La morte a 95 anni di mons. Armando Costa chiude l’epoca di quei preti trentini che furono a lungo frastornati e smarriti in un dopoconcilio che spalancò le porte sulla modernità e si lasciò contaminare dalla secolarizzazione. Il funerale lunedì alle 11 in cattedrale a Trento, onorato dall’arcivescovo Tisi, dall’emerito Bressan e dai canonici dei quali fu il decano. Poi la tumulazione a Borgo, nella terra delle sue origini alla quale fu legato da affetto, peraltro ricambiato, per tutta la sua lunga vita.
È stato uno degli ultimi preti della diocesi di Trento a togliersi la tonaca. Non si fraintenda. Non l’ha attaccata al chiodo, ha semplicemente preso atto che il concilio Vaticano II era passato da cinquant’anni e forse era il caso di convivere con il dopoconcilio. Per “don” Armando Costa, morto nella notte fra venerdì e sabato nel suo letto alla casa del Clero del seminario vescovile di Trento, la tonaca fu a lungo la corazza. Dentro la quale esercitare il suo ministero al riparo dalla secolarizzazione che, tanto per cominciare, vuotava il seminario. Del quale fu prefetto per dieci anni, dal 1951 (quando fu ordinato prete) al 1961; fino al 1967 fece anche il professore di italiano e latino a quei ragazzini che avevano manifestato qualche intenzione verso il sacerdozio. Ne “allevò” parecchi, stando alle ordinazioni che caratterizzarono gli anni Sessanta: 11 nel 1960; 6 l’anno seguente; 11 nel 1962; 14 nel 1963; altrettante nel 1964 quando divenne prete anche Luigi Bressan, oggi vescovo emerito di Trento. Il 1965 fu l’anno con 21 nuovi preti, lievitati a 24 l’anno successivo. Furono 15 nel 1970 per poi cominciare a calare fino ai numeri singoli di oggi.
Con un solo prete, Matteo Moranduzzo, 25 anni, da Castello Tesino, ordinato sabato 18 giugno, in cattedrale, dall’arcivescovo Lauro Tisi. Il quale ha dato notizia della morte dell’anziano mons. Armando Costa, dal Borgo di Valsugana, proprio nel corso del rito della consacrazione dell’unico diocesano del 2022.
Giornalista pubblicista, per 33 anni è stato il responsabile dell’ufficio stampa della diocesi di Trento. In quella veste teneva i rapporti con i giornalisti, forniva qualche dettaglio ai comunicati asettici diramati dalla Curia. Curava la “zaldona”, la rivista diocesana, una sorta di bollettino ufficiale degli atti e delle decisioni dell’arcivescovo e dei suoi collaboratori. Tenne per cinquant’anni le redini dell’annuario “Strenna Trentina”, una miscellanea di curiosità e di rievocazioni storico-popolaresche. Per la Rai regionale curò la rubrica radiofonica del sabato pomeriggio “Vita della Chiesa in regione”.
Ad Armando Costa spettava il titolo di “monsignore”, poiché era stato il decano del Capitolo della Cattedrale e di quel titolo lui andava particolarmente fiero.
Nato a Borgo Valsugana nel 1927, conobbe e frequentò a lungo la famiglia di Alcide Degasperi, del quale e sul quale non mancava di pubblicare frammenti di biografia.
Per la sua terra natale ha dato alle stampe corposi volumi, ripubblicando carte sparse e sintetizzando vecchie pubblicazioni di autori degli ultimi due secoli. Ha curato inoltre volumi sui vescovi di origine trentina, sulle parrocchie e le curazie della diocesi di Trento. Per molti anni ha confezionato l’Annuario Diocesano, il vademecum con le biografie (in sintesi) dei preti e dei religiosi presenti e defunti. Uno strumento formidabile per i giornalisti che si occupavano e si occupano di informazione religiosa.
Dei pochi iscritti all’UCSI (l’Unione cattolica della Stampa Italiana) è stato per quasi vent’anni il “consulente ecclesiastico”, una sorta di guardiano dell’ortodossia. Un intervento chirurgico in tarda età gli aveva fatto lasciare la tonaca sull’attaccapanni della sua stanza. Quando aveva ripreso a deambulare liberamente, s’era reso conto che poteva fare il prete anche senza quel pesante fardello nero. Un piccolo frammento di libertà, conquistata con fatica così come per tutta la sua lunga vita ha faticato ad accettare le novità. In fondo fu coerente. Ed anche chi lo criticò perché le considerava un conservatore, nel momento della morte non può che onorarne la memoria ed inchinarsi al suo ricordo.