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    Home»editoriale»Il sovranismo che mina l’Europa
    editoriale

    Il sovranismo che mina l’Europa

    Renzo FracalossiBy Renzo Fracalossi10 Aprile 2024Nessun commento7 Minuti di lettura
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    Dopo aver indagato, per sommi capi, le origini e i significati di “populismo”, può essere utile spingere lo sguardo anche su un altro termine che pare affollare il linguaggio del presente ed è ormai entrato nell’uso comune, soprattutto nel contesto politico e delle retoriche propagandistiche. “Sovranismo”.Si tratta di un altro pensiero “debole”, che si pone come obiettivo la tutela e la promozione della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato quale contrapposizione alle spinte della globalizzazione e delle politiche sovranazionali di concertazione come, ad esempio, quelle dell’Unione Europea. 

    Sempre in antitesi al capitale e alla sua redistribuzione; aperto alla discriminazione razziale, dalla quale discende e nella quale trova linfa e consenso; funzionale alle suggestioni politiche in direzione autoritaria, il “sovranismo” irrompe sui consolidati orizzonti della democrazia, rimettendo in discussione valori, diritti, doveri e priorità ed affermando che “l’affievolimento progressivo della sovranità di ogni singolo Stato in favore di una sovranità sovranazionale e sovrastatuale più ampia, intaccherebbe l’unità politica degli Stati-nazione”.

    Il vocabolo “sovranismo”, com’è evidente, deriva dal termine “sovrano” e le prime attestazioni di un suo utilizzo risalgono alla seconda metà del XIX secolo, con l’avvento dei nazionalismi e del concetto di identità collettiva che lega l’individuo alla massa e quindi a una sua appartenenza a un comune bagaglio fatto di lingua, tradizioni, storia, cultura, pensiero e aspirazioni.

    Inizialmente usata in ambito religioso, attraverso la figura del “Cristo Re”, ben presto la parola entra nel lessico politico del Novecento, anche correlandosi a fenomeni di matrice fascisteggiante, come nel caso del “rexismo” belga sorto nel periodo prebellico della seconda metà degli anni Trenta. Forse proprio il “rexismo” offre un esempio chiarificatore del “sovranismo” in chiave storica e delle sue eredità che giungono fino a noi. Il “rexismo”, che trae appunto origine dall’attribuzione di regalità a Cristo e racchiusa nel motto “Christus Rex”, è un movimento che si compone di elementi anticapitalisti, antiliberali, anticomunisti, antisocialisti, antiparlamentari e antisemiti, mentre persegue l’idea di una società corporativa, fondata sul lavoro e l’insegnamento incontestabile della Chiesa cattolica. Con il famoso slogan: “Contro tutti i partiti, contro tutti i corrotti!”, questa primitiva declinazione di “sovranismo” mette in risalto la corruzione della classe politica tutta e si batte contro la democrazia, corruttrice della civiltà, indicando invece l’urgenza del recupero del magistero cattolico per ritrovare la “recta via” della salvezza e del futuro. La religione quindi come substrato ideologico sul quale fondare un pensiero politico anzitutto manicheo e fortemente connotato dallo scontro, a tutto campo, con il comunismo, al punto che, durante la guerra, il “rexismo” si schiera apertamente e concretamente con il nazismo nella sua lotta al bolscevismo.

    Con l’avvento del “sogno europeo”, il “sovranismo” muta e trova ulteriori ragioni di sopravvivenza e di rilancio, davanti ai rischi, più o meno presunti, di lesione dello “spazio vitale” dei popoli europei e di fronte ad un progetto di sovranazionalità continentale che spaventa e preoccupa il lato più conservatore della cultura politica europea. Se per la tradizione nazionalista, lo Stato-nazione è un elemento storicamente insuperabile, per la cultura riformista e liberale – come ci rammenta la lezione di Luigi Einaudi – la sovranità assoluta è sempre causa di conflitti e risulta addirittura anacronistica, rispetto alle trasformazioni in atto ed al progressivo crescere di una cultura sovranazionale, dove la somma di interessi comuni da un lato e quella delle differenze singole dall’altro, almeno si equivale.

    Il “sovranismo” poi – opponendosi a ogni trasferimento di competenze dallo Stato centrale e nazionale a qualsiasi organo sovranazionale perché ciò può costituire una minaccia per la stessa identità nazionale e per la sovranità popolare – assorbe spunti e argomenti a suo sostegno che provengono indistintamente da destra come da sinistra. Se i primi si condensano nella difesa dei confini e nella lotta alla mobilità sociale ed etnica e quindi alle migrazioni; i secondi si battono contro il liberismo economico e contro il mercato globale. Tutto si muove, ovviamente, “in nome dell’interesse del popolo”, senza peraltro mai definire i contorni di tale interesse al di fuori del sostegno alle richieste dell’immediato e del contingente. 

    Si tratta di una domanda che sale, guarda caso, dalle “piazze” della protesta fine a sé stessa e, in questo senso, la demagogia la fa da padrona, come ben dimostra la povertà degli slogan ad uso propagandistico: “Padroni a casa nostra”; “l’Italia agli italiani”; “Aiutiamoli a casa loro” e via dicendo. Si tratta di frasi fatte e mirate a un unico scopo, quello cioè di essere comprensibili e di immediata presa su qualunque uditorio ben disposto o, quanto meno, non ostile. Non solo: il “sovranismo” e le sue molte propagande fanno propria la “lezione” di Joseph Goebbels, il ministro per la propaganda di Hitler, quando afferma che “una bugia ripetuta dieci volte, diventa una verità inconfutabile”. Manipolazione della realtà, menzogna elevata a dignità di comunicazione pubblica e totale assenza di qualsiasi forma di coerenza sono altre caratteristiche non irrilevanti del “sovranismo” che, in Italia, è diventato ormai un atteggiamento culturale buono per ogni critica politica mirata agli obiettivi più classici del fenomeno, grazie anche alle ricorrenti demagogie di talune propagande che mistificano senza alcuno scrupolo.  In Francia invece il “sovranismo” ha assunto forme più radicali ed euroscettiche puntando in direzione di un’economia protezionistica, attenta alla difesa dei posti di lavoro e dei ceti popolari a basso reddito e giocata sul primato dell’identità francese, nel solco di una lunga tradizione sciovinista (nazionalismo fanatico).

    Simile all’interpretazione transalpina, è quella polacca che mette al centro la sicurezza nazionale, l’opposizione rigida a ogni fenomeno migratorio e una difesa totale delle tradizioni cristiane e ultracattoliche, introducendo perfino una revisione legislativa in senso negazionista, per punire chiunque accusi i polacchi, a vario titolo, di complicità nei crimini nazisti.

    Mentre in Gran Bretagna, il “sovranismo” esasperato ha portato alla “Brexit”, della quale oggi si avverte un diffuso pentimento dentro la società inglese, in Spagna e Germania, infine, il fenomeno ha attecchito da poco, a causa dell’ancora vivo trauma franchista da un lato e nazista dall’altro. In questi due Paesi infatti, ogni riferimento al nazionalismo e alle sue più diverse declinazioni ha sempre prodotto aspre critiche culturali e politiche e sollevazioni di larga parte della popolazione. 

    Il forte impatto delle migrazioni più recenti – non ultima quella di oltre un milione di siriani, nell’anno 2015, in Germania –  sta creando però condizioni evidenti di rifiuto delle politiche distributive dell’Unione Europea, anche in virtù di mai sopite paure verso supposti processi di islamizzazione della società europea. A tutto questo si somma poi una diffusa diffidenza verso la moneta unica dell’euro che, secondo un certo pensiero sovranista tedesco, serve solo a far pagare alla Germania le quote di debito pubblico dei Paesi europei più arretrati. 

    In Spagna, oltre all’opposizione alle politiche migratorie europee, sono certe frizioni in senso autonomista e regionalista, come quelle basche e catalane, che alimentano un “sovranismo” iberico di stampo liberale, ma anche monarchico, unitario, eurocritico e nazionalista.

    Il “sovranismo” insomma rischia di diventare una sorta di ulteriore metastasi, in un’Europa incapace di superare gli antichi e reciproci pregiudizi, ferma ancora al prevalere delle nazioni sul concetto di Unione e attenta ai piccoli egoismi anziché alla possibilità di diventare interlocutore credibile e compatto sui temi delle planetarie trasformazioni in atto.

    ©iltre

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    Renzo Fracalossi

    Renzo Fracalossi, è nato a Rovereto il 5 luglio 1961. Risiede a Trento dove, dopo gli studi umanistici, lavora nella pubblica Amministrazione. Presiede l'associazione culturale "Club Armonia"; è componente della "Società di Studi Trentini di Scienze storiche" e della S.O.S.A.T. Ricercatore e divulgatore, si occupa da decenni di approfondire e narrare l'antisemitismo e con esso la Shoah e di indagare la storia locale. Collabora con università e centri di ricerca europei su tali questioni ed ha all'attivo alcune pubblicazioni e contributi. È autore teatrale, iscritto alla S.I.A.E., con testi rappresentati in sede locale e nazionale.

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