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    Home»Razzismo&Antisemitismo»18 – Dove sventola la svastica
    Razzismo&Antisemitismo

    18 – Dove sventola la svastica

    Renzo FracalossiBy Renzo Fracalossi8 Marzo 2022Nessun commento7 Minuti di lettura
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    Le immagini che da qualche giorno dominano le news e i programmi televisivi rimandano alla guerra europea di 80 anni fa, allo sterminio di popoli e di etnie. Allora come oggi, odio e rancori risorgono dalle viscere della storia. Riemergono le fragilità di trattati e di compromessi mai completamente onorati o condivisi. E se oggi è un errore paragonare Putin a Hitler, perché ogni autocrate è figlio del proprio tempo, resta la preoccupazione che la storia si ripeta. Perché i semi del male non hanno mai smesso di germogliare. 

    Il nazifascismo con il suo pesante fardello di odio antisemita fa da levatrice a sentimenti di ripulsa verso gli ebrei che albergano storicamente un po’ ovunque in Europa e, soprattutto, ad oriente dell’Oder e della Vistola. Quel sentimento trova una sua possibilità di sfogo terribile con l’occupazione nazista e fascista di regioni, geografie e stati: è il trionfo tragico dell’antisemitismo più cieco e brutale.

    “Yids kaputt!” (“A morte l’ebreo”) è il grido che accompagna, ad esempio, i massacri perpetrati da polacchi e ucraini di etnia tedesca, segnati da una crudeltà e da una ferocia che identifica i “Volksdeutschen”, cioè le popolazioni di etnia tedesca, come i peggiori criminali in assoluto nell’orrido panorama dello sterminio. 

    Grazie a loro, in breve la Polonia diventa una sorta di enorme “fossa comune” per gli ebrei che lì vivono da secoli e che hanno contribuito a costruire la storia polacca e quella europea. A nulla vale la rivolta del ghetto di Varsavia dell’aprile 1944: si tratta senza dubbio di un atto eroico, straordinario e del tutto inatteso dai tedeschi, ma non serve a mutare lo stato delle cose ed anzi inasprisce ancor più la voglia sterminatrice degli occupanti tedeschi e dei loro alleati. Ovunque sembra che l’odio e la sete di sangue ebreo si siano impadroniti di uomini e cose.

    Nei Balcani la situazione è, a tale proposito, eclatante. Il campo di concentramento di Jasenovac, in Croazia, è infatti il terzo per dimensioni in Europa e forse uno dei meno conosciuti, anche perché affidato alla gestione feroce degli “Ustascia”, la milizia armata del regime fantoccio di Ante Pavelic. Ma in quel Campo muore oltre mezzo milione di ebrei e di serbi, con modalità che definire barbare è molto limitativo. Ovunque, dove arrivano i tedeschi, sorgono staterelli fantoccio, dove fermentano i fascismi locali e dove l’antico antisemitismo viene quotidianamente rinfocolato, insieme alla possibilità di “regolare vecchi conti etnici” rimasti in sospeso da secoli. La “Guardia Hlinka”, ad esempio, agisce in Slovacchia, mentre le “Croci Frecciate” si muovono in Ungheria e la “Guardia di Ferro” spande, a piene mani, il terrore in Romania, dove si raggiungono vette impensabili.

    Nelle ore in cui scatta l’invasione tedesca dell’U.R.S.S., nella cittadina romena di Jasi alcuni gruppi paramilitari spingono una lunghissima colonna di ebrei indifesi verso il cimitero ebraico e ordinano loro di scavare una grande fossa. Nel frattempo, sulle porte delle case dei cittadini non ebrei compaiono delle croci per distinguere quelle abitazioni dalle residenze dei “giudèi”. Dopo questa preparazione, la sera del 28 giugno 1941 scoppia la violenza di massa e in poche ore sono più di 14.850 gli ebrei massacrati per strada in un contesto di odio e di sangue che spaventa perfino i tedeschi.

    Più a nord, sulle rive del Baltico, nella notte fra il 7 e l’8 ottobre 1941 e in una foresta lituana, i volontari antisemiti locali spengono la vita di oltre 8.000 ebrei e si “specializzano” nel fracassare la testa dei bambini contro gli alberi. Ponary è per la Lituania, ciò che è Auschwitz per la Polonia. Ponary è un’immensa foresta proprio nei pressi di Vilnius, la capitale lituana. Il bosco è connotato da profonde forre scavate dai russi per interrare i serbatoi di carburante: sono quei fossati le tombe di migliaia e migliaia di ebrei uccisi “in quanto parassiti della nazione lituana”. Lo stesso avviene in Lettonia, dove gli ebrei sono accusati apertamente di essere al soldo degli odiati russi e di aver guidato i sovietici in rastrellamenti e stragi di molti giovani patrioti lettoni. Non è affatto vero. Anzi. Anche durante l’occupazione comunista gli ebrei vengono perseguitati, ma non importa. La propaganda vale più di qualsiasi dimostrata verità. In questo mare di orrore svetta la figura di Viktor Arajs, uno dei più famigerati antisemiti che la storia ricordi e protagonista dell’eccidio di Rumbula, vicino alla capitale lettone, Riga, durante il quale più di 30.000 ebrei vengono fucilati senza alcuna pietà. Lo stesso destino attende anche gli ebrei estoni, uccisi con l’accusa di essere “sovversivi”, per il solo fatto di esistere.

    E ancora la Galizia. Posta al confine fra Europa centrale e orientale è da sempre una terra contesa e solo il dominio austro-ungarico (1772 – 1918) riesce ad offrire a questi luoghi un po’ di pace. Qui vivono insieme, da secoli, ebrei, ucraini, ruteni, polacchi, tedeschi e qui è fiorita la pianta migliore della cultura yiddish, ma anche il nazionalismo ucraino fortemente antizarista ed antirusso, che identifica spesso gli ebrei con gli odiati bolscevichi.  Qui si scatenano i reparti di volontari galiziani, spesso di etnia tedesca e di radici ucraine, che si macchiano di orrori indicibili come quelli di Huta Penjacka e nelle cui file militano alcuni nomi che sono la storia stessa della Shoah: Ivan Demianuk, Otto Sein, Misha Seifert, Fedor Fedorenko e Swiatomir Fostun. Sono costoro e i loro commilitoni a rendere del tutto ideologica la guerra di Hitler, bruciando villaggi e sterminando indifferentemente ebrei, partigiani, popolazione civile polacca ed ucraina e quant’altro venga a tiro dei loro fucili, in una sinfonia di orrore che tutt’ora ci appare incomprensibile.

    In Francia, in Belgio e in Olanda, la persecuzione si avvia con l’occupazione e conosce un inarrestabile sviluppo, anche se non si assiste qui ai massacri pubblici ed alle efferatezze crudeli che avvengono nei territori orientali. Ciò non toglie che anche gli ebrei di quelle nazioni vengano rastrellati, deportati ed infine inghiottiti dal gorgo vorace di Auschwitz, Majdanek, Treblinka, Sobibor, Belzec e Chelmno.

    Infine, l’Italia. Già con le terribili “leggi razziali” del 1938, il fascismo ha disvelato tutto il suo volto antisemita: un volto bifronte. Da un lato, infatti, crudele e feroce e dall’altro tragico e grottesco. Ma è con la caduta del fascismo, l’occupazione tedesca e la costituzione della fragile Repubblica Sociale Italiana che Himmler vuole risolvere il problema ebraico lungo tutto lo “Stivale”. Viene incaricato quindi il solito Adolf Eichmann, in collaborazione con il plenipotenziario delle SS in Italia, Karl Wolff, con il suo principale collaboratore Wilhelm Harster che agisce e coordina tutto dai suoi uffici di Verona e con Odilo Glocnick, fedelissimo di Himmler e vero demone dei Campi di sterminio. Quest’ultimo a Trieste concepisce ed attiva l’unico Campo di sterminio presente in Italia: la Risiera di San Sabba dove perdono la vita quasi 5.000 ebrei. Mussolini e il suo regime, ormai in via di disfacimento, collaborano non poco, emanando, il 1° ottobre 1943, un ordine di arresto immediato e di confisca di ogni bene e proprietà per gli ebrei italiani, senza alcuna distinzione.

    Pochi giorni dopo, il 16 ottobre, viene rastrellato il ghetto di Roma e la più antica comunità ebraica della Diaspora prende la strada senza ritorno di Auschwitz. In dicembre tocca agli ebrei veneziani e poi Milano, Torino e Genova, anche in virtù della preziosa collaborazione di milizie paramilitari fasciste come le Bande Koch e Carità che si specializzano nella caccia agli ebrei e ai partigiani.

    Uccidere, sterminare ed epurare sono le parole d’ordine che decretano la fine della vita di tutto l’ebraismo europeo, quasi sette milioni di persone, calpestato e piegato sotto gli stivali delle truppe tedesche e dei loro complici, ma soprattutto sotto l’incredibile forza del pregiudizio antisemita e della sua violenza. 

    (18 – continua – Le precedenti puntate sono state pubblicate in rete il 22, 27 settembre; 5, 11, 21, 27 ottobre; 6, 12, 21 novembre, 9, 19, 26 dicembre 2021; 1, 14 gennaio, 1, 10, 20 febbraio 2022)

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    Renzo Fracalossi

    Renzo Fracalossi, è nato a Rovereto il 5 luglio 1961. Risiede a Trento dove, dopo gli studi umanistici, lavora nella pubblica Amministrazione. Presiede l'associazione culturale "Club Armonia"; è componente della "Società di Studi Trentini di Scienze storiche" e della S.O.S.A.T. Ricercatore e divulgatore, si occupa da decenni di approfondire e narrare l'antisemitismo e con esso la Shoah e di indagare la storia locale. Collabora con università e centri di ricerca europei su tali questioni ed ha all'attivo alcune pubblicazioni e contributi. È autore teatrale, iscritto alla S.I.A.E., con testi rappresentati in sede locale e nazionale.

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