Il 10 settembre 1943, due giorni dopo l’annuncio dell’armistizio da parte di Badoglio, Hitler firma un’ordinanza con la quale si istituiscono, sul suolo italiano, due “Zone di Operazioni”, quella delle Prealpi (“Operationszone Alpenvorland – O.Z.A.V.) e quella del Litorale adriatico (“Operationszone Adriatisches Küstenland – O.Z.A.K.)
La prima “zona” è composta dalle province di Trento, Bolzano e Belluno ed è affidata sul versante politico ed amministrativo al Commissario supremo (“Gauleiter”) del Distretto territoriale del Tirolo e del Voralberg (“Reichsgau Tirol – Voralberg”) Franz Hofer, mentre la seconda – ricomprendente le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana – è sottoposta al governo del Commissario supremo del Distretto territoriale della Carinzia (“Reichsgau Kärtner”) Friederich Rainer. Di fatto questi territori quindi vengono sottratti alla sovranità della costituenda Repubblica Sociale Italiana, voluta da Hitler e creata da Mussolini dopo la sua liberazione sul Gran Sasso, per diventare province del III Reich.
Ma cos’è un “Gau”? Nell’ideologia nazista lo Stato, in quanto tale, è un’organizzazione marcia e corrotta dai nemici storici del popolo tedesco, ovvero ebrei, massoni, socialisti e comunisti. Ne consegue che la nuova nazione tedesca deve liberarsi di simili minacce attraverso la sua espressione più autentica, ossia il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi (“Nationalsozialistische Deutsche Arbeit Partei” – N.S.DA.P.), che diventa così la massima identità politica del Reich e, a fronte di ciò, le cariche ed i ruoli apicali dello Stato vengono ridotti a meri esecutori degli ordini provenienti dalla gerarchia del Partito. In tale contesto, il “Gau” si identifica con la suddivisione territoriale interna del Partito e con il compito di commissariare, nei fatti se non nella forma, ogni carica pubblica locale presente nell’area di propria competenza. Ovviamente i “Gau” spesso ricalcano i vecchi distretti amministrativi dei vari Land, ma il loro responsabile – il “Gauleiter” appunto – rappresenta territorialmente l’autorità stessa del Führer e gode quindi di un potere pressochè illimitato sul territorio sottoposto al suo governo.
Capire la complessità, anche farraginosa, della macchina burocratica del III Reich non può prescindere dal comprendere questo fondamentale tassello, cioè quello della prevalenza del Partito sullo Stato, in ogni sua forma e declinazione. Ma torniamo all’ Alpenvorland.
Franz Hofer è un nazista della prima ora. Originario della regione di Salisburgo, dopo gli studi liceali a Innsbruck, nel 1922 inizia attività commerciali in proprio. Nove anni dopo si iscrive al Partito nazista austriaco e l’anno seguente ne diventa il responsabile per la sede di Innsbruck. Non è un fanatico, ma è un iscritto molto attivo, al punto che le sue attività finiscono nel mirino dell’autorità austriaca che, nel giugno del ‘33, lo arresta e lo condanna a due anni di detenzione. Meno di tre mesi dopo, aiutato da alcuni militanti, fugge dal carcere e si rifugia a Bolzano, dove viene prelevato dall’aereo personale del Führer che lo porta a Norimberga, dove si tiene il Congresso annuale del Partito e durante il quale gli viene concesso l’alto onore di prendere la parola. In breve la sua popolarità ed il suo potere crescono e nel 1937 diventa il responsabile dell’“Opera di aiuto per i profughi austriaci in Germania” e, dopo l’annessione dell’Austria al Reich (“Anschluss”) nell’anno seguente, viene nominato “Gauleiter” del Tirolo e del Voralberg e membro del Parlamento tedesco (“Reichstag”).
Con la resa italiana dell’8 settembre 1943 e con l’occupazione militare tedesca dell’Italia centro-settentrionale, Hofer allarga rapidamente la sfera del suo potere territoriale, espandendo il proprio ambito di potere sulle tre province più settentrionali d’ Italia e stabilendo la sua residenza nel palazzo Ducale di Bolzano, eretto nel “Ventennio” in onore del duca di Pistoia.
Verso la fine della guerra e quando ormai la follia hitleriana sta esaurendosi in un immenso bagno di sangue, Hofer immagina di poter trasformare l’Alpenvorland dapprima in una sorta di “ridotta alpina” dove consumare le ultime resistenze del nazismo e poi in una specie di “Stato alpino cuscinetto” da offrire agli Alleati come luogo di resistenza contro l’infiltrazione sovietica. Tutto però fallisce miseramente e nell’immediato dopoguerra Hofer, dovendo scontare un periodo di carcerazione voluto dagli Alleati che lo hanno arrestato, riesce a fuggire e rientra ad Innsbruck dove vive per molti anni sotto falso nome. Nel 1949 un tribunale tedesco, nel Land Nord Reno-Westfalia, lo condanna in contumacia a dieci anni di prigione per “concorso in sterminio di massa”. Come molti altri nazisti, nel 1964 anche Hofer esce dalla clandestinità, non sconta le sue pene e si trasferisce a Mülheim an der Ruhr, in Germania Ovest, dove muore il 18 febbraio 1975. Ma torniamo all’ Alpenvorland.
Secondo una consolidata prassi nazista, Hofer, appena divenuto Commissario supremo, decide anzitutto di spingere sul pedale del consenso rialimentando antiche e mai sopite aspirazioni autonomistiche delle popolazioni del Tirolo storico e, al contempo, stabilisce di avvalersi di prestigiosi elementi locali per il governo quotidiano del territorio, purché tali figure non siamo compromesse con il fascismo, del quale ormai i nazisti non si fidano più.
Vengono così in luce le figure di Peter Hofer a Bolzano, seppur per un brevissimo periodo posto che egli muore sotto un bombardamento e viene sostituito da Karl Tinzl; di Adolfo de Bertolini a Trento e, infine, di Carlo Silvetti a Belluno.
Quest’ultimo, di origini comasche e già vice Prefetto di Belluno fin dal 1940, è un funzionario amministrativo con scarsa attitudine alla politica e, proprio per tali ragioni, non riesce ad interpretare le aspirazioni autonomistiche che Hofer cavalca invece come collante sociale per le tre popolazioni dell’Alpenvorland. Silvetti si limita a mediare, nei limiti del possibile, fra le esigenze dei tedeschi e le istanze della popolazione. Non si iscrive mai al Partito Fascista Repubblicano, né presta giuramento al nazismo o alle autorità occupanti e ciò nonostante nel dopoguerra viene processato per collaborazionismo. La sua è una presenza poco determinante e, per certi versi, anche scialba. Ben diversa è la situazione a Bolzano e a Trento.
2. – continua
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