Bolzano e Trento ancora divise a cinquant’anni dal no della SVP a Paolo Prodi.
È passato quasi mezzo secolo da quando Paolo Prodi, all’epoca rettore dell’Università di Trento, osò proporre a Bolzano di entrare a far parte del progetto educativo che stava progettando di ampliare e sviluppare in varie direzioni. Fu annientato in pochi attimi da una salva di rifiuti arrivata soprattutto da una Südtiroler Volkspartei che aveva appena conquistato il controllo pressoché assoluto della nuova autonomia provinciale.
A spiegare quell’anatema bolzanino alcune considerazioni storiche e alcune motivazioni politiche. La SVP era appena riuscita a mettere assieme gli elementi di un nuovo assetto autonomistico nato, a metà degli anni 50, dal rifiuto categorico di continuare l’esperienza regionale con Trento. Alla luce di tutto ciò pareva irricevibile la proposta di tornare a condividere, proprio con i trentini, le sorti di un pezzo, sia pur piccolo, del sistema educativo, considerato uno dei pilastri fondanti della tutela della minoranza. C’era poi il fatto, non marginale, che allora l’Ateneo trentino si identificava con quella facoltà di sociologia che era stata, in anni non lontani, terreno di cultura per estremismi ed estremisti che il conservatorismo radicale dei politici sudtirolesi vedeva come il fumo negli occhi.
Fatto sta che la proposta fu respinta al mittente, e che, nei decenni successivi Trento fu capace da solo di sviluppare un sistema universitario di eccellenza a livello nazionale e internazionale.
Alla storia però piace ripetersi ed ecco che il rammarico di cinquant’anni fa di Paolo Prodi riecheggia nelle deluse considerazioni di qualche esponente politico e di qualche docente universitario sul fatto che Bolzano abbia annunciato (solo annunciato per ora) la nascita di una propria facoltà di medicina, ignorando bellamente l’esperimento varato e appena avviato in materia proprio dall’Università di Trento.
C’è da stupirsi, mi viene da dire, di questo stupore. Bisogna che a Trento la conoscenza delle cose altoatesine sia veramente scarsa perché qualcuno possa pensare che, in tutti questi decenni, il gruppo di potere che fa riferimento alla Südtiroler Volkspartei abbia cambiato anche solo di una virgola il proprio approccio psicologico al tema della collaborazione con Trento.
La facoltà di Sociologia può anche non essere più la fucina dove si forgiano gli strumenti per la rivoluzione proletaria, ma a nord di Salorno l’anatema per tutto quanto riguarda i rapporti con il vicino di casa è ancor vivo e presente. Non se ne adontino troppo gli amici di Trento. È una posizione politica ormai tanto connaturata nella visione sudtirolese nel mondo da non aver nemmeno più bisogno di essere elaborata. Essa si somma, peraltro, con un altro fattore ancora più importante nel modo di essere politico dell’SVP e che riguarda la pulsione irreprimibile a far tutte le cose da soli, sdegnando intese e compromessi con i vicini di casa o con i parenti più o meno lontani.
La scelta di andare in solitaria a creare una facoltà di medicina, utilizzando le coperture ben retribuite con Salisburgo e Roma solo come strumenti per superare gli ostacoli relativi alla certificazione ministeriale, non è che l’ultima di una lunghissima serie che si prolunga nel tempo e che è fatta anche di porte sbattute in faccia non solo a Trento ma anche ad Innsbruck. Basti pensare, per restare in tema, a quando, decisa finalmente a dotarsi di strutture universitarie, Bolzano ignorò non solo quanto stava succedendo poco più a sud ma anche i tradizionali e saldissime rapporti con l’Ateneo tirolese. Uno sgarbo che ad Innsbruck non hanno ancora finito di metabolizzare. E la lista potrebbe allungarsi con il caso dell’aeroporto e di altre realizzazioni autarchiche.
Così alla fine, la copertina ideologica dell’Euregio diventa quasi trasparente e non riesce a nascondere, sotto il velo dei vertici, dei buoni propositi e di qualche iniziativa estemporanea, la realtà nella quale le imprese comuni appaiono ben poca cosa.
Un’ultima osservazione riguarda infine proprio il settore della sanità in cui è germogliato il doppione delle facoltà di medicina in regione. La crisi pandemica ha evidenziato ulteriormente la crisi di un modello, quello delle strutture sanitarie a trazione unicamente provinciale, che era in gestazione da tempo. Bolzano e Trento hanno una dimensione demografica che le colloca al livello del quartiere di una grande città.
La medicina moderna è fatta di servizi estesi sul territorio ma anche, a differenza di quel che avveniva qualche decennio fa, di centri di alta specializzazione che per funzionare a dovere devono servire territori ben più popolati di una provincia, per quanto autonoma essa sia. Questo significa che la pretesa di costruire sistemi chiusi e impermeabili su basi troppo esigue è destinata a incontrare crescenti ostacoli. Non basta pretendere competenze se poi queste non possono essere esercitate al giusto livello. È una lezione che Bolzano mostra di non aver ancora imparato.