Con la fiera di S. Giuseppe (19 marzo), a Trento, che torna dopo la sospensione di due anni a causa della pandemia, si riannodano i fili di una tradizione mercantile che vanta circa mille anni. Quando l’e-commerce e i centri commerciali non avevano ancora strangolato i negozi di prossimità, le piccole botteghe di paese, le fiere erano l’appuntamento atteso soprattutto dal mondo contadino. Vi si acquistavano sementi, derrate, stoffe e quanto mancava nella modesta conduzione dell’economia familiare. Può essere utile, pertanto, rammendare la trama, sfilacciata dagli anni o negletta dal calendario della modernità: per volgere al presente il passato remoto. “Ci fu un tempo in cui…”
Le fiere si tenevano già duemila anni prima di Cristo, ma nel Medioevo fu considerato un “privilegio” poterle organizzare sul proprio territorio. Si dicono fiere perché avvenivano nei giorni di festa, in particolare in occasione della ricorrenza del santo del quale prendevano poi il nome. Si svolgevano attorno alla chiesa principale e duravano più giorni, da tre fino a quaranta. I mercati si esaurivano invece in una o due giornate.
A Trento, si tenevano fiere cittadine ben prima dell’istituzione del Principato vescovile (1204). Di certo, nel 1171 la comunità aveva una piazza del Mercato vicino al fondaco delle granaglie. Riceveva il frumento e altri grani che arrivavano sulle zattere attraverso l’Adige. La contrada del Mercato (oggi via Manci) è citata in un documento del 1236 nel quale sono nominate le fiere di San Gallo (16 ottobre) e della Dedicazione della Cattedrale (18 novembre). Nel Libro dei Sindaci degli “Statuti di Trento” del 1340, sono elencate le norme che regolavano le fiere e i mercati nel basso Medioevo.
Si iniziava con le “feriae carnis privii”, vale a dire la fiera delle Ceneri. Si teneva dal martedì grasso alla prima domenica di Quaresima.
Quella delle vendemmie cominciava il giorno della Natività di Maria (8 settembre) e finiva l’ottava dopo S. Michele (29 settembre).
La fiera della Consacrazione o dedicazione della Cattedrale aveva luogo dal 18 al 25 novembre.
Le fiere natalizie si tenevano dal 21 dicembre al terzo giorno dopo l’Epifania.
Nel corso del governo del principe vescovo Udalrico di Freundsberg (1486-1493) oltre alle fiere presero piede i mercati. Duravano due giorni: l’ultimo del mese e il primo del successivo.
Nel frattempo, le fiere più importanti erano state spostate da Trento a Egna e da qui a Bolzano. Scriveva (1754) l’abate roveretano G. Tartarotti: “Neumarkt significa Mercato nuovo e tal nome acquistò la terra di Egna, dopo che s’incominciò a farsi la Fiera, il che sicuramente avvenne dopo l’845”.
Nella città sull’Isarco si tenevano due fiere annuali di grande richiamo: a Mezza Quaresima e a S. Genesio (25 agosto).
A Merano ce n’erano altre due: a Pentecoste e a S. Martino (11 novembre).
Michel’Angelo Mariani, nel volume “Trento con il sacro Concilio et altri notabili” (1672) scriveva: “È fama che in Trento si celebrassero già le fiere di Bolgiano, et è probabile, mentre questa, in riguardo al sito, riesce una città forsi anche più comoda, almeno per le due Nationi Tedesca e Italiana, che fanno il nervo di tal emporio”.
Fino al 1600, Bolzano e Merano furono considerati centri “internazionali”. Vi confluivano i mercanti delle sete e dei broccati, dell’olio d’oliva, del vino e della frutta di provenienza italiana. Da nord arrivavano manufatti di ferro, rame, ottone, piombo, bronzo. Dal 1633 fu incaricato di sovrintendere a tali commerci un Magistrato Mercantile.
Gli imperatori favorirono i mercati di Bolzano con diplomi in due lingue: italiano e tedesco. Si segnalano, per importanza storica, il Diploma di Ferdinando II (15 dicembre 1635) e quello di Maria Teresa d’Austria (1° aprile 1744). Erano stati preceduti da “resoluzioni” di Ferdinando III, Leopoldo I e Carlo VI.
Per esempio, il cap. XXX del “Diploma de Clementissimi privilegi” di Maria Teresa, trattava “delle merci non soggette a contrabbando qualora succeda per colpa o malizia de’ carrettieri, o de’ conduttori”. Prevedeva che “le sole carrette e cavalli de’ medesimi dovranno essere castigati coll’arresto, e con altre pene esemplari, corporali e pecuniarie a misura del loro delitto”.
Quei “clementissimi privilegi” erano la risposta indiretta al recupero, da parte di Trento, del prestigio e dell’importanza delle sue fiere. Infatti, nella prima metà del XVI secolo, anche per contrastare la politica dei conti del Tirolo che avevano trasferito il traffico commerciale prevalentemente a Bolzano, Bernardo Cesio (1514-1539) eliminò i mercati di scarso rilievo e diede impulso (1528) alle quattro fiere più importanti.
- Dal primo lunedì di Quaresima e per otto giorni c’era la fiera della Casolàra (avviata prima del 1236), specializzata nei prodotti lattiero-caseari.
- Il 24 giugno cominciava la fiera di S. Giovanni Battista (detta poi di S. Vigilio).
- In autunno c’era la fiera di S. Michele (29 settembre).
- Dal 18 al 25 novembre quella della Consacrazione della Cattedrale.
D’accordo con il Magistrato Consolare (che era eletto dai cittadini e restava in carica un anno), il Clesio trasferì le fiere sotto i portici del Duomo, fece demolire i portici di legno che da via Suffragio scendevano in via Manci fino a via Oss Mazzurana; consentì la vendita di frutta, erbe e latticini al Cantòn.
Per richiamare commercianti forestieri, stabilì una sorta di salvacondotto. Durante la fiera nessun commerciante poteva essere arrestato per debiti, a meno che non avesse commesso frodi nel corso della manifestazione stessa.
Due settimane prima della fiera erano letti nel contado i proclami d’indizione; la stessa cosa era ripetuta otto giorni prima, in modo che i mercanti potessero raggiungere la città per il giorno stabilito. I posti di vendita erano assegnati, dietro pagamento di una tassa, da un commissario delegato dal Magistrato consolare.
Tutte le fiere cittadine avevano prologo con una solenne funzione religiosa. Vi partecipavano i Consolidella città (erano 6, nominavano il Podestà che doveva essere forestiero e non avere parenti a Trento) e le milizie del Principato. Alla fiera dovevano partecipare pure i commercianti della città i quali, in quei giorni, erano obbligati a trasferirsi in piazza e tenere chiuse le botteghe. La mercanzia era bollata dal Magistrato consolare. Gli abusivi erano considerati contrabbandieri. Tre persone erano incaricate di vigilare che non ci fossero imbrogli o truffe sul peso, sulle misure e sulle esportazioni fuori città.
Fino al 1762, i mercati (che si tenevano l’ultimo giorno del mese e il primo del successivo) offrivano generi vari “a riserva dei capi appaltati, cioè carni di manzo e castrato, pane, candele, sale alla minuta, acquavite ed altro, come dalle provvisioni sopra tali appalti seguite” (Proclama del Magistrato Consolare, 5 gennaio 1740).
Da quell’anno divennero mercati per soli animali. Si tenevano il lunedì dopo l’ultima domenica del mese. Il sabato, i contadini potevano scendere in città per vendere i loro prodotti. Nel 1740 tale mercato fu spostato la domenica. Passata la prima guerra mondiale, a Trento trovò sede in piazza Garzetti.
Il mercato della legna in piazza della Mostra
In piazza della Mostra, invece, dal 1912 fu aperto un mercato giornaliero di legna, carbone, manufatti di vimini (ceste, scope, e altro), pollame e conigli. Sin dal medioevo, la legna era venduta in piazza d’Arogno, in prossimità della Cattedrale. Vi arrivavano i carri carichi di rami dai dintorni della città (“dal contado”), ma non era infrequente, in caso di piene dell’Adige, che tronchi e rami fossero “pescati” con arpioni mentre erano trascinati dalla corrente o in prossimità delle anse del fiume, dove si ammassavano creando, talvolta, gorghi e pericolosi effetti-diga. Il recupero della legna nell’Adige fu praticato sin dopo la seconda metà del XX secolo.
La sconfitta dei Veneziani, con la morte del condottiero Roberto da Sanseverino (10 agosto 1487) nell’epica battaglia di Calliano, da parte delle truppe vescovili e tirolesi dell’arciduca Sigismondo del Tirolo, fu celebrata a Trento con l’istituzione della fiera di S. Lorenzo. L’anniversario divenne giorno di festa e, dal 1642, fu istituita una fiera che occupava tutto l’attuale centro storico della città: piazza Grande (del Duomo), il Cantone, piazza Vaccina (della Fiera), la contrada di S. Maria Maggiore e il ponte di S. Lorenzo. Scriveva (1672) il Mariani: “Il giorno di S. Lorenzo vi si fa fiera ogn’anno con gran concorso, servendo il Ponte dell’Adige per Merceria. Vi si tira al bersaglio, e seguono pubbliche allegrezze in memoria che in tal dì l’anno 1487 hebbero i Trentini vittoria sotto il Calliano, cantandosi perciò messa solenne in musica d’ordine, e intervento della città”. Era detta anche “féra dele zigole”, fiera delle cipolle, ma vi si vendevano verdure d’ogni tipo, fichi e uccelli da richiamo.
Il mercato sul ponte fu abolito nel 1674, trasferito in via della Prepositura e in piazza S. Maria. Da qui scomparve poco dopo la prima guerra mondiale.
Uccelli da richiamo e pure da… polenta, si vendevano nella fiera detta “dei osèi”, che si teneva il 24 agosto – S. Bartolomeo – in piazza delle Erbe e via Mantova a Trento.
Il mercato del pesce era in piazza Duomo, davanti al palazzo Pretorio; quello del grano sotto i portici della stessa piazza. Quello degli animali invece fu trasferito fuori porta S. Croce, in prossimità delle mura cittadine. Nel 1503 era chiamato “Forum venale”, nel 1525 “foro boario o equino”; più tardi “piazza vaccina”. Oggi è per tutti “piazza Fiera”. Nel 1552, su quel sedime furono costruiti magazzini di deposito, stalle e pure un’osteria per l’alloggio dei mercanti che arrivavano da fuori città.
Le fiere degli animali restarono in piazza Fiera sino alla metà del XIX secolo, quando furono spostate nella vicina piazza S. Francesco. Nel 1850 traslocarono nell’adiacente piazza d’Armi (oggi piazza Venezia), infine al foro boario di corso Buonarroti.
Il 5 febbraio 1852, dal Municipio cittadino fu diramato il seguente “Avviso”:
“Per deliberazione del Consiglio comunale le tasse per l’ingresso del bestiame nella piazza del mercato sono d’ora innanzi ridotte alla metà, e perciò pagheranno centesimi 15 di lira austriaca buoi, vacche, tori, vitelli civetti, cavalli, asini e muli. Centesimi 5, montoni, castrati, becchi, pecore, capre, agnelli, capretti, majali d’ogni età, vitelli mongani [vitelli da latte] e puledri”. Si scriveva, inoltre, che era “vietato ad ognuno il raccogliere, senza consentimento dell’appaltatore, le materie escrementizie deposte nel campo, delle quali egli è autorizzato esclusivamente a disporre”.
Domenico Barelli s’era aggiudicato per 580 fiorini l’asta “pel triennale appalto dell’esazione della tassa di posteggio nelle fiere d’animali in piazza d’armi, pel diritto di raccoglierne il letame e per la facoltà di vendita sul mercato di vino, vivande e frutta”. (Arch. storico comune di Trento, Atti civici, 1854)
Le fiere e i mercati nel distretto di Trento alla metà del XIX secolo
“Lunedì dopo la terza domenica di ogni mese (dura 1 giorno – cadendo di festa, la fiera si tiene il giorno susseguente); si vendono: animali e formaggi ordinarii. Dal primo al secondo lunedì di Quaresima (inclusi) durata: 8 giorni; si vendono: animali. Dal 24 giugno al primo luglio (inclusi): fiera di S. Vigilio (durata: 8 giorni); si vendono: animali e merce d’ogni genere. Il 21 settembre, fiera di S. Matteo (1 giorno); si vendono: animali e formaggi. Dal 18 al 25 novembre, fiera di S. Martino (S. Caterina); durata: 8 giorni; animali e formaggi. Il 19 marzo,fiera di S. Giuseppe (gelsi per la piantagione, castagne e fichi secchi). Il 3 maggio, fiera di S. Croce(utensili di legno per l’economia domestica e rurale). Il 13 dicembre, fiera di S. Lucia (bancarelle e utensili di legno). Il 10 agosto, fiera di S. Lorenzo (sete, aglio, cipolle e uccelli da richiamo). Il 24 agosto, fiera di S. Bortolo (uccelli da richiamo). Nei comuni rurali del distretto, di norma, non ha luogo alcun mercato. Cadendo taluna delle accennate fiere in dì festivo, a riserva di quella del 19 marzo, viene trasportata al seguente giorno feriale”.
Il Cantòn, ovvero l’angolo fra via Suffragio, via Manci, via S. Pietro, era un incrocio vitale del commercio e del traffico cittadino. Nei pressi di Torre Verde, in fondo a via del Suffragio, c’erano il porto, il Dazio e la dogana. Al Cantòn si vendevano formaggio, delle carni, degli insaccati, della frutta e della verdura. Quando Bernardo Clesio, nel XVI secolo, fece abbattere i portici in legno di via Lunga(via Manci) e liberare la via dalle bancarelle, per renderla più scorrevole ai carri e alle merci, al Cantòn restò il mercato delle erbe e dei formaggi. Chiamata “contrada erbarum” diventò per i trentini “’l cantòn dele revendaròle”. (Di fiere e mercati scrisse, nel 1959, Gino De Mozzi).
Il 27 agosto 1803 l’amministrazione comunale decise di trasferire anche questo mercato in piazza delle Oche, divenuta poi piazza “delle Erbe”, e qui furono collocate anche le bancarelle dei rivenditori d’alimentari che sostavano sotto i portici di piazza Duomo. Il trasferimento fu lento “finché, preparata con grave dispendio dei portici lungo la casa Taxis, ora vescovado (poi sede della Banca d’Italia), una tettoia ed altre cose necessarie, con editto 23 aprile 1805 tutti i rivenditori furon obbligati a trasferirsi nella piazza delle Oche. Ma verso la fine dello stesso anno si tornò ad occupare il Cantone, perché sotto i detti portici si eran collocate le mule dell’esercito austriaco; poi il Trentino passò alla Baviera (pace di Presburgo 26 dicembre 1805), e il Magistrato continuava a lasciar le cose come stavano, benché la nuova autorità politica insistesse anch’essa perché il mercato e la pescheria ritornassero nella piazza delle Oche” (L. Cesarini Sforza, 1896).
Passò un altro anno. Il re di Baviera, con due risoluzioni sovrane indusse il Magistrato a trasferire definitivamente bancarelle e verdura in piazza delle Oche. La quale divenne in tal modo piazza delle Erbe.
Il 3 maggio, a Trento, si celebrava la fiera di S. Croce, detta “dele scale” poiché vi si vendevano scale, ceste, gerle e attrezzature per l’agricoltura. Si teneva in piazza della Fiera, in prossimità della chiesa di S. Croce. Fu istituita nella prima metà del XVIII secolo e rimase florida sino agli anni Settanta del XX secolo. Poi, con la meccanizzazione dell’agricoltura anche le scale e altri oggetti di legno persero acquirenti. Sul finire del XX secolo, la fiera fu trasferita in piazza Duomo e le scale furono appoggiate alla parete nord della Cattedrale. Di solito si offrivano oggetti di legno confezionati durante l’inverno dai boscaioli dell’altipiano di Piné. Sennonché, le normative fiscali obbligarono anche quegli artigiani a rilasciare lo scontrino di cassa. Impossibilitati a tenere un regolare registro, o costretti a ricorrere al commercialista, i costruttori di scale preferirono perdere il modesto guadagno. Negli ultimi anni non si videro più. Nel tentativo di ridare alla fiera “dele scale” almeno un motivo per chiamarsi tale, l’amministrazione comunale di Trento invitò gli artigiani a ripresentarsi con i loro prodotti. Nel 2019 c’erano in piazza due commercianti bellunesi. I pinetani restarono a casa. Anche se snaturata, resta tuttavia una delle poche fiere cittadine superstiti, assieme agli appuntamenti mercantili di S. Giuseppe e di S. Lucia.
La fiera di S. Giuseppe (19 marzo), in anni recenti spostata la domenica più vicina alla scadenza, ha perso gran parte del suo fascino di “fiera di primavera”. Certo, in piazza Duomo si vendono i fiori e le piante. Attorno al centro storico ci sono le bancarelle (580, con oltre centomila visitatori). Tuttavia, non è più l’esclusivo punto di riferimento e di rifornimento per i contadini. Le piante si acquistano direttamente nei vivai, anche di fuori regione. La concorrenza maggiore viene dal mercato settimanale del giovedì che si tiene a Trento sin dal 1973.
Alla fiera di S. Giuseppe arrivavano le donne di Albiano a vendere le castagne (i mòndoli). Collocavano la loro mercanzia in via Larga (oggi via Belenzani), davanti al municipio. La domenica di Passione, sempre che non fosse concomitante con la fiera di S. Giuseppe, a Lavis si teneva, e si tiene tutt’oggi, la fiera della Lazzera. Avviata nel rione di S. Lazzaro, in sponda sinistra dell’Avisio (pertanto ancora territorio di Trento), superò il ponte di ferro e diventò la fiera lavisana per eccellenza.
Dopo settant’anni, la domenica di Passione del 2001 è ripresa, a Trento, la fiera della casolàra. È stata ripristinata, come l’antico mercatino del formaggio, in piazza Fiera. È scomparsa invece la fiera di S. Vigilio, un tempo detta di S. Giovanni Battista. Durava dieci giorni “et consiste la maggior parte in cavalli et vacche, delle quali ne vengono in grandissimo numero, come dire tre et quattro mila et più. Ci vengono ancor mercanti veneziani, veronesi, mantovani, ferraresi et tedeschi con mercanzia di diverse sorti” (A. Massarelli, Diario del Sacro Concilio di Trento).
Non si sa con esattezza quando prese piede, a Trento, la fiera di Santa Lucia. Nei primi decenni del XIX secolo era già attiva un’esposizione di “banchetti” nelle vie della parrocchia di S. Pietro nella cui chiesa c’è una statua della patrona dei ciechi. Nel 1828 l’imperial Regio Capitanato del Circolo di Trento sollecitò il Magistrato politico economico della città (l’attuale sindaco) “a toglimento di sussurri e schiassi molesti ai pacifici cittadini, che il giorno 12 corrente destinato per la fiera di S. Lucia la medesima debba cessare, rispettivamente ai banchetti, all’Ave Maria in modo che nissun proprietario di banchetti possa far uso del lume. Ai negozianti sarà però permesso, bramandolo, di tenere aperte le loro botteghe anche la sera facendo uso dei lumi”. L’anno seguente (1829) la fiera di S. Lucia si tenne il lunedì 14 dicembre poiché “secondo le sovrane disposizioni [erano] proibite fiere e mercati nei giorni festivi” e quell’anno la fiera sarebbe caduta di domenica.
A Trento, la fiera di Santa Luzia cominciava, di solito, la mattina del 12 dicembre. Le bancarelle occupavano tutto il centro storico. Dalla val di Cembra e dal Pianetano arrivano i venditori di oggetti di legno. Le donne di Albiano scendevano in città portando al collo lunghe collane di marroni, infilati in uno spago (“le sfilze de castègne”), che vendevano come prodotto tradizionale. Nel giorno della fiera di S. Lucia, sulle bancarelle c’era il “mandorlato” (il torrone) e si vendevano i “sughini”.
Se Trento era la città sul fiume, fin dall’antichità Riva del Garda costituì un fiorente porto commerciale. Punto di collegamento con la pianura veneto-lombarda, fu il principale approdo dei traffici e dei commerci del Trentino occidentale, dalle Valli Giudicarie a Ledro e Valle del Chiese. Dei mercati di Riva si ha notizia già prima del XIII secolo. Nel 1278 erano nominate le fiere di S. Andrea e dei Sette Santi Fratelli. Si svolgevano nella piazza adiacente il palazzo municipale. Nel Settecento vi fu aggiunta una fiera di settembre, ma la più importante fu considerata quella d’Ognissanti.
Adesso, la più celebre e partecipata dell’Alto Garda e del Trentino meridionale resta la fiera di S. Andrea, il 30 novembre. Riva aveva pesi e misure proprie che potevano essere imposte anche ad altre comunità in qualche modo sottomesse. Le aveva autorizzate il vescovo Enrico II (1274-1289) il quale (1275) aveva pure concesso alla comunità di Riva il diritto a sovrintendere alle fiere di Bolzano, di S. Sisinio a Sanzeno e del Bosco a Malé. Nel corso di quelle fiere dovevano essere adottati pesi e misure di Riva. Il diritto era tanto radicato che tali mercati non potevano essere aperti senza la partecipazione degli “homines de Ripa”. Vi presenziavano con il loro stendardo verde che era issato su un pennone in mezzo alla fiera.
I mercanti rivani che partecipavano a quelle fiere erano esonerati dalle imposte, e gli uomini di Riva stabilivano le misure, i permessi per la macellazione e la vendita delle carni. In caso di contravvenzioni, le multe erano equamente divise fra la comunità di Riva e il principe vescovo. Nel corso delle fiere di Malé e di Sanzeno, inoltre, i rivani avevano diritto di riscuotere lo “stationaticum”, la tassa di posteggio. Ad Arco, la fiera di S. Simone (28 ottobre) era nota per il mercato degli animali. La più celebre era quella di Pentecoste. Durava tre giorni, si teneva “al Spiazzo di Pomaro”, ed era specializzata nella vendita di “formazi, serbami, frutti, pessi”. Altro appuntamento era nel piazzale davanti al santuario delle Grazie (8-10 settembre) con la fiera di animali. Resiste la fiera di S. Anna (26 luglio). Un tempo durava tre giorni e proponeva sete e stoffe di vario genere.
Rovereto, invece, più che città mercantile fu città d’industria. Tuttavia nel XIII secolo, Corrado da Beseno (1188-1205) istituì una fiera a S. Ilario. Si teneva gli ultimi tre giorni di aprile. Gli “Statuti” della città di Rovereto (1611) confermarono le tre fiere maggiori che si erano formate nel corso dei secoli. Duravano tre giorni ciascuna. Erano i mercati dell’Ascensione, della festa di S. Marco (25 aprile) e la più celebre fiera di S. Caterina d’Alessandria (25 novembre). Prima dell’inizio della fiera e del mercato settimanale suonavano le campane.
Ala godeva il “privilegio di cinque Fiere annuali e di un mercato mensile di bestiame e di grani”. Erano le fiere di S. Giuseppe, S. Giovanni Nepomuceno, S. Valentino (il lunedì successivo la prima domenica di settembre), S. Luca (primi tre giorni dopo la terza domenica d’ottobre), e S. Leonardo.
A Mori fu istituita la fiera di S. Biagio (3 febbraio). Pure questa durava tre giorni e vi partecipavano mercanti veronesi, vicentini e bresciani. Due fiere catalizzavano l’interesse della popolazione nella vicina frazione di Tierno: il 25 aprile (S. Marco) e il 10 agosto (S. Lorenzo). A S. Maria di Binde, il 13 giugno (S. Antonio da Padova) si teneva la fiera del bestiame. A Folgaria, si tenevano due fiere annuali: 14 maggio e 8 settembre. Il privilegio risaliva al 1742.
Nelle Valli Giudicarie, furono due le fiere antiche e rinomate: di S. Carlo (risaliva al 1250 circa) a Preore e di S. Giustina (anteriore al XV secolo) a Creto di Pieve di Bono. Qui, dal 22 settembre al giorno 8 ottobre vi affluivano tutti gli animali delle Giudicarie. La vigilia della fiera, a Creto arrivava il luogotenente di Stenico, pubblicava il proclama d’apertura del mercato e restava in zona sino alla conclusione delle contrattazioni. Un’altra fiera fu concessa alla comunità di Bono dal principe vescovo Carlo Emanuele Madruzzo (1629-1658) nel 1649. Si teneva dal 10 al 12 maggio. A Creto, nel XIX secolo vi fu anche un mercato abusivo chiamato “fiera delle donne”. Si organizzava le domeniche seguenti le fiere di maggio e d’ottobre. In quelle occasioni, “in onore al gentil sesso” era consentito alle donne di frequentare le taverne.
A Tione, è rinomata ancor oggi la fiera “dei Termini”. Esisteva già prima del 1650 e si teneva sei giorni dopo la grande fiera di S. Giustina a Creto. Nella seconda metà del XX secolo, l’appuntamento è stato spalmato negli ultimi tre mercoledì d’ottobre. Sempre a Tione, dal 1663 si teneva una “fiera di giugno” e nel 1839 cominciò un mercato mensile delle granaglie (il quarto sabato).
A Pinzolo c’era la fiera di S. Michele che fu soppressa a causa di una epizoozia di peste bovina. Fu ripristinata nel 1718. Il 13 dicembre si faceva fiera a Campo Maggiore (Lomaso). A Roncone due fiere di animali richiamavano folla: da S. Cipriano (24 settembre) a S. Stefano (26 dicembre). A Condinoc’erano le fiere di S. Giorgio (23 aprile) e S. Caterina (25 novembre). A S. Lorenzo nel Banale, nel 1899 furono concesse due fiere: il primo martedì dopo la Pasqua e il 24 settembre. È popolare ancor oggi la fiera di Ognissanti a Storo, della quale si fa cenno fin dal 1716. Due anni dopo fu concessa una fiera a Spiazzo Rendena. Dal 1831 c’è la fiera di S. Martino (11 novembre) a Stenico.
Di grande importanza furono le due fiere di Malé e di Sanzeno. Il Mercato del Bosco, a Malé, divenutofiera di S. Biagio (il primo lunedì dopo il 20 ottobre). La più conosciuta, anche oggi, poiché attirava marcanti da tutte le valli limitrofe, persino dalla Lombardia e dall’Alto Adige, resta la fiera di S. Matteo(20 settembre). Durava otto giorni, radunava fino a cinquemila capi di bestiame.
C’era una terza fiera, da S. Simone (27 ottobre). Mercati si tenevano a Romeno (S. Bartolomeo, 24 agosto); a Fondo (S. Giacomo), a Denno (S. Agnese).
Nel 1604, il cardinale Carlo Gaudenzio Madruzzo (1600-1629) abolì le fiere di Sanzeno e Fondo a vantaggio di quella di S. Michele, a Ossana. Nel XVII secolo furono avviati i mercati del grano a Magras (25 aprile, 13 dicembre) e del bestiame a Croviana (23 aprile). L’ultimo appuntamento mercantile dell’anno, in Val di Sole, era la cosiddetta “feratèla”, piccola fiera, di Terzolàs (8 novembre).
Altre fiere e mercati furono concessi tra il XVII e il XVIII secolo. A Vezzano (1. maggio), a Civezzano (15 e 16 agosto); a Caldonazzo (la fiera dei Santi Filippo e Giacomo).
A Pergine fu consentita (1505) la fiera di S. Vito (15 giugno). Qui c’erano anche i mercati della “Zeriòla” (2 febbraio), di S. “Zorz” (23 aprile), di S. Margherita (20 luglio), del “Rosari” (lunedì dopo la prima domenica di ottobre), S. Tommaso (21 dicembre). Levico aveva diritto a sei fiere annuali. Borgone aveva tre: S. Lorenzo (10 agosto), S. Matteo (21 settembre), S. Caterina (25 novembre). Scurelleteneva mercato il 22 luglio (S. Maria Maddalena);
Cavalese vantava la fiera della Natività di Maria (8 settembre); altri appuntamenti mercantili erano il 10 marzo, 28 ottobre, 29 novembre e il primo lunedì di maggio e di giugno. A Vigo di Fassa le fiere erano quattro: S. Giorgio (23 aprile), S. Vito (16 giugno), S. Michele (29 settembre), S. Orsola (21 ottobre).
A Mezzolombardo erano due: il 29 giugno e per la sagra del convento dei francescani, nella ricorrenza del perdon d’Assisi.
Non potevamo finire che con Fiera di Primiero, la borgata che ha la vocazione mercantile fin nel nome. Raccontava (2002) l’allora sindaco Daniele Depaoli:
“La nascita di Fiera di Primiero (Markt Primor) risale al XV secolo [1450 circa], quando in zona, con la casa d’Austria, si sviluppò l’industria mineraria. Fiera conobbe subito un notevole sviluppo; sono di quell’epoca la maestosa arcipretale gotica ed il palazzo delle Miniere, sede del giudice minerario. Venne chiamato Fiera in quanto, per la sua posizione centrale rispetto a tutta la valle, il suo territorio veniva utilizzato per lo svolgimento di fiere e mercati, e non per la residenza, trovandosi alla confluenza di due impetuosi torrenti, quindi sempre a rischio di esondazioni. In considerazione dell’importanza socio-economica ed in qualità di capoluogo di vallata, Fiera di Primiero ottenne il titolo di Borgata. Tuttavia la sua estensione dovette limitarsi al solo perimetro del centro abitato, cioè alla parte che gli altri comuni, preesistenti, avevano lasciato libera per lo svolgimento dei mercati e delle fiere”.
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