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    I tempi della cronaca

    Il “guardiano” della città dei morti

    Alberto FolgheraiterBy Alberto Folgheraiter17 Giugno 2022Nessun commento6 Minuti di lettura
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    Festeggia 60 anni di messa il 3 luglio, ne compie 86 il 13 luglio. Armando Ferrai, frate francescano da Telve, in Valsugana, non è più il guardiano della “città dei morti”. Il frate del cimitero di Trento che ha svolto, gratis, per 22 anni la funzione di custode e di cappellano a tempo pieno, si è ritirato in convento. Vive tra i confratelli dell’infermeria dei frati, uno dei pochi a non aver bisogno di cure e l’unico su 17 a essere scampato al Covid che ha vuotato i conventi e riempito i cimiteri. Compreso quello sulla collina. Luogo suggestivo, per quanto lo consenta la destinazione, e carico di storia. Una Spoon River replicata, con tombe tutte uguali. Qui dormono il sonno dell’eternità semplici frati e blasonati vescovi. Alcuni vestirono il saio in terra di missione: dalla Cina alla Bolivia al Perù. 

    “Il guardiano della città dei morti”, che ha dispensato parole di conforto ed asciugato molte lacrime, racconta: “Eravamo otto tra fratelli e sorelle, l’ultima l’ho accompagnata al cimitero qualche giorno fa. Adesso sono rimasto solo della mia famiglia. Ero il più giovane”.

    Perché, settant’anni fa, ha deciso di farsi frate? “Credo sia stato per l’esempio di mio fratello, padre Cherubino, che era già entrato in convento. È stato per molti anni cappellano tra gli emigrati italiani negli Stati Uniti: a New York, Boston e San Francisco. Poi in famiglia c’era anche uno zio frate, P. Lorenzo Ferrai, e comunque era il destino di alcuni dei figli di famiglie numerose”.

    Già, un tempo i genitori devoti consigliavano ai figli maschi: “fatti frate, così ti salvi l’anima e il filo della schiena”. Quanto all’anima non è dato sapere. Sul filo della schiena, visto che avrebbero studiato a lungo, c’era la convinzione che non avrebbero fatto lavori pesanti. A quelli avrebbero pensato i “frati da cerca”, i religiosi che non erano stati ordinati preti e che avevano il compito di provvedere al sostentamento dei confratelli.

    Andavano di villaggio in villaggio. Domandavano la carità: derrate alimentari, legna e altro, e lasciavano un segno del loro passaggio. Una presa di tabacco per il capofamiglia, una immaginetta sacra per la donna di casa. Seminavano buoni propositi e, talvolta, raccoglievano proseliti.

    Soltanto a Telve, dove 86 anni fa è nato Armando Ferrai, i giovanotti entrati in convento e che hanno vestito il saio francescano furono una decina. Il più noto, almeno a Trento, è proprio lui. “Complice il Covid, che ci ha costretti a restare chiusi in convento, e l’età che avanza a grandi passi, non faccio più il cappellano al cimitero di via Giusti. Dò ancora una mano, quando serve”.

    È uno dei frati predicatori più vivaci. Che cosa dirà alla sua comunità d’origine, il 3 luglio, alla celebrazione dei 60 anni di messa?

    “Racconterò la mia storia. Partendo dal 15 luglio del 1962 quando fui ordinato sacerdote. E poi dirò del Terz’Ordine Francescano, di quel sodalizio del quale sono stato responsabile per 25 anni e curavo anche la rivista: Squilla di Vita Serafica. All’Ordine secolare francescano o Terz’Ordine, erano iscritte più di quattromila persone. Poi sono stato un periodo a Mezzolombardo, come “guardiano” (il responsabile) di quel convento. Quindi sono passato a Villazzano, dove c’era la scuola degli aspiranti frati, i cosiddetti “fratini”. Infine, per 22 anni, ho fatto il cappellano-custode del cimitero monumentale di Trento. Oltre a dire messa e celebrare i funerali, toccava a me aprire e chiudere i cancelli del cimitero”.

    Ci fu un tempo in cui deve averli chiusi malamente perché dagli argini dell’Adige, dove prolificavano come conigli, un gruppo di leporidi pensò bene di trasferirsi tra le piante grasse del cimitero di via Giusti. E di annidarsi beatamente fra le tombe. A nulla valsero le maledizioni di chi portava i fiori e il giorno seguente li trovava tutti rosicchiati e le benedizioni del frate cappellano che avrebbe voluto indossare i panni del pifferaio magico di Hamelin della fiaba dei fratelli Grimm.

    I fossieri del comune avevano le mani legate dalla vigile attenzione degli animalisti che avevano diffidato qualsiasi tentativo di “soluzione finale” per i conigli. Finì che le bestiole furono catturate con le reti e trasferite in una fattoria didattica. Quanto ai cancelli, si provvide a coprire la parte bassa con reti metalliche a prova di coniglio.

    Quella che oggi ospita gli uffici del servizio funerario del comune, è ancora indicata dagli anziani come “la casa dei frati”. Poiché tale fu dal 1924 al 2006 quando ci vivevano ben quattro frati. Fu l’anno in cui il Capitolo dei francescani decise di ritirare tre frati dalla casetta di via Giusti.

    Armando Ferrai restò solo e per un periodo fu costretto a vivere dentro un container di ferro, parcheggiato all’ingresso del cimitero. Durò quattro anni, il tempo impiegato dal comune per la ristrutturazione dell’edificio.

    Requiescat per un’onorata carriera fra orazioni, buoni consigli e carità. Di solito i frati ricevono; Armando Ferrai, novello fra Galdino, ha sempre dovuto dare. Più di una volta, dopo la messa del mattino nella cappella del cimitero, fuori dal cancello (dei conigli) si formava una coda di petulanti con la mano tesa. E lui, incapace di dire di no, metteva mano alle offerte raccolte tra le devote della messa mattutina. Capitava che non fosse in grado di provvedere a tutti e chi restava a mani vuote, talvolta, dava in escandescenze. Con minacce e turpiloqui, come se il buonuomo avesse l’obbligo dell’obolo. 

    Ecco, quegli spiacevoli incontri oggi non gli mancano proprio. “Direi che al cimitero mi sono realizzato come sacerdote. Nell’accompagnare i defunti alla tomba, nel colloquio con i familiari dei morti. Ho cercato di fare del mio meglio”.

    Sessant’anni fa, quando Armando Ferrai ha detto la prima messa i frati trentini erano 310. Oggi sono 35, la maggior parte in età avanzata. Di questi, quattro sono missionari in Bolivia (ad Aiquile); uno è vescovo di Lima in Perù (Adriano Tomasi); un altro è Custode di Terra Santa (Francesco Patton) carica che prima o poi lo porterà a essere vescovo a pieno titolo; uno è missionario in Canada (Claudio Moser, della dinastia dei ciclisti di Palù).

    Alcune presenze francescane nel mondo si sono esaurite con la morte dei protagonisti. Come la stazione di San Francisco dove per sessant’anni è vissuto Efrem Trettel, morto nel 2017, il quale aveva fatto della televisione il “suo” pulpito del sabato sera.

    Dei molti conventi francescani trentini la maggior parte ha chiuso i battenti, riconvertiti a nuova destinazione. Quella che fu la provincia francescana di San Vigilio, che vantava conventi persino a Gorizia e Trieste, è divenuta una piccola porzione della provincia del nord Italia con sede a Milano.Resta qualche frate che raggiunge e supera i sessant’anni di messa. Come Armando Ferrai, il fu “guardiano della città dei morti”.

    importante
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    Alberto Folgheraiter
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    Giornalista e scrittore. Negli anni Settanta redattore al settimanale “Vita Trentina”, alla redazione di Trento de “Il Gazzettino”, direttore responsabile di “Radio Dolomiti”. Dal 1979 al 2010 cronista alla redazione di Trento della Rai, poi capostruttura dei programmi (2007-2010); corrispondente dalla regione (1975-1996) del settimanale “Famiglia Cristiana”. Ha pubblicato 27 libri su storia, tradizioni ed etnografia del Trentino-Alto Adige. È socio di Studi Trentini di scienze Storiche.

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