Mercoledì 17 novembre, a palazzo Trentini, a Trento, il giornalista di Bolzano, Maurizio Ferrandi, ha presentato la riedizione della sua fortunata biografia sul roveretano Ettore Tolomei, colui il quale “inventò” l’Alto Adige e modificò la toponomastica del Sudtirolo. Fra i relatori anche il prof. Vincenzo Calì, già direttore del Museo storico di Trento. Ecco il suo intervento:
La riedizione aggiornata della biografia del nazionalista Ettore Tolomei corona l’impegno di Maurizio Ferrandi, lungo una vita, in cerca di verità su di un personaggio, fra i più divisivi per eccellenza tra quelli che hanno calcato le terre atesine. È lo stesso autore che motiva la sua scelta di vita quando racconta come da giovane cronista, al cimitero di Montagna, davanti alla tomba di Tolomei devastata dal secondo attentato [1979, il primo nel 1957], prese su di sé l’impegno di andare a fondo nella comprensione del perché di tanto odio fra le genti del “Belpaese” di Gatterer e Langer. Nulla è sottratto, nel lavoro di Ferrandi, ad una rigorosa critica storica sull’azione del personaggio Tolomei: dalle tardive fiammate risorgimentali, all’infausta sua tifoseria per la grande guerra; dalla sua, lui nazionalista, strumentale adesione al fascismo che diede origine alla spedizione punitiva contro di lui degli stessi fascisti trentini; il calcolo errato sulle conseguenze dell’alleanza nazifascista, pagata con l’internamento in Germania e la dispersione delle sue carte. Sono tutte questioni affrontate nel libro. Da sottolineare l’importanza del capitolo sul dopo Tolomei, ricco di spunti per un domani ancora in attesa di una toponomastica ufficiale tedesca, di un approccio federalista alle questioni autonomistiche.
Il termine geografico “Alto Adige”, con cui si intende delimitare l’area alpina popolata da parlanti più lingue, ha avuto maggior fortuna di quanta il suo inventore, Ettore Tolomei, potesse mai immaginare. La dinamica è sempre la stessa: con un colpo al cerchio e uno alla botte l’attualità della disputa è garantita: da una parte il termine “Alto Adige” conquista la prima pagina del volume sui movimenti delle popolazioni curato da M. Wedekind e R. Taiani (con dedica ad Alex Langer); dall’altra, la destra tedesca della provincia di Bolzano, con un tratto di penna, ha rischiato di ottenere un effetto opposto a quello sperato. Togliendo, come volevano, dai testi legislativi in italiano il nome “Alto Adige”, applicato da Tolomei ad un territorio posto più a nord dell’originario dipartimento napoleonico, correrebbe infatti l’obbligo di adottare un analogo trattamento anche per i testi in tedesco.
Ad Alcide Degasperi, che nel 1947 gli chiedeva un parere sul nome tedesco da dare alla provincia di Bolzano, Ettore Tolomei rispose diplomaticamente di sgombrare il campo dai nomi Trentino e Tirolo e usare un termine neutro: un’unica denominazione tedesca plurale per l’intera Regione: “Etsch-lander”. (Ritrovai lo scambio di missive fra i due personaggi a Gleno, mentre provvedevo allo smantellamento del “Museo della rivendicazione dell’Alto Adige” e al riordino- ricomposizione dell’archivio Tolomei).Forse sarebbe proprio il caso di finirla con le invenzioni e tornare alla natura. Il Dolomitenland, la regione dolomitica, la Region Dolomitan, patrimonio dell’umanità, possono ben essere usati come termini regionali in cui includere le due provincie di Trento e Bolzano e la vicina Cortina.
Mai come in questo caso si intrecciano questione ambientale e convivenza fra gli umani. Ma poiché la commedia degli equivoci sembra che in terra dolomitica non debba mai cessare, è forse utile ribadire concetti più volte espressi. Ricordo, in particolare, quello a commento delle parole pronunciate da Louis Durnwalder in occasione del 150° dell’unità d’Italia (“mi sento austriaco, non ho nulla da festeggiare”). “Il sacro egoismo tirolese, che aveva preso il sopravvento sul generoso omaggio all’Italia […] non doveva indurci, come italiani, ad allentare l’impegno ad onorare il dettato costituzionale riguardo la tutela delle minoranze linguistiche” (Schegge d’autonomia, TEMI 2015). Principio che a maggior ragione deve valere oggi che i confini delle nazioni sono al centro di conflitti sanguinosi. Sulle questioni confinarie, la parola d’ordine deve essere quella di proseguire con spirito langeriano l’impegno alla ricerca di soluzioni condivise, senza ricorrere a grossolane semplificazioni del passato”. Un libro, quello di Maurizio Ferrandi, che non deve mancare in casa di ogni sincero europeista.