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    Storia&Storie

    Balcani: bombe e pugnali (6)

    Renzo FracalossiBy Renzo Fracalossi2 Gennaio 2025Nessun commento8 Minuti di lettura
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    Se c’è un luogo dove il terrorismo offre un’immagine tragicamente piena di sé, quello è senza dubbio rappresentato dalla regione balcanica. Si tratta di un territorio da sempre multietnico e storicamente segnato dalla violenza di scontri tribali e di religione, accesi soprattutto con l’avvento del dominio mussulmano prima ed ottomano poi. Nell’articolato mosaico balcanico tutti rivendicano diritti e primati e gli scontri interetnici si consumano con una frequenza incredibile, ma è il potere turco che costruisce il collante unitario di una lotta “risorgimentale”, che esplode soprattutto a partire dalla fine del XIX secolo.

    La cosiddetta “questione macedone” è l’innesco per una situazione già portata al limite di tensione. Ultimo territorio turco nei Balcani, la Macedonia è un insieme bizzarro di popoli e fedi religiose: bulgari, serbi, greci, kuzovalacchi ed ebrei vivono tutti sotto il medesimo giogo ottomano, mentre le capitali degli Stati confinanti, come Atene, Sofia, Belgrado e Bucarest, rivendicano propri supposti diritti sulla regione e le potenze europee invece puntano a conservare gli equilibri politici e quindi l’intangibilità dell’ormai decadente impero turco. Questo groviglio politico non interessa affatto alle popolazioni oppresse della Macedonia che, il 2 agosto 1903, rispondono in massa all’appello alla rivolta proposto dall’Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone (O.R.I.M.). Prende così avvio una lotta armata e di chiaro profilo terroristico contro i turchi e non solo. Con l’occasione infatti anche vecchie ruggini etniche e religiose vengono a galla, dando corpo a vendette e regolamenti di conti sanguinosi.

    Sono soprattutto le bande dei “Comitagi” di origine bulgara che si distinguono nelle azioni terroristiche più efferate e che coniugano aspirazioni politiche e scelte religiose, spingendo le popolazioni della Macedonia all’accettazione dell’Esarcato, cioè della Chiesa autocefala bulgara quale punto di riferimento religioso generale.

    Quando però la parola non serve o non ottiene, interviene il terrorismo dei “Comitagi”, che sceglie sempre le sue vittime fra gli esponenti più in vista delle varie comunità locali ed uccide con qualsiasi strumento: dalla pistola alle bombe; dal pugnale al veleno, innescando così reazioni a catena fatte di vendette reciproche che hanno un altissimo costo di vite umane. Nei primi decenni del XX secolo si calcola che siano almeno 100.000 le vittime del terrorismo in Macedonia.

    I turchi replicano a tanto orrore, cercando di isolare, con pari violenza, i terroristi e quando, nel marzo del 1903, un attentato uccide 38 soldati della “Mezzaluna”, la rappresaglia investe 15 villaggi e miete quasi 500 vittime. Ma non basta. Dopo una estesa rivolta nella parte più centrale della regione macedone, la repressione turca colpisce ben 201 villaggi e trucida quasi 5.000 persone, violenta oltre 3.000 donne e lascia senza più nulla circa 70.000 contadini. Le atrocità turche suscitano sgomento in tutta Europa e la pressione politica induce Istanbul ad alcune riforme, ma si tratta di fumo negli occhi. Il terrorismo macedone riprende quindi vigore e decide di farsi sentire con azioni molto eclatanti. Dagli scontri a fuoco alla dinamite e dalla guerriglia in montagna alle grandi città: è questo il cambio di passo che viene impresso al terrorismo macedone.

    Dopo aver messo a ferro e fuoco Salonicco con una lunga serie di attentati in pochi giorni, per due anni, fra il 1910 ed il 1912, le bombe fanno seguito alle bombe e le rappresaglie alle rappresaglie. L’incendio così appiccato dal terrorismo porta infine alla guerra e la Bulgaria muove contro l’impero ottomano. Al suo fianco si schierano serbi, greci e montenegrini: è la “prima guerra balcanica” (1912 – 1913), che si conclude con la sconfitta ottomana e la perdita praticamente di tutti i possedimenti turchi sul suolo europeo. Ma le conseguenze non generano pace, bensì una ripresa della violenza etnica. Il “Trattato di Londra”, che pone fine al conflitto, non premia infatti le aspirazioni macedoni, ma piuttosto quelle serbe che, attraverso l’organizzazione terroristica segreta della “Mano Nera” (“Crna Ruka”), fondata nel 1911 da un gruppo di ufficiali nazionalisti e antiaustriaci, controlla l’esercito serbo e soprattutto il controspionaggio diretto dal colonnello Dragutin Dimitrijevic, detto “Apis”, vera anima dell’organizzazione terroristica.

    È in questa situazione che prende corpo l’attentato di Sarajevo, deciso per ragioni di politica interna serba finalizzate a mettere in difficoltà il primo ministro Nikola Pasic e per ragioni di politica estera, cioè eliminare un nemico della Serbia come l’erede al trono asburgico Francesco Ferdinando, prima che possa salire al trono e muovere guerra al regno balcanico. I terroristi della “Giovane Bosnia”  (“Mlada Bosna”), che il 28 giungo 1914 uccidono l’arciduca e sua moglie, sono formati e sostenuti dalla “Mano Nera” serba, ovvero dal suo Servizio di controspionaggio. I calcoli del colonnello “Apis” sono però sbagliati e i Balcani diventano la polveriera del vecchio continente, scatenando quella guerra mondiale dalla quale nasce la Jugoslavia.

    Vecchio e nuovo irredentismo sono ormai parte della vita stessa dei Balcani e l’O.R.I.M. riprende la lotta per una libera Macedonia contro Belgrado ed il regno jugoslavo. Nell’arco di dieci anni sono 109 gli attentati dei macedoni, sostenuti occultamente dalla Bulgaria, che offre basi e armi ai terroristi. A fronte di ciò, il governo jugoslavo fa erigere una barriera di filo spinato, trappole, muri e torrette – una sorta di anticipazione del “muro di Berlino” – lungo tutta la linea del confine con la Bulgaria. Ma la Macedonia è isolata. Nessuno vuole più sentir parlare, dopo la carneficina della  Grande Guerra, di revisione dei confini e quindi l’O.R.I.M. perde la sua spinta ed anche il sostegno popolare. Solo in Bulgaria, l’Organizzazione ha un peso ancora molto rilevante, al punto che quando il governo bulgaro tenta di arginare lo strapotere del movimento terrorista, un attentato uccide il primo ministro. La Bulgaria prova a portare alla sbarra, per l’omicidio, il capo dell’O.R.I.M. Vance Mikailoff e oltre duecento avvocati bulgari si offrono di difenderlo in tribunale. Il dibattimento si apre a Sofia e gli uomini di Mikailoff scendono in città assediando il palazzo di giustizia. I giudici terrorizzati cedono e Mikailoff viene assolto. L’O.R.I.M. da strumento di liberazione di popoli oppressi si trasforma in mezzo eversivo interno di uno Stato sovrano, sfidando il potere e spingendo in direzione sfavorevole all’Unione Sovietica. Mikailoff è tanto potente ed impunito che arriva perfino ad uccidere, in piazza a Sofia ed in pieno giorno, il generale Alexandr Protogeroff, fautore del dialogo con Mosca. È la goccia che fa traboccare il vaso. Nel 1934 un colpo di Stato dell’esercito liquida i partiti politici e con essi anche l’O.R.I.M., il quale riprende quindi la sua azione anti jugoslava, trovando nuove alleanze nella Roma fascista e anche nel movimento nazionalista croato di Ante Pavelic.

    Spostiamo adesso lo sguardo verso l’Adriatico

    Qui, l’irredentismo croato cresce e diventa violento, scatenando la repressione della monarchia jugoslava che risponde con leggi speciali e con forme di terrorismo di Stato. Il 19 febbraio 1931, l’insigne storico croato Milan Sufflay viene ucciso in un attentato organizzato dalla polizia di Belgrado. Alla durezza serba, i croati rispondo coltivando l’odio. Il 28 giugno 1928 un deputato serbo al Parlamento uccide i fratelli Stjepan e Ante Radic, leader del movimento emancipatorio delle masse contadine croate, ottenendo, per reazione, la proclamazione del “Libero Stato Croato” che dovrà essere realizzato con il terrorismo, affidato all’ “Organizzazione Rivoluzionaria Croata Ribelle” (“Ustaska Hrvatska Revoluzionarna Organizacija”, meglio nota come “Ustascia”), alleata con l’O.R.I.M.  e, soprattutto con il fascismo italiano. Il regime di Mussolini è generoso con i croati. Allestisce campi di addestramento nei pressi di Bologna per gli Ustascia; li rifornisce di armi ed esplosivi; li addestra al sabotaggio, affidando l’istruzione ai macedoni dell’O.R.I.M., finché, il 29 marzo 1929, il terrorismo croato si mette al lavoro: una “trojka”, ovvero un gruppo di tre terroristi, secondo l’uso macedone, uccide Toni Schlegel, direttore dell’agenzia di stampa “Jugostampa”. Il 17 dicembre il treno di una delegazione croata che va a giurare fedeltà a Belgrado salta in aria a Zagabria. Infine, gli Ustascia decidono di assassinare il re jugoslavo Alexandr Karadjeordjevic e il 9 ottobre 1934, a Marsiglia durante una visita ufficiale, il re viene ucciso da Petrus Kelemen un macedone, “prestato” ai croati. Purtroppo nell’attentato muore anche il ministro degli esteri francese Barthou, ma si tratta di un “danno collaterale”, che il terrorismo croato non ritiene essenziale. Si sbaglia. Gli Ustascia hanno comunque passato il segno e vengono isolati da tutti. Il sogno di uno Stato croato indipendente si realizza solo nell’aprile del 1941, dopo lo sfacelo militare della Jugoslavia sotto l’urto della Wehmacht. Il terrorismo Ustascia da “arma” politica diventa così e ben presto strumento di genocidio, perché la Croazia va purificata dai serbi e dagli ebrei. Secondo consolidati schemi, comincia una nuova stagione di terrore. Bruciano paesi e villaggi; bruciano le chiese ortodosse con dentro i serbi sgozzati con il pugnale e, prima di morire, costretti ad abiurare il rito greco-ortodosso in favore di quello cattolico. Alla fine della guerra sono decine di migliaia le vittime del terrorismo Ustascia, se solo i serbi contano oltre 800.000 vittime fra la loro gente. Il giorno della vittoria sui nazifascisti diventa difficile contenere il desiderio di vendetta e giustizia sommaria cresciuto davanti a tanta strage, in una spirale che dura almeno fino alla frantumazione della Repubblica federale e che poi si ripropone in tutto il suo dramma, con le guerre balcaniche che riaprono vecchie ferite e si macchiano di nuovi massacri. Fra il 1991 e il 2001 serbi contro croati; bosniaci contro serbi; kossovari contro serbi e via dicendo segnano una stagione di sangue, morte e dolore che suggella un secolo di terrorismo e non risolve le contraddizioni e di problemi dei Balcani, tormentata porta d’Europa sull’oriente slavo.

    (6 – continua: le precedenti puntate sono state immesse in rete il 18 ottobre, 3 novembre, 16 novembre, 25 novembre, 9 dicembre 2024)

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    Renzo Fracalossi

    Renzo Fracalossi, è nato a Rovereto il 5 luglio 1961. Risiede a Trento dove, dopo gli studi umanistici, lavora nella pubblica Amministrazione. Presiede l'associazione culturale "Club Armonia"; è componente della "Società di Studi Trentini di Scienze storiche" e della S.O.S.A.T. Ricercatore e divulgatore, si occupa da decenni di approfondire e narrare l'antisemitismo e con esso la Shoah e di indagare la storia locale. Collabora con università e centri di ricerca europei su tali questioni ed ha all'attivo alcune pubblicazioni e contributi. È autore teatrale, iscritto alla S.I.A.E., con testi rappresentati in sede locale e nazionale.

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