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    2 – Il Sinodo che arranca

    redazioneBy redazione18 Maggio 2022Nessun commento6 Minuti di lettura
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    Benché elitario, o almeno creduto tale da chi (e sono i più) vive ormai ai margini del dibattito e delle scelte interne alla Chiesa cattolica romana, il sinodo avviato nell’autunno scorso escogita i luoghi all’apparenza più strani per dispiegare le proprie vele. Dopo il dibattito fra ex preti in una canonica in Alto Adige, un gruppo di intellettuali si è incontrato per ragionare sul rapporto fra società e Chiesa cattolica nientemeno che nelle sale del Museo storico di Trento. Vi proponiamo la sintesi elaborata da Vincenzo Calì, Roberto De Bernardis; Roberto Colletti; Silvano Bert; Vittorino Rodaro

    A ragionare sul rapporto fra la società e la Chiesa ci incontriamo al Museo storico. Appassionati di storia, diversi per cultura, siamo consapevoli che per capire il presente, la società moderna secolarizzata, non si può sfuggire alla domanda: ma prima cosa c’era? Perché nel 1475, a Trento, gli ebrei vennero condannati a morte ed espulsi dalla città, e il piccolo Simone fu venerato come santo, mentre nel 1965 ci fu la revisione del processo e il culto fu abolito?  Prima c’era la cristianità: la Chiesa e la società coincidevano nella cultura, nella politica, nell’etica. Dio aveva voluto la terra al centro dell’universo, tutte le specie create distinte all’origine, al potere i sovrani assoluti, la sessualità in funzione solo della procreazione. In Europa tutti i bambini erano battezzati, le coppie si sposavano in chiesa, i funerali erano religiosi. 

    La modernità è la sfida della libertà, che chiama tutti alla responsabilità, lo scienziato, il cittadino, il credente. Ma la gerarchia della Chiesa cattolica reagisce con la condanna, intransigente. Lutero è considerato il primo colpevole, perché riconosce al cristiano il diritto al libero esame della Bibbia. E’ ancora aperto il dibattito se il Concilio di Trento (1563) è stato “riforma” o “controriforma”. Certo ha separato la Chiesa docente, il clero, dalla Chiesa discente, il popolo, destinato a obbedire, in silenzio. Se oggi il Sinodo per cui siamo qui arranca nella partecipazione, la spiegazione viene da lontano. La fine del potere temporale a Roma (1870) e quella del principato vescovile a Trento (1803) sono state vissute come tragedie, non come eventi provvidenziali. Eppure, nella nostra storia, non sono mancati gli sprazzi di luce: il vescovo Cristoforo Madruzzo in concilio, a Trento, propose la lettura per tutti della Bibbia, in lingua volgare; il filosofo Antonio Rosmini riconobbe le cinque piaghe della Chiesa; Lorenzo Guetti, contro la povertà, avviò la cooperazione sociale.

    La svolta avvenne con il Concilio Vaticano II (1965) che non considera più la modernità un nemico, ma il contesto storico in cui testimoniare la fede, sempre più culturalmente e religiosamente plurale. Il “popolo di Dio”, a fatica, si espresse nelle Comunità di base, nei movimenti spontanei, nel pluralismo politico, nella simpatia per la teologia della liberazione, nell’acquisizione della laicità. Vittorio Cristelli, il direttore del settimanale diocesano Vita Trentina, fu difeso dal vescovo Alessandro M. Gottardi. Le resistenze nella ricezione del Concilio infatti furono forti. Oggi è lo stesso papa Francesco a individuare il peccato della Chiesa nel clericalismo. Quando due leggi della Repubblica, che legalizzavano il divorzio e l’aborto, nel 1974 e nel 1981 furono sottoposte a referendum abrogativo, furono difese anche con il “no” di molti cattolici, anche trentini. Nel 2015, a organizzare un convegno, laico, “A 50 anni dal Concilio Vaticano II” fu l’Associazione del Museo storico. Lo storico Luigi Sandri concluse la sua relazione con una domanda: “La contestazione corale del ‘popolo di Dio’ è uno dei dati teologici più interessanti del post-Concilio. I numerosissimi cattolici che mettono in discussione, in teoria e soprattutto in pratica, l’Humanae vitae [l’enciclica con cui Paolo VI nel 1968 aveva condannato la ‘pillola’ per il controllo delle nascite] sono una massa di peccatori, o forse hanno intuito l’estraneità di quell’insegnamento al Vangelo?” Anche la storia, soprattutto nelle tensioni, è luogo teologico, fonte di rivelazione.

    Nemmeno la libertà religiosa nasce dentro la Chiesa. Anzi, in Concilio, fu il tema più controverso, e proprio fra gli italiani furono numerosi i vescovi che si opposero perché, sostenevano, “la verità non può avere gli stessi diritti dell’errore”, e “non può essere lo stato il garante”. La conseguenza è che ancora oggi l’Italia dispone di un Concordato con la Chiesa cattolica, ma non dispone di una legge sulla libertà religiosa. Nel 1981, in occasione della riforma del Concordato, fu mantenuto a scuola l’insegnamento confessionale, ma solo facoltativo, della religione cattolica. La Democrazia cristiana e la Curia di Trento avrebbero preteso, in nome dell’autonomia speciale, di conservare l’ordinamento fascista. Ci volle una circolare del ministro Guido Bodrato, un democristiano liberale, per scongiurare la pretesa. Nel vuoto cadde la proposta di un gruppo di insegnanti di sperimentare un insegnamento laico di storia delle religioni, obbligatorio per tutti. In una società sempre più plurale, frutto anche dell’immigrazione, è una proposta che oggi andrebbe ripresa con coraggio. A Trento, in un convegno del 2017, “A 500 anni dalla Riforma di Lutero”, furono due storici, Alberto Melloni, cattolico, e Paolo Naso, valdese, a dichiarare, di fronte a un manipolo di vescovi cattolici allibiti e silenti, che il regime vigente non solo produce analfabetismo religioso, ma è anche una “contro-testimonianza di fede”. La libertà religiosa riguarda anche i luoghi di culto. A Trento, nel 2008, nella settimana di Pasqua, la Comunità di S. Francesco Saverio, in risposta a una raccolta di firme organizzata dalla Lega, ha donato alla Comunità islamica una colletta per la moschea. Le polemiche furono aspre, contrario si dichiarò anche il vescovo Luigi Bressan. Oggi i tempi sono maturi per andare oltre il Centro islamico di Gardolo.

    Trento, negli anni del post-Concilio, è stata una diocesi attiva nel dialogo fra le confessioni cristiane. Le iniziative di Silvio Franch si sono rivolte soprattutto alle Chiese ortodosse. Ma quanto lo spirito dell’ecumenismo è penetrato nel corpo massiccio della nostra Chiesa? E a che punto è il dialogo fra le religioni, con l’Islam innanzitutto, promosso da papa Francesco? Alla giornata annuale del dialogo partecipano minoranze esigue dell’una e dell’altra comunità religiosa, con i cattolici sempre meno numerosi dei musulmani. Le parrocchie sono sorde agli inviti di Cistiano Bettega. Noi crediamo che anche questa difficoltà sia addebitabile a una carenza di coscienza storica.

    Concludiamo il nostro contributo richiamando un fatto oggi dimenticato dai più. La diocesi di Trento ha compreso a lungo un ampio territorio di Bolzano. I contesti storici sono certo diversi, dal Principato vescovile all’Impero asburgico, dall’Italia fascista alla Repubblica democratica. Ma sempre la diocesi ha faticato nel favorire la convivenza fra popolazioni, cattoliche, ma di etnia e lingua diverse. Solo nel 1964, nel contesto conciliare, fu possibile far coincidere i confini diocesani con quelli politici. Fu merito grande di Joseph Gargitter, vescovo di Bressanone e poi anche di Bolzano, che a Trento, nei due anni (1961-63) in cui Giovanni XXIII lo nominò amministratore apostolico, non fu certo amato. Oggi Ivo Muser e Lauro Tisi assicurano che fra le diocesi c’è collaborazione. 

    Trento, 6 maggio 2022. Gruppo sinodale nella Biblioteca del Museo storico

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