Un recital per la memoria. Sono trascorsi ottant’anni da quel 20 gennaio del 1942 quando alcuni vertici polizieschi e amministrativi del III Reich si ritrovarono in una villa della Strasse am grossen Wannsee, alla periferia di Berlino, per pianificare tecnicamente la “soluzione finale della questione ebraica”. Nel solco di una consolidata tradizione, il Club Armonia, in collaborazione con il Comune di Trento, propone un viaggio dentro la Memoria di quel giorno terribile con il recital AM GROSSEN WANNSEE (con Patrizia Dallago, Mariano Degasperi, Sara Ghirardi e Renzo Fracalossi). Il recital si terrà giovedì 20 gennaio 2022 alle 18 nella sala grande di Palazzo Geremia in via Belenzani a Trento. L’ingresso è libero pur nel rispetto delle norme anti Covid: green pass rafforzato e mascherina FFP2.
Senza dubbio l’Ottocento è il secolo della modernità. Scienze e materie come l’antropologia, la sociologia e la criminologia si accompagnano alla fascinazione esercitata dallo spiritismo e dall’esoterismo che conducono ad indagare anche i misteriosi miti indo-persiani. L’oriente – probabile culla del genere umano – è terra ancora in larga parte sconosciuta, fantastica e misteriosa; è la geografia dove viene collocato l’Eden e dove Noè tocca terra dopo il Diluvio universale ed è per questi motivi che India e Persia accendono l’immaginazione occidentale ed alimentano leggende e teorie originali.
Su questo oceano sconosciuto, emergono i promontori del mito ariano, dell’India come “culla della religione naturale” e dello studio del sanscrito, quale supposta lingua prima dell’umanità. Nel 1786 un filologo inglese, William Jones, evidenzia le affinità strutturali fra sanscrito, greco, latino, gotico e celtico, sostenendo come la struttura del sanscrito sia “perfetta, più del greco e del latino” e dando così avvio ad una vera passione che genera, a sua volta, teorie e supposizioni che vanno oltre la scienza filologica. Con esse ci si spinge ad affermare come, all’inizio del tempo, l’Europa sia stata “colonizzata” da antichissime popolazioni indiane, gli Arii, appartenenti ad una “società superiore”, come sostengono in Germania Friederich ed August Schlegel, scrittori romantici e fondatori appunto dell’arianesimo. Essi postulano, fra l’altro, che l’inizio del genere umano possa essere stato più d’uno e con ciò stabiliscono differenze fra i gruppi sociali diversamente originati, i quali prevalgono gli uni sugli altri attribuendo così alla violenza uno dei fattori dello sviluppo e del progresso. Ma non basta. Il termine “ariano”, secondo queste strampalate teorie, viene attribuito al vocabolo tedesco “Ehre”, cioè “onore”, e così si costruisce il binomio: violenza-onore che è uno dei caratteri fondamentali dei prossimi “dominatori del mondo”. Va da sé che queste teorie sono tagliate appositamente sul profilo dei tedeschi, chiamati dalla storia ad essere i “padroni del destino umano”, mentre le altre stirpi, diverse da quella ariana, sono relegate in ruoli inferiori e destinate ad essere dominate.
L’ariano/tedesco è infatti il vero uomo depositario di tutte le caratteristiche più elevate, discendendo egli direttamente dai creatori del genere umano che ne sono anche i dominatori. Il suo opposto è invece l’ebreo, ovvero il semita, che ha il compito di custodire il male e l’immorale, essendo metà uomo e metà demonio, mentre sull’ultimo gradino di quest’improbabile scala gerarchica si colloca il nero, cioè il camita che è per metà uomo e per metà bestia e necessita quindi di essere civilizzato e reso umano, anche attraverso l’uso della violenza. Sono queste le basi del razzismo moderno, imperniato sull’antisemitismo e che segna di sé i decenni a venire del XIX, del XX e del XXI secolo.
Verso la fine dell’Ottocento fa la sua comparsa, sulla scena mondiale, un giornalista ebreo di nazionalità ungherese e di lingua tedesca, che risponde al nome di Theodor Herzl (1860 – 1904). All’età di trentun’ anni è corrispondente da Parigi per la testata “Die Neue Freie Presse” (“La nuova stampa libera”) ed in tale veste segue le fasi processuali dell’“Affaire Dreyfuss”, verificando di persona quant’è radicato l’antisemitismo nella Francia – e più in generale – nell’Europa dell’epoca.
Anche sulla scorta delle opinioni maturate durante quel processo, cinque anni dopo Herzl dà alle stampa il trattato “Der Jüdenstaat” (“Lo stato ebraico”), un volume che pone le basi del tentativo di affrontare, in chiave politica, il tema dell’identità nazionale ebraica, anche quale risposta all’antisemitismo dilagante. È l’avvio del “Sionismo”, ovvero di un movimento nazionale ebraico che chiede una patria in Palestina, l’antica terra di Sion e che si afferma nella coscienza politica degli ebrei, per le sue caratteristiche di laicità e per una radice socialisteggiante, che lo pone quasi subito in netto contrasto con gli ebrei ortodossi ed osservanti, ma anche con i “riformati”; con il “Bund”, cioè la “Lega” che lotta per l’eguaglianza sociale, la giustizia e i diritti civili per gli ebrei dell’Europa orientale ed, infine, con gli ebrei di sinistra che si battono per l’avvento del socialismo quale unica risposta possibile all’antisemitismo.
È con l’azione propagandistica costante di Herzl e di Asher Ginzberg che il sionismo assume ben presto dimensioni intercontinentali, divenendo quindi per l’ebraismo ciò che il nazionalismo diventa per gli Stati dell’occidente. Ma il sionismo è anche altro. Esso infatti, non rappresenta solo la risposta più completa davanti al ventaglio di trasformazioni e mutamenti che investono la società ebraica in quanto componente della più vasta società europea, in quegli anni, ma anche la speranza di trasformare, finalmente, una minoranza costretta dalla storia a essere sempre tale, in maggioranza, almeno in un luogo del mondo, spronando così gli ebrei ad essere protagonisti attivi della loro vicenda collettiva, anziché predestinate e passive vittime dell’odio e del rifiuto.
L’impatto del sionismo non tarda a farsi sentire. Già nel 1917 esce la “Dichiarazione Balfour” – dal nome del ministro degli esteri britannico Arthur Balfour – con la quale il governo di Sua Maestà si rivolge a Lord Walther Rotschild, individuandolo come rappresentante dell’ebraismo europeo, per riconoscere la necessità della creazione di un primo “focolare nazionale ebraico in Palestina”, senza che ciò venga a pregiudicare lo stato giuridico degli ebrei residenti nei diversi Paesi europei. È da quel documento che discende il cosiddetto “sionismo sintetico”, una corrente decisamente pragmatica, che ha il suo più noto esponente in Chaim Weizmann (1874–1952) e che si impegna a fare sintesi fra l’azione dei pionieri dell’insediamento attraverso i “kibbutz”, cioè colonie agricole autosufficienti e l’azione politica volta ad ottenere sufficienti garanzie internazionali per dar vita ad un effettivo Stato ebraico in Medioriente.
Insediarsi in una entità statale propria è probabilmente il vero punto di approdo contro l’antisemitismo dell’epoca, al punto che moltissimi ebrei scelgono il “ritorno” a Sion, quale risposta alle persecuzioni: da quelle sovietiche dopo la Rivoluzione d’Ottobre (1917) a quelle del nazifascismo europeo. Nel 1923 nasce l’“Agenzia Ebraica”, una sorta di organo di autogoverno, che viene riconosciuto dagli inglesi sei anni dopo svolgendo quindi quelle funzioni para-statali, che stanno all’origine della formazione dello Stato ebraico, l’unico luogo dove un ebreo, in quanto tale, non viene e non verrà mai più perseguitato.
(14 – continua – Le precedenti puntate sono state pubblicate in rete il 22, 27 settembre; 5, 11, 21, 27 ottobre; 6, 12, 21 novembre, 9, 19 e 26 dicembre 2021, 1° gennaio 2022)