Povero vin rosso: dai gradi (alcoolici) più alti al gradino più basso della scala sociale (intesa come cantina). Nella persistente siccità atmosferica si odono sussurri e grida salire dai campi del vino invenduto. Laghi di vin rosso richiamano l’immagine di quello di Tovel che il glenodinium sanguineum Marchesoni arrossò fino al 1964. Tra i vini rossi che il mercato richiede in misura minore alla produzione, dilagano i vini robusti, da arrosti e carni grasse. Nei calici si diffonde il sovranismo dei “Bianchi” anche se in politica si è assistito al sopravvento dei “Neri” sui “Rossi”. È il tramonto del “rosso”, dal bicchiere alla politica? Nello sconforto generale di chi produce più rossi che bianchi non resta che consolarsi con un calice. Di rosso, almeno alla mensa del nostro architetto-contadino Pier Dal Rì il quale, a dispetto del mercato, continua a professare la propria fede nel Teroldego.
Il vino rosso non va più. È allarme nel mercato: i vini rossi, anche quelle buoni e celebri, quelli che si fanno roteare nei calici a “ballon” per annusarne profumi ed aromi, sono in crisi. I responsabili delle cantine sono preoccupati vedendo i vini bianchi che vanno a ruba, mentre Teroldego e Marzemino, Pinot e Merlot non li vuole più nessuno, dicono. E via con la produzione di lacrime, con la manifestazione di preoccupazioni, col ricorso alle analisi di mercato e alla ricerca di contromosse per far tornare il vino rosso “re del mercato”.
Fra i vini è quello che macchia la tovaglia, tinge il risotto, macera i brasati, aiuta a creare l’atmosfera, trasforma le riunioni importanti in cenacolo da summit. È quello che consente di aprire bottiglie datate e coperte di polvere antica; che ama esser versato dentro bolle di vetro soffiato. Se non si fosse ancora capito, io amo il Teroldego; lo produco e penso di esserne un degno figlio. E sono fiero di essere stato indotto a coltivare, su terreni non vocati a questo nettare rotaliano, pure il Pinot grigio e lo Chardonnay. Ma il primo amore resta sempre lui, il Teroldego.
Quando dico che sono nato sotto una pergola è inteso che fu di Teroldego. Il geografo Cesare Battisti definì la piana Rotaliana, coltivata a Teroldego, “il più bel giardino vitato d’Europa”. Se penso al principe del vino trentino, non me ne vogliano gli aedi del marzemino, penso proprio a lui. D’accordo, ha un nome poco americano, poco francese, poco orecchiabile, duro e scabroso, inadatto per una pronuncia musicale di facile cantilena come Lagrein, Pinot, Sauvignon.
Sono certo, a questo punto, che i guru della comunicazione promo-pubblicitaria, i “maghi” del mercato, si metteranno al lavoro. Ai contadini si chiederanno, ancora una volta, di far meno e di far meglio. Se andate a vedere sui Social network troverete che tutti, tanti almeno, si propongono con un bicchiere di vino in mano: ed è vino bianco. Basta por mente ai fiumi di spritz, ai bar di tutto il mondo che con gli “apericena”, le “aperimerende”, le “aperifeste” di laurea, di fidanzamento, di compleanno; o solo con il classico cin cin, “che-bello-vedersi”, brindano col vino frizzante e bianco. Il vin rosso macchia i denti, tinge le labbra, “insapora” la bocca, la quale, con qualche retrogusto, diviene meno attrattiva per quel bacio che, dopo l’aperitivo, molti sperano costituisca il lieto e logico fine dell’incontro.
Per parte mia, spero che il mercato compia la magia di un rilancio del “rosso” perché i contadini, il loro impegno lo hanno profuso. Per risollevare il mercato non si può contare solo su Mauro Corona (che non pare discepolo del tappo “corona”) il quale dice, anche dalla “Bianchina”, di aver in odio il prosecco e di amare il vino rosso. Il fatto è che il Rosso è vino da carne ed i consumatori sono sempre più vegetariani o appassionati dei menù di pesce. Il Rosso è vino per secondi piatti e, per la linea, molti si fermano al primo. In pizzeria, i Rossi non legano e non dilagano e non scalzano la birra. I Rossi non sono più di moda nemmeno in politica dove, tra un passo dell’oca e i saluti romani, al momento prevalgono i Neri.
Mi piacerebbe vedere in TV uno spot: “Bevi e respira, sei in Trentino” e sul fondale immagini da “rosso di sera, buona giornata di spera”. Forse sta tutto lì: suggestioni, martellare con tormentoni, magia della pubblicità. Non basta dire che sul mercato del vino sono comparse le donne e loro solo di rado amano i vini rossi. Negli stadi, nei palazzetti dello sport, gli striscioni pubblicitari declamano il vino leggermente frizzante. Sul palco della Formula Uno, la “rossa” vincente non sale più, ma il Ferrari brut si! Al Giro d’Italia, la maglia rosa si festeggia col vino bianco.
Il popolo che punta alla riscossa, fra la Barbera e lo Champagne deve ricredersi e tornare ai Barolo, Sangiovese e Chianti. E se sono trentini dovrebbero cantare e decantare i propri vini. Non sarà un “Te Deum” ma, da principe dei vini a barbone dei mercati, ci sarà pure una via di mezzo per il “Te Roldego”. Per il quale oltre a una campagna fertile dove lo si coltiva serve anche una efficace campagna pubblicitaria che lo possa e lo debba proporre.