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    Home»El cantòn del Filò»Il patrimonio degli emigrati in Usa
    El cantòn del Filò

    Il patrimonio degli emigrati in Usa

    Louis BrunelliBy Louis Brunelli12 Febbraio 2022Aggiornato:15 Febbraio 2022Nessun commento7 Minuti di lettura
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    Con una articolata analisi, Louis Brunelli, nato negli Stati Uniti nel 1940 da genitori partiti negli anni Venti dal Bleggio, cerca di spiegare perché gli americani figli dell’emigrazione si dicono “Tirolesi”. Louis Brunelli non pretende di far cambiare idea a noi che pur discendenti della medesima storia ci sentiamo fieramente trentini, italiani ed europei. Esprime la propria convinzione e non da oggi. È il suo punto di vista ma la dialettica è il sale del confronto. E il rispetto è reciproco. (af)  

    Un patrimonio è la proprietà ereditata dal padre o dall’antenato maschio. Nel modo fisico tale proprietà può includere campi, casa, negozio o soldi. La stessa proprietà definitamente può includere cultura, famea, parentela, cittadinanza e religiosità. Il concetto di eredità suggerisce e indica un diritto, un tipo di testamento obbligato e indiscutibile protetto dalla legge e dalle usanze internazionali. Nella epistola ai Galati 4:7, abbiamo la conferma del nostro patrimonio divino: Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio. 

    L’emigrante ha non solo il patrimonio della sua patria, delle proprie origini, ma riceve quasi come un regalo e di sicuro il suo diritto al patrimonio del suo nuovo Paese che diventa veramente la sua “heimat”.  Perciò io, nato in Merica, figlio di un padre, cittadino dell’Impero degli Asburgo, ho un forte legame e un vero diritto e il privilegio di abbracciare e legarmi al patrimonio del mio padre e quello della mia cittadinanza americana. Per i nostri emigranti, cittadini dell’Impero e del Tirolo storico, nati o partiti prima dell’annessione all’Italia, gh’è una complicazione. Loro partiti e separati avevano la circostanza di perdere il loro Paese e la loro “heimat” Tirolese perchè l’annessione all’Italia ha eliminato, fatto sparire il loro Paese di mille anni e perciò si può dire che è stata una diaspora più virtuale che reale.

    Recentemente, sono stato rimproverato da qualcuno del Trentino per aver nominato Andreas Hofer, Eusebio Chini, Alcide de Gasperi e il cardinal Joseph Bernardin, arcivescovo di Chicago come i miei eroi, la mia fiera eredità, il patrimonio ideale derivato dal mio papà. La mia risposta è stata: “balle”! 

    In comune con la mia critica, ho proclamato che mille anni di sovranità germanica del Tirolo, il Tirolo stesso, la sua storia, i Principati, l’Impero, Rango e Cavaione, i paesi, le valli, le montagne, le Dolomiti, i miei beati morti nei cimiteri, l’anagrafe nelle canoniche dei mie genitori e avi, i miei avi presenti a Rango da un millennio, la nostra religiosità, la nostra cultura, il nos dialèt, le nostre tradizioni, la nostra cucina, sono tanto mie che loro.

    Tali cose nominate e ancora tante altre sono equivalenti al mio patrimonio Tirolese. Nato in Merica, per mezzo di mio padre, sono diventato cittadino, un patrimonio americano. Da piccolo i miei cari genitori mi hanno insegnato ad amare, abbracciare, rispettare gli Stati Uniti d’America che sono diventati il loro e anche il mio paese. Nelle scuole americane, ogni mattina prima dell’inizio dell’insegnamento, con tutti gli altri alunni giuravamo davanti alla bandiera americana la “pledge of allegiance”, il pegno di fedeltà. Come studente, ho imparato le storie dei nostri primi emigranti… coloni. Coloro che sono stati i fondatori del nos paes, la creazione del nos paes, l’eroismo dei nostri primi coloni quasi come i guerrieri di Andreas Hofer che hanno lottato contra gli eserciti più forti di Europa, la nostra Dichiarazione di Indipendenza, il nostro esperimento con la democrazia: George Washington, Abraham Lincoln e l’eroismo dei nostri giovani che hanno liberato l’Europa dal nazismo nel corso della Seconda guerra Mondiale.

    Il “Filò – un giornale per gli Americani di origine Tirolese” – Agostino Brunelli, il papà di Louis, emigrato in USA dal Bleggio

    Questa dualità di patrimoni è veramente una cosa americana. Nella sua tolleranza e fedele alla propria identità di essere una nazione formata da emigranti arrivati da ogni dove, siamo incoraggiati di abbracciare le nostre origini. Per contro, durante il fascismo, i Sudtirolesi erano perseguitati dall’intolleranza del governo che li aveva forzanti ad abbondonare la loro cultura germanica con la vicenda delle Opzioni (1938). Tutti noi, figli di emigrati, abbiamo la nomenclatura che combina le origini con la nostra identità americana. Tale combinazione di identità è veramente la nostra sociologia americana. La combinazione specifica e arricchisce il nostro posto unico in un Paese di grande diversità. Noi accettiamo facilmente questa trasformazione. Per voi è stato diverso e cerco di spiegarmi.

    L’annessione all’Italia non è stata una scelta dal popolo. Non c’è stato un plebiscito, un’espressione popolare. La popolazione è diventata italiana senza se e senza ma, tanto che i nostri nonni si dicevano: “taliani ciapàdi col sciòp”. È stata una conquista e ne è risultata una minestra politica fra Inghilterra, Francia, USA e l’Italia irredentista. Così la storia o meio dir la polenta l’è stata fatta. Ma io credo che ci sia una protesta o un appello legittimo. I mille anni del Tirolo, gli otto secoli del Principato vescovile e gli anni seguenti anni dell’Impero non sono la storia degli Abissini. È la vostra storia e la nostra storia: una storia di tutti voi e di tutti noi. 

    La gran maggioranza di noi (americani di origine tirolese) nati prima o partiti prima dell’annessione non sono stati esposti al processo di italianizzazione, con l’Irredentismo, il nazionalismo e poi il fascismo. Voi siete stati ricostruiti mentre noi altri restavamo via, lontani, separati, ed eravamo legati all’Impero, alla nostra identità Tirolese e alla Chiesa cattolica. Questi cambiamenti hanno avuto una caratteristica di intolleranza come si vede in un modo drammatico con le Opzioni nella persecuzione dei Sudtirolesi durante il Fascismo. Questa intolleranza si manifesta nei nostri rapporti con la Provincia (autonoma di Trento) che ci accetta solo con il prerequisito che noi accettiamo quello che voi siete diventati dopo l’annessione. Per essere accettati noi dovremmo abbondonare la nostra storia e la identità per diventare “taliani” o Trentini. Perciò la nostra comune storia prima dell’annessione, la nostra autentica e storica identità sono trascurati. La nostra identità, sviluppata dalle nostre esperienze di emigrazione e dalla nostra storia comune, richiede una riconoscenza e rispetto e una consapevolezza della nostra diversa individualità. 

    Nel mio ruolo di “bidel del Filò”, in contatto con cosi tanti che leggono il Filò e in contatto con i tanti che mi chiamano di frequente, mi meraviglio a osservare come la nostra comunità Tirolese Americana, nonostante le nuove generazioni tengano forte e distinta questa identità confermata e insistita dai loro nonni e padri e mamme e nonne dei nostri primi emigrati e riconfermata dai loro discendenti. È veramente una meraviglia, un fenomeno che dopo più di cento anni “ghe na mareia” (c’è una moltitudine) di testimoni sparsi per ogni parte degli USA che si dichiara “Tirolesi”. Tale testimonianza riflette e conferma come i nostri emigranti si sentivano, come si pensavano e come avevano insegnato ai loro figli.  Il mio papà Agostino con il suo “mi sun Tiroles” era un cittadino americano fiero ed esemplare. Era e rimane il modello della mia dualità di patrimoni. Egli si è ingegnato a parlare e scrivere in inglese; teneva agli affari e alla politica del Paese, votava, leggeva i giornali ogni giorno, era ambizioso di conoscere la Merica … cossa saràlo ‘sta Merica? Durante la seconda guerra mondiale, quando avevamo paura che i sottomarini tedeschi arrivassero sulle nostre spiagge, il mio papà faceva la guardia nei dintorni, svuotando le strade e spegnando le luci. In dialet: el me insegnava la politica americana. Ogni due settimane, insema con la mia mamma Adele, mandava soldi e pacchi ai nossi parenti nel Bleggio. Con i suoi amici Tirolesi ha lavorato nelle mine (miniere) di Pennsylvania, le fabbriche di Solvay a New York, a scavare i tunnel per la metropolitana di New York. Ha fatto lo scaricatore del porto, il bidello negli edifici del Greenwich Village (dove i Meridionali lo chiamavano: “Austriaco”) e infine il sagrestano della chiesa degli emigrati intitolata alla Madonna di Pompei. 

    Il timbro di esser merican, la ciresa sulla torta, era che lui è diventà un grande tifoso della squadra di baseball Newyorchese, gli Yankees del baseball, il passatempo superlativo americano.Caro e beato lui che mi ha dato e mostrato l’amore e la passione per i miei preziosi patrimoni! Evviva tutti i padri dei nossi emigranti che hanno regalato il nostro caro patrimonio del Tirolo ai loro figli! Grazie, padri!

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    Louis Brunelli
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    Louis Brunelli (1941), è un “Mericàn Tirolese”, figlio di emigrati da Cavaion del Bleggio. È nato a New York dove il papà Agostino lavorava, prima come scaricatore di porto, poi come operaio nello scavo delle gallerie della metropolitana. Si è laureato in psicologia ed ha svolto la professione di psicologo e formatore negli istituti superiori di New York. Per tre anni si è occupato dei carcerati. Vive a nord di New York, tra le colline vicino all’Accademia militare di West Point. Pubblica riviste di collegamento e indirizzo dei giovani verso le università americane. Per i discendenti degli emigrati dal Trentino (già Tirolo italiano) pubblica un trimestrale: “Il Filò”.

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