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    El Checco de la Portèla

    Patrizia BelliBy Patrizia Belli28 Dicembre 2021Nessun commento5 Minuti di lettura
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    El Checco de la Portèla
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    Quando la televisione era in bianco e nero, un elettrodomestico ancora raro, nelle abitazioni di città e nelle valli si ascoltava “la radio”. C’erano trasmissioni cult come “Dalle Dolomiti al Garda”, “Settegiorni nelle Dolomiti” e “Il Rododendro”, il più atteso programma radiofonico regionale che andava in onda dagli studi della RAI di Bolzano la domenica pomeriggio. Un programma scanzonato di satira e vis comica (unico, almeno in quegli anni, i Sessanta-Settanta) che si avvaleva della ideazione-collaborazione di Sergio Modesto, Angela Berzuini, Ezio Zermiani, Umberto Bonsi, Ivo Gaddi. Il tutto coordinato dal giornalista Ivo Butturini. Ma il personaggio maggiormente atteso era “el Checco de la Portéla”. Il quale cominciava la trasmissione sempre così: “Siore e siori bondì! Avé magnà polito e volintera? Ben, son content”.

    Che l’attore-autore radiofonico si chiamasse Ottavio Fedrizzi lo sapevano in pochi e, in fondo, importava poco sapere, allora, chi si celava dietro il “nom de plume”. Per tutti i radioascoltatori era e fu “el Checco de la Portèla”. Ottavio Fedrizzi se ne è andato alla bella età di 95 anni il 2 agosto 2010 a Panchià, sua patria, dove si era ritirato dopo aver insegnato per una vita a Bolzano. Lo ricorda per il trentinonuovo.it la “nipote” Patrizia Belli.

    Ho avuto l’onore di frequentarlo, di apprendere da lui, di volergli bene… Ci sono espressioni che fatichiamo a usare, perché ci sembrano datate, esagerate, fuori dal tempo. Una di queste è proprio “ho avuto l’onore”, però è la prima frase che mi viene in mente nel ricordare la figura di Ottavio Fedrizzi: il “Checo de la Portela”, perché è stato davvero un privilegio averlo potuto frequentare. Lo “zio” Ottavio (non era proprio uno zio diretto, ma parente di secondo o terzo grado) era una persona speciale. Nato a Tesero, aveva conseguito l’abilitazione magistrale e la maturità artistica (era un ottimo pittore). Per anni ha fatto l’insegnante in quel di Bolzano, poi – appena ha potuto – è tornato nella “sua” valle, la valle di Fiemme, a Panchià, dove viveva con l’adorata moglie. Dal 1936 era socio Cai, istruttore di roccia, tenente degli Alpini, portatore, guida alpina, socio fondatore del Gruppo Alta Montagna, Stella dell’Ordine del Cardo, istruttore nazionale di alpinismo e presidente del Cai di Bolzano. Nel 2006 il presidente nazionale dell’Ana consegnò a lui e ad altri alpini fiemmesi reduci della Seconda Guerra Mondiale un diploma di benemerenza. Molti lo ricorderanno per le sue celebri trasmissioni radio. Era il Checo de la Portela. Ma tutto ciò che aveva fatto, tutto ciò che era, lui non lo raccontava. 

    Ottavio Fedrizzi, El Checco de la Portéla, il primo a destra; Pio Belli, il papà dell’autrice dell’articolo, il primo a sinistra

    Era uomo di montagna, uomo dal carattere schivo, ma mai ruvido. Amava stare con noi, i nipoti Sandro e Sergio, mia sorella Barbara, all’epoca bambini. E noi lo adoravamo. Quando eravamo su, nella baita a Fiampelan, ci incantava raccontandoci storie che avevano il sapore delle favole, ma erano tratte dalla natura. È a lui che devo l’amore per i funghi, il giusto timore per le vipere, la conoscenza di qualche canto alpino, la passione per la neve. Erano anni in cui la montagna non era abitata dai turisti, si indossavano i pantaloni alla zuava e le pedule, gli adulti si caricavano in spalla il paiolo e la segosta per accendere un fuoco dopo una lunga camminata e gustarsi una polenta che aveva il sapore del fieno. Una mattina ci tirò giù dal letto all’alba per portarci nel bosco a vedere la tana di un capriolo e noi bambini con gli occhi stropicciati dal sonno fantasticavamo su un “bambi” da accudire. Naturalmente il capriolo al primo rumore di rametto spezzato scappò via. 

    Sapevo che lo zio Ottavio era un eccellente alpinista, sapevo che apriva delle vie sulle rocce (Nord del Sassolungo e Campanile di Venere (Sassolungo), Campanile di Valgrande e Cima Focobon (Pale di San Martino), Cornaccio Grande (Latemar), ma eravamo bambini, non potevamo certo seguirlo. Lo fece mio padre. 

    Insieme aprirono una nuova via sulle Pale di San Martino nell’agosto del 1965 assieme a Pippo Ferri, Pio Belli e Mario Comper. Ricordo che tornavano stanchi ma con una strana luminosità nello sguardo. Quasi una febbre.Molti anni più tardi, in un raro momento di racconto personale, ho saputo che per lui scalare, giungere in vetta significava agguantare una felicità. Una felicità particolare che non aveva stampo terreno. Lo so perché mi donò una confidenza. È una scritta che lasciò incisa sulla roccia di qualche cima. Sersus amorem inveni. Lassù ho incontrato l’amore.

    Franco Sitton (1937), giornalista dal 3 gennaio 1967, aggiunge alcune note e ricordi personali che meritano di essere accodati al pezzo di Patrizia Belli. Anche perché fanno parte della storia della radio a Bolzano e, più tardi (1966), a Trento.  

    “Nello staff di “Settegiorni nelle Dolomiti” e del “Rododendro” – scrive Franco Sitton – c’era anche mia moglie Mariateresa Amadei, per lunghi anni annunciatrice a cachet alla Rai di Bolzano mentre io vi facevo parte sin dagli anni ’60, quando ero praticante al giornale L’Adige. Scrivevo buona parte dei testi coordinandoli con Sergio Modesto, mentre Ottavio Fedrizzi scriveva la sua filastrocca di proprio pugno. Con il Checco della Portèla ho disputato diverse gare ai campionati di sci per giornalisti. Con lui e con Gianni Bianco abbiamo vinto più volte la staffetta per l’associazione stampa Bolzano. Quanti personaggi scomparsi, quanti lutti, se penso ad un’altra staffetta formata dal terzetto del giornale L’Adige in val di Pejo. I miei compagni erano Augusto Giovannini e Antonino Vischi. 

    Aggiungo solo che la regia del “Rododendro” era curata da Ivo Butturini, mio padrino di nozze, e spesso anche da Ettore Frangipane. Dopo la trasmissione si andava tutti a mangiare e a bere a Bagni di Zolfo alla periferia della città. “Mamma Rai”, allora, erogava modesti compensi, ma restano ricordi bellissimi di quei tempi anche se numerosi amici e colleghi non ci sono più”.

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    Patrizia Belli

    Patrizia Belli, giornalista e scrittrice, è stata cronista al quotidiano l'Adige, responsabile dell'Ufficio stampa del Comune di Rovereto, della Comunità della Vallagarina, corrispondente dell’agenzia Ansa, editorialista. Ha pubblicato Vaniglia (Stella editore, 2006), Figlia di tante lacrime (vincitore della sezione “inediti storici” Premio Gelmi di Caporiacco, edito da il Margine), Il cuore a stella (Egon 2013), La leggenda di Zinevra (Laboratorio di grafica a mano della Biblioteca Tartarotti). Autrice di numerosi racconti. Vive e lavora a Rovereto.

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