Sfrattata per fine locazione, una famiglia di giovani immigrati dalla Romania, in Trentino da 15 anni, con 3 bambini piccoli, è alla ricerca di un alloggio. Hanno sempre pagato l’affitto, cercano casa e non fanno questione di pigione. Ma sono immigrati e questo è lo stigma. “Non abbiamo problemi economici – ha dichiarato la mamma dei tre bambini a IlT-quotidiano – facciamo una vita umile ma non ci manca nulla”. Gli appartamenti liberi ci sarebbero ma… Vuoi perché gli affitti “brevi” rendono di più, vuoi perché “sono stranieri” (e questo è il punto), dopo aver dormito alcune notti in un’automobile sono stati alloggiati per qualche giorno in un albergo della val di Non. Prima della politica, che annuncia ponti (ma solo in Sicilia) e alza da anni muri, questa vicenda è la cartina di tornasole degli egoismi che avvelenano la nostra società: italiana ed europea. Perché gli sfrattati dall’umanità oggi siamo noi.
Ci sono alcune cose che non si comperano. Fra queste una è la dignità. Si tratta di un vocabolo quasi desueto, nel nostro vocabolario sempre meno accogliente. Però talvolta si vede comparire nello sguardo di persone che chiedono solo di essere considerate tali. È quella dignità che, in questi giorni, abbiamo visto sul volto di una famiglia che non chiede compassioni caritatevoli; non implora aiuti improbabili ed iperbolici, ma domanda solo di poter vivere come gli esseri umani. Non come “cose”, qui depositate dalla marea della storia.
A forza di seminare diffidenza, sospetto e rancore, qualcosa sta maturando. Purtroppo sono i frutti avvelenati delle predicazioni elettorali primatiste, degli egoismi eletti a sistema, del rifiuto consapevole dell’ “Altro”, in una spirale che rende mefitica l’aria del quotidiano.
Da anni molti, troppi blaterano sul valore della memoria, ma quasi nessuno rammenta quando l’“Altro” eravamo noi; quando eravamo i respinti, gli abbandonati, gli sfruttati e i “macaroni”; quando emigrare significava afferrare l’ultima speranza.
C’è un vuoto di memoria non riempibile, perché nessuno vuole ricordare. Eppure eravamo noi i reietti, noi la malavita, noi che puzzavamo e soffrivamo l’analfabetismo. Noi. Non loro. Noi.
L’incredibile vicenda di una famiglia europea che, regolare in Trentino da anni e con un normale reddito da lavoro, non riesce a trovare un appartamento in affitto da “Borghetto a Salorno”, ci dice soprattutto di questa nostra smemoratezza. E si badi bene, non si tratta di una famiglia marziana, bensì originaria di quell’Europa nel cui nome abbiamo costruito il presente e, sperabilmente, il futuro guidati dal principio dell’inclusione. Stremata da una ricerca infruttuosa, che è anche offesa al diritto di esistere oltreché testimonianza evidente della dissoluzione di quella solidarietà che ci rendeva una terra migliore, questa famiglia si è adattata a soluzioni al limite, anche sopportando una separazione dell’intimità domestica che pesa. Mamma e bimbi in tenera età alloggiati provvisoriamente in una struttura, mentre il babbo è costretto a dormire in macchina. Non chinano lo sguardo ed affrontano l’intollerabile con una compostezza e un rispetto che appartengono ad altre epoche e ad altro modo d’essere comunità. Ma la fierezza non basta. Serve qualcosa di concreto e subito, in una città dove risultano centinaia di appartamenti sfitti, di privati e non solo, che potrebbero adattarsi al bisogno di questa famiglia che, in definitiva, siamo noi.
Quando sentiamo esaltare i nostri vecchi e l’epopea dei loro sacrifici in terra straniera, con una retorica che puzza anzitutto di ignoranza, pochi pensano di fare un confronto con il presente, ma è in questa incapacità che muore l’umano che più di qualsiasi altra cosa dovrebbe abitarci.Confido che qualcuno possa scoprire di non essere sordo all’appello della necessità. Forse varrebbe più del biascicare di qualsiasi orazione, recitata anziché lievitata nella coscienza. E’ questa la strada della speranza, per noi che siamo loro.
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