Vietato parlare con i giornalisti. Il divieto firmato dal direttore generale della Provincia, Nicoletti, non è nuovo. Ma alla vigilia di una campagna elettorale senza esclusione di colpi, con dirigenti e funzionari devoti al punto da proclamare un endorsement nei confronti dell’aquila di riferimento, il divieto rimanda ai tempi del regime. “Se proprio dovete parlare con qualche giornalista concordate le risposte con l’assessore di riferimento”. Questo l’ordine di servizio ai dirigenti da diffondere, giù per li rami a tutto l’apparato burocratico provinciale. Le aquile di piazza Dante hanno proprio stravolto il mandato degli elettori: chiamati a governare si sono sentiti autorizzati a comandare. I giornalisti non si lasceranno intimidire. Né oggi, né in futuro. Nel merito la nota di Pier Dal Rì che è stato a lungo dirigente della Provincia autonoma di Trento e che per dire la sua non è costretto a chiedere il permesso a chicchessia. (af)
Sì, non mi firmo Golem da Praga, come non uso più lo pseudonimo Erpi o Potachin da Caden. Da molto tempo, ormai mi firmo con nome e cognome. Confesso che, avendo frequentato il palazzo per molti anni, sia sui corridoi sia nella stanza dei bottoni, di questioni ne ho viste di vari colori. Le mie orecchie hanno captato ragionamenti, idee, proposte, piani e strategie a vari livelli per assicurare al Trentino il miglior governo. Lo debbo confessare con franchezza che non ho mai visto le sfacciate scene di commistione fra idee e strategie politiche forse perché prevaleva l’impegno consapevole di essere amministratori di un Ente pubblico; di rappresentare i consoli di una italianizzata piccola terra di un vasto impero Austro-Ungarico. Consapevoli tutti – eletti e funzionari – che esistevano due mondi distinti e separati. Il far politica da una parte e l’amministrare al meglio dall’altra, ognuno con proprio stile e con proprie sedi, con uomini sempre diversi e spesso pure in conflitto fra di loro per le loro visioni.
Al mio tempo ognuno era titolare delle proprie idee e funzioni delle quali poteva vantarsi coltivando sogni anche di un rinnovo della classe politica. Ma tutto accadeva sempre entro un alveo ben definito, arginato e correttamente presidiato. Non era raro sentirsi dire che in Provincia ciò che contava erano le leggi da applicare, i progetti da realizzare, le competenze da attuare, un futuro da assicurare. Per quanto mi riguarda anche la fantasia e la creatività da portare dentro le grigie stanze dallo stantio profumo ministeriale. Un tempo c’erano le sedi deputate alle parole dure e crude, i coltelli fra i denti, le lingue mai zittite e le correnti portavano febbri e malesseri molesti. Via S. Francesco, via Gazzoletti, via Suffragio, indicavano la sede dei partiti maggiori (DC, PSI, PCI) nei quali la politica era viva, il luogo nel quale si indicava e si designava chi doveva smettere di far politica di partito per dedicarsi al governo. Nell’ultimo decennio del XX secolo tutto questi finì, anche miseramente, col tintinnar delle manette in nome di “mani pulite”, con molta confusione, con lo strano connubio fra diverse funzioni di chi aveva la vocazione per la gestione della cosa pubblica e il pensiero politico.
Ora i fatti e le circostanze parlano chiaro: le stanze dei bottoni sono in piazza Dante. Al posto del crocifisso, della fotografia del presidente della Repubblica, dell’aquila di S. Venceslao si è issato ed affiancato il simbolo del partito vincente. Ma non basta: anche lo stile di governo è quello del partito. L’immagine è quella di un potere conquistato, di una “magnadora” presidiata da una sedia da tenere occupata. Povero territorio alpino, ex regio-imperiale, lasciato senza idee, senza regole e garanzie. In questi giorni si legge di dirigenti che sprecano lodi per taluni candidati e offrono consigli per il voto; diffondono circolari che vietano le espressioni di dissenso o di critica per atti dovuti, anche se soltanto tecnici e giuridici, perché potrebbero ostacolare i piani e le strategie politiche.
Si legge di persone delle segreterie al servizio di politici in scadenza, che vengono innestate nei ruoli che contano dell’amministrazione che resterà anche dopo di loro, le quali potranno, anzi dovranno, ringraziare e sentirsi in debito con chi ha “premiato” stima e manifestato generosità di fine mandato.
Se qualcuno dirà che si è sempre fatto così, vorrei replicare che adesso la misura è colma. Alcune leggi di dubbia costituzionalità ci hanno regalato un organo legislativo provinciale fatto più di premiati che di competenti; un’amministrazione che ha concentrato nella stessa stanza funzioni di governo e strategie di visione politica. È morto il Trentino che molti hanno apprezzato, quello che andava avanti, faceva da apripista per nuove idee ed intuizioni. Un trentino laboratorio, una fucina di futuro e competenze da esportazione. Oggi sembra solo un grande laboratorio di analisi che fa emergere risultati e valori che sono solo l’indice di malattie in arrivo, preludio di uno stato di malessere diffuso. Il popolo è sovrano, certo. Temo sia finito il tempo dei sovrani illuminati.