità biologiche fra ebrei ed ariani, anche a sostegno di un razzismo “nazionale” che pone appunto l’accento politico sulla questione della difesa dell’identità nazionale. Mussolini parla della “maturità del razzismo italiano, patrimonio spirituale del nostro popolo”. Il 6 ottobre 1938, il Gran Consiglio del Fascismo approva la “Dichiarazione sulla razza”, con la quale si definiscono i criteri generali per la segregazione degli ebrei e per la loro identificazione razziale e religiosa. Il 17 novembre seguente vengono, infine, emanati i “Provvedimenti per la difesa della razza italiana”, con i quali si escludono definitivamente gli ebrei dalla vita collettiva e sociale.
Queste pesanti decisioni sono assunte dal fascismo nel silenzio assordante della maggioranza degli italiani e pure nell’indifferenza d’oltre Tevere che guarda al nuovo corso del fascismo con una certa considerazione. Nel frattempo, molte eminenti figure della cultura italiana, fra i quali i fisici Enrico Fermi ed Emilio Segre, sono costrette ad emigrare, mentre per chi decide di rimanere – e si tratta della maggior parte – la vita si fa sempre più dura ed incerta, in un crescendo di odio e di intolleranza.
La legislazione razziale antisemita, segnata dalle leggi naziste di Norimberga del 1934 in Germania e dalle leggi razziali nell’Italia del 1938, fornisce quindi appoggio e spunto per incentivare il processo di discriminazione e di emarginazione, premesse essenziali queste alla deportazione prima ed allo sterminio poi. Il cielo dell’ebraismo si fa sempre più cupo ed oscuro, in attesa di un destino senza scampo.
(17 – continua – Le precedenti puntate sono state pubblicate in rete il 22, 27 settembre; 5, 11, 21, 27 ottobre; 6, 12, 21 novembre, 9, 19, 26 dicembre 2021; 1, 14 gennaio, 1, 10 febbraio 2022)