È morto di malaria, in Tanzania, dove si trovava da quarant’anni il missionario trentino Remo Villa. Era nato a Mori nell’agosto del 1951. Religioso della congregazione della Consolata, di Torino, era parroco di Tura da un paio di anni. In precedenza era stato in altre missioni cattoliche tanzaniane. A Iringa, 600 chilometri da Dar-es-Salam, per aiutare la popolazione locale aveva avviato una stalla con duecento capi di bestiame. Diceva: “Allevo vacche e amministro i sacramenti”. Un prete-contadino che aveva scelto l’Africa come sua seconda patria. Da quando si era trasferito a Tura aveva avviato una corrispondenza settimanale con i numerosi amici sparsi per l’Italia. Ogni domenica sera, tranite Whatsapp, inviava una dettagliata cronaca della domenica, corredata di immagini, di notizie e di progetti.
P. Remo Villa è stato sepolto giovedì 24 febbraio 2022 a Tosamaganga, nel cuore della Tanzania, accanto agli altri missionari della Consolata che lo hanno preceduto nell’opera missionaria in quel lembo di Africa.
L’ultimo messaggio lunedì 14 febbraio: “Ciao TURA FRIENDS. Alcuni amici mi chiedono se va tutto bene, dal momento che ieri il nostro appuntamento è saltato. Causa di una forte malaria che mi ha preso ieri durante la seconda messa. Solo ora mi sento un po’ meglio”.
Nella notte fra domenica 20 e lunedì 21 febbraio, un suo confratello, Alessandro Nava, ha inviato questa nota: “P. Remo aveva la malaria già oltre dieci giorni fa ma forse all’inizio l’ha trascurata. Martedì scorso è andato nell’ospedale di Itigi, ma avendo visto un miglioramento non hanno capito che stava avendo un blocco renale. Infatti da venerdì non orinava. La sera di sabato 19 febbraio, vengo a sapere che p. Remo è all’ospedale. L’ho chiamato e ho capito dalla voce che stava male. Domenica mattina con dr.ssa Manuela e dr. Roberto Tormen siamo andati all’ospedale di Itigi che dista 110 km. da dove siamo noi. Quando il vescovo, ieri domenica, ci ha chiamato noi eravamo in strada per andare a vedere la situazione. Ma era troppo tardi. Io ho insistito che lo portassero a Dodoma nel moderno ospedale Benjamin Mkapa. Ho chiamato il direttore generale che mi conosce. Ma quando è arrivato là era in coma e alle 18 (dopo neanche due ore) purtroppo è morto. Qui siamo tutti nel dolore. La morte di p. Remo è una grande perdita per tutti. Nella diocesi di Singida lascia un grande vuoto e non so chi potrà ora continuare la sua opera in una zona così vasta. Viene da domandarsi: “Dio dove sei?” Dal cielo dove sicuramente ora si trova padre Remo ci assisterà. È uno dei martiri che ha nel silenzio hanno fatto crescere la Chiesa, il Regno di Dio”.
Sono 170 i religiosi e volontari trentini impegnati in terra di missione. Vent’anni fa erano 600. Soltanto nel 2021, a causa del Covid o dell’età avanzata, sono morti 33 missionari.
Caro amico, ti chiedo una goccia
Lo scorso anno il missionario di Mori aveva inviato una lunga lettera al medico Antonio Mazza, presidente di una organizzazione di volontariato internazionale (“Casa Padre Angelo”) che gli aveva fatto visita in Tanzania qualche anno fa. Questo il testo:
“Alla stazione ferroviaria di Tura si trova un cartello che mostra l’altezza sul livello del mare: 1270 metri. In Europa se sali a 1200 metri sei in montagna ed il caldo si fa sentire per un periodo molto breve. Qui in Tanzania nella zona di Tura, a poco più di 5 gradi a sud dell’equatore, quesa altezza vuol dire zona molto calda, con poche piogge, savana dove per molti mesi all’anno tutto è secco con neppure l’ombra di una goccia di pioggia da aprile a dicembre. E specialmente quest’anno il caldo si fa sentire, un caldo veramente africano, che prosciuga tutto e non ti permette senz’altro di fare qualsiasi lavoro nelle ore calde del giorno.
Questa in pochissime parole è la zona dove mi trovo attualmene a prestare il mio servizio missionario. Nella zona centrale del Tanzania, sulla direttrice della linea ferroviaria (costruita dai Tedeschi verso il 1810) che collega la ex capitale Dar es Salaam, ad est sull’Oceano Indiano, con Kigoma, all’estremo ovest del Paese. Tura è attraversata anche dalla nuova strada nazionale che collega l’est e l’ovest del Paese. Questa arteria stradale, la cui realizzazione è stata ultimata alcuni mesi fa, è stata la molla che ha dato avvio a molte piccole attività commerciali che prima erano completamente sconosciute, come ad esempio il trasporto di raccolti agricoli in gran quantità – granoturco, girasole, patate dolci, riso… – verso altre zone del paese, utilizzando gli autotreni che sempre più usano questa nuova arteria. Commercio, che ogni giorno aumenta sempre più, dei polli ruspanti della zona – molto pregiati – che vengono portati fino a a Dar es Salaam a 700 km da qui. Sorgono molti piccoli ristoranti per far fronte ai tanti camionisti che ne approffittano per una sosta per pranzo ma anche per dormire, e quindi aumentano anche i B&B che in verità sono molto alla buona. Lungo quest’arteria stanno sorgendo molte abitazioni, come i fungi, veramente, e quindi aumenta esponenzialmente anche la necessità di sabbia e mattoni di cemento per quest costruzioni: aumentati i trattori per il trasporto ed anche le persone che preparano i mattoni.
In breve: quando sono arrivato all’inizio dell’anno scorso sembrava una zona morta, come tante sperse nella savana del centro del Tanzania, mentre ora sembra, o meglio è un formicaio, sempre in movimento con in attività giorno e notte e dove le case vengono su come i funghi.
In questa realtà io sono arrivato nuovo nuovo il 2 febbraio 2020, inviato dal Vescovo della Diocesi di Singida, Mond. Edward Mapunda, il quale da tempo aveva in mente di dare inizio ad una Missione in questa zona molto poco evangelizzata – la presenza dei primi missionari, italiani, risale agli anni novanta del secolo scorso – anche perché “fuori dal mondo” e “dimenticata dagli uomini e da Dio”.
Assieme al mio servizio pastorale come prete missionario, mi è stato chiesto anche di tirar su una scuola elemenare, iniziata qualche anno fa ma poi quasi abbandonata e sul punto di essere chiusa. È una realtà, questa dell’educazione scolastica, di primaria importanza per questa zona dove moltissime persone – giovani ed adulti – non sanno né leggere né scrivere. Ora la scuola, dove si insegna in inglese e non in swahili, sta facendo passi da gigante: da 40 scolari che vi trovai quando arrivai lo scorso anno ora sono ben una novantina; lo scorso aprile il Ministero dell’Istruzione ha riconosciuto ufficialmente la nostra scuola; nove maestri già arruolati fanno parte dello staff insegnate; gli alunni del collegio, circa la metà del totale, in attesa del nuovo collegio che tra poco inizieremo a costruire, dallo scorso marzo sono in una costruzione non più piccola e stretta come lo era la prima ed inoltre lo spazio per giocare non maanca…
Come missione, Tura comprende una zona molto ampia, nel raggio di 70 km e più, con 10 comunità periferiche (outstations in inglese, o chiese cappelle, come si diceva una volta come si diceva una volta) che ogni mese vengono visitate dal missionario per la celebrazione eucaristica, e dove risiede un catechista – più o meno preparato – che segue la comunità a lui affidata: la guida nelle varie funzioni liturgiche domenicali in assenza del missionario, guida la celebrazione dei funerali, e prepara i membri della comunità che desiderano ricevere i vari sacramenti.
Ufficilmente la Missione (Parrocchia) di Tura è stata inaugurata il 19 novembre 2020, quindi un anno fa. Per la sua ufficializzazione, il Vescovo voleva aspettare almeno fino a che ci fosse almeno la canonica, dove potesse risiedere il missionario. Personalmente gli ho suggerito che importanti per la chiesa non sono le strutture, bensi’ le persone. E qui a Tura le persone che hanno “sete” della Parola di Dio non mancano di certo. Il Vescovo ha fatto suo questa mia riflessione e quindi la Missione/parrocchia è iniziata senza un’abitazione propria per il missionario che ora vive in una casetta in un quarttiere del paese. Di più: anche la chiesa parrocchiale non è di mattoni, ma sono dei tubi innocenti che sorreggono il tetto di lamiere. La costruzione vera e propria arriverà in seguito. Lo stesso S. Paolo ci ricorda più volte che i cristiani sono i “mattoni viventi” della costruzione che è il corpo di Cristo, cioè la Chiesa.
Ormai sono verso la fine del mio secondo anno qui a Tura, e posso dire con gioia che in questi ultimi mesi si cominciano a notare dei frutti, anche se piccoli e forse un poco acerbi. Dopo la ri-semina della Parola di Dio lo scorso anno, la “annaffiatura” la “sarchiatura”, ora le pianticelle, i cristiani, stanno crescendo e maturando. Lo noto con gioia dalla crescita numerica delle singole comunità, dalle persone disponibili a ricevere i sacramenti e specialmente il sacrmento del martimonio ed anche dalle responsabilità che sempre più sovente e se ne fanno carico i cristiani stessi.
Ed ora, sto per traslocare nella nuova canonica che ho iniziato a costruire nel giugno del 2020. Lascio la mia casetta qui in questo rione tranquillo del paese, in cui vivo in affitto d quando sono arrivato a Tura, costruzione molto semplice però non adatta, nella sua struttura, ad accogliere le persone che vogliono incontrare il missionario. La stessa chiesetta per la messa quotidiana l’ho ricavata da un locale prima adibito a negozio e che ora, oltre che per la messa giornaliera, viene usata anche come deposito di materiale della scuola e di materiale della missione e sala riunione per incontri con i catechisti ed altri gruppi parrocchiali. Semplicità e pluralità di utilizzo che senz’altro il mio e nostro “Capo” non vede negativamente. L’ufficio dove ricevo le persone è l’unica stanza spaziosa della costruzione che serve anche stanza da letto quando arriva qualche ospite di passaggio a trovarmi. La nuova costruzione è molto più ampia e più consona ad accogliere le persone che vogliono incontrarsi con il missionario, ma anche persone di passaggio ed ospiti che desiderano riposare durante i lunghi viaggi che molte volte facciamo su queste strade tanzaniane. Ad esempio, un Vescovo che mi ha visitato la scorsa settimana, mi ha chiesto di poterlo ospitare tutte le volte che per incontri dovrà transitare per Tura.
Ecco il motivo per cui mi faccio vivo con te, Antonio, che qualche anno fa sei venuto a trovarmi quando mi trovavo nella zona di Iringa, alla guida di una fattoria zootecnica di mucche da latte, di proprietà del nostro Istituto, i Missionari della Consolata.
Ti chiedo una goccia, secondo la generosità e le possibilità del gruppo che coordini, per darmi una mano per l’arredamento della nuova canonica, in modo che ci possa essere centro di accoglienza prima di tutto per la gente di Tura ma anche per la gente che passa da Tura, specialmene sacerdoti e religiosi/religiose, dove possano trovare una struttura accogliente.
Senza alcun impegno, sentiti libero e sentitevi liberi nel versare la goccia secondo le vostre possibilità. Ci sono già e ci saranno altre gocce che messe assieme alla vostra stanno riempiendo il bicchiere, e per questo mi viene spontaneo ringraziare il Signore che continua ad operare tanti piccoli miracoli di solidarietà anche attraverso voi, che siete “matitine nelle mani di Dio”, come diceva Madre Teresa di Calcutta, per portare in modo concreto il suo Amore nel mondo. Asante sana. Mungu awapwe wingi wa baraka zake. Un grazie di cuore.”