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    Storia&Storie

    “Sabato d’agosto”

    Carlo MartinelliBy Carlo Martinelli11 Maggio 2021Aggiornato:16 Maggio 2021Nessun commento9 Minuti di lettura
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    Nel novembre del 2005 Keller editore sfornava il suo primo titolo, un’antologia di racconti, “Voci di fiume”. Ho avuto l’onore di essere uno degli autori presenti in quelle pagine. E quel mio racconto, “Sabato d’agosto”,  mi sembra oggi l’unico commento possibile alla surreale polemica avviata da qualcheduno riguardo al libro “33 donne trentine” della Commissione Pari Opportunità della Provincia autonoma di Trento. Polemica che riguarda l’inclusione nelle 33 donne di Margherita “Mara” Cagol.  Di seguito, sedici anni dopo, quel racconto. 

    La giornata prometteva caldo. Ma alle sei del mattino di un giorno d’agosto un filo d’aria fresca lo si può incontrare. Così il signore belga chiese all’autista, con tono deciso, di fermare l’automobile. Erano partiti da Verona a notte fonda. Era successo tutto all’improvviso: il belga aveva deciso di fare ritorno in Svizzera, dove abitava da tempo. Aveva fatto svegliare l’interprete dal portiere di notte. Lei, assonnata più che sorpresa – ai colpi di testa erano abituati, alla casa editrice l’avevano avvertita – aveva a sua volta chiamato l’autista. 

    “Ci porti a casa. Subito. Mercì.” 

    Aveva voluto passare per il Brennero. Ad Innsbruck avrebbero girato verso il Vorarlberg e poi avanti, verso la Svizzera. 

    Fino a Trento il belga non aprì bocca. Guardava dal finestrino i campi e i paesi che sfilavano a fianco della strada. L’interprete si era addormentata. Si destò all’improvviso quando avvertì che il motore della Mercedes non borbottava più con meccanica precisione. Erano fermi. Lui era in piedi, a pochi metri da un ponte. Il fiume Adige scorreva lento. Il signore belga si era infilato in bocca la sua amata pipa. Pensava a sua madre, Henriette, ammalata. Sarebbe passato a trovarla alla casa per anziani di Oltremosa. Non poteva saperlo: ma pochi anni dopo, in uno dei suoi libri conosciuti in tutto il mondo, avrebbe scritto che aveva provato più tenerezza per delle prostitute che per lei. 

    La luce del giorno avanzava veloce. Non c’era traffico. All’improvviso una Cinquecento marrone annunciò la sua presenza già ad una certa distanza. L’autista della Mercedes non ci fece caso. Il belga gli aveva detto che sarebbero ripartiti dopo venti minuti. Voleva sgranchirsi le gambe. Arrivò al ponte, si appoggiò al parapetto. L’acqua aveva un colore verde intenso. Mandava qualche riflesso, a tratti. L’interprete restò in macchina: quei due giorni a Verona, in visita allo stabilimento della Arnoldo Mondadori e poi la cena di gala in quel ristorante di lusso, l’avevano stancata. Lui era scostante, a tratti irascibile. 

    Adesso, a vederlo su quel ponte di un piccolo paese del Trentino, con lo sguardo perso nell’acqua del fiume, sembrava un tranquillo pensionato. Certo, i suoi occhi ti scavavano dentro, quando si degnava di guardarti. Ma quell’uomo di sessant’anni e passa era imprevedibile. Glielo avevano anche fatto capire, a mezze frasi ed allusioni. “Attenta signorina, quello è un po’ malato. Passa la sua vita a scrivere e a portare donne a letto. Non fa altro.” 

    Ma non era successo nulla. Il momento più imbarazzante era stato alla cena, quando aveva acceso la pipa ancora prima dell’antipasto. Nessuno aveva osato dire nulla. Lui era padrone assoluto. 

    La Cinquecento aveva svoltato verso il ponte. Avrebbe dunque lasciato la strada statale che portava in Alto Adige e poi al Brennero. Rallentò, si fermò. Ne scesero una ragazza minuta ed un ragazzo un po’ più tozzo, con i baffi. Lei aveva tratti gentili, lui accese una sigaretta. 

    Il belga distolse lo sguardo dal fiume. Si girò verso i due che, adesso, procedevano abbracciati. Li osservò con attenzione. Era una deformazione professionale. Anni dopo, in una intervista televisiva, avrebbe detto: “La vita di ogni uomo e di ogni donna è un romanzo”. Gli piaceva cogliere l’animo delle persone a partire da uno sguardo, da un tic, dal modo di camminare, dal tono della voce. 

    Notò che all’interno della Cinquecento marrone c’era una chitarra. Spiccava il fodero color rosso. L’uomo con i baffi indossava giacca e cravatta. La ragazza un vestito scuro. Lui pensò che fossero petites gens. Provava istintiva simpatia per la gente semplice. 

    “Buon giorno”, disse. 

    La ragazza sorrise, sorpresa. Non era italiano quell’uomo. Però era gentile. “Buon giorno a lei.” 

    Allora la ragazza e l’uomo con i baffi capirono. Quel macchinone nero, da ricchi, con targa straniera, fermo poco prima del ponte, era certamente suo. 

    Il signore belga masticava un po’ di italiano. Nel 1957 era stato a Milano per parecchi giorni. Un settimanale illustrato aveva pubblicato un reportage fotografico. Le immagini che lo mostravano con la pipa in bocca e l’impermeabile chiaro, lungo i Navigli, avevano fatto il giro del mondo. 

    “Siete musicisti?”, chiese. 

    “No. Siamo studenti. Io però ho imparato a suonare la chitarra al conservatorio. Poi ho smesso”, disse la ragazza. Avrà vent’anni o poco più, pensò il belga. Aveva uno sguardo limpido. L’uomo con i baffi non apriva bocca. 

    “È francese?”, chiese lei. 

    “Per essere precisi, belga. Ma, ouì, diciamo pure che sono francese.” 

    “Ho studiato un po’ la vostra lingua, mi piace.”
    “E dove andate a quest’ora del mattino?”
    “Ci aspettano i nostri parenti e alcuni amici in un santuario poco lontano da qui. È un posto incantevole. Ci sono anche gli orsi. Oggi ci sposiamo.” 

    “Davvero? Allora auguri.” 

    Lui trovò solo in parte la cosa sorprendente. Era davvero come pensava da tempo: ogni uomo e ogni donna portano con sé il romanzo di una vita. 

    C’era ancora calma assoluta. Un venticello leggero scuoteva appena i rami degli alberi. L’acqua del fiume scorreva tranquilla. 

    “E lei come mai è da queste parti?”, chiese la ragazza. 

    L’uomo con i baffi si era allontanato di qualche metro, adesso teneva le mani in tasca. Fissava il fiume. Come pensasse a qualcosa di distante. 

    “Vengo da Verona. Sono stato ospite del signor Mondadori, quello dei libri, per un paio di giorni. Adesso torno a casa mia, in Svizzera. Ma non ho fretta: ho visto il fiume, non c’è nessuno in giro, volevo prendermi un momento di respiro. I corsi d’acqua per me hanno qualcosa di magico.” 

    “Io invece sono un po’ arrabbiata con questo fiume. Tre anni fa c’è stata l’alluvione da queste parti, l’acqua ed il fango hanno rovinato la mia cantina, dove tenevo i ricordi di bambina.” 

    “Mi spiace.” 

    “Fa niente. Adesso ho altro per la testa. E non penso soltanto al fatto che sto per sposarmi. Mi piacerebbe che lei ci dicesse di quel che sta succedendo anche in Francia. Il mondo sta cambiando, non trova? Mi scusi, lei che lavoro fa? È un professore universitario?” 

    “No. Sono uno scrittore. Quanto a quel che succede, io sono un po’ tradizionalista. Se non cambiano gli uomini, non cambierà il mondo. E gli uomini, creda a me, non cambieranno mai.” 

    “Il discorso sarebbe lungo. E comunque non sono d’accordo, lei si sbaglia. Ora però mi deve scusare, mi piacerebbe parlare un po’ con lei, ma adesso dobbiamo proprio andare. Abbiamo fissato la cerimonia ad un’ora assai mattiniera, come vede. Arrivederci.” 

    “Au revoir. E auguri.” 

    L’uomo con i baffi salutò rapido: “Buongiorno”. Era la prima volta che apriva bocca. In realtà aveva approfittato di quella breve pausa per scendere lungo la riva del fiume. Non visto, dietro un albero, aveva “svuotato l’acqua”, come gli diceva per scherzo l’amico Vanni, quando, nel cuore della notte, dopo interminabili ore di discussione sull’imperialismo e sul plusvalore, andavano incontro alle prime luci dell’alba. 

    Poco prima della sosta, in auto, ne avevano parlato. Come sarebbe cambiata la loro vita, adesso? Erano ottimisti: non sarebbero cambiati. Se lo erano ripetuti, quasi avessero bisogno di convincersi. Lei gli aveva stretto la mano, con dolcezza. Lui le rispose con un sorriso. Di quelli che possono far compagnia a lungo. 

    Risalì in auto e la avviò. Il motore della Cinquecento color marrone tossicchiò, poi ripartì. Ben presto la vettura scomparve allo sguardo. 

    “Andiamo”, disse il belga. Poi, quasi furtivamente, batté con forza la pipa rovesciata sul parapetto del ponte. Una piccola nuvola di tabacco, pressoché invisibile, si librò nell’aria e lentamente finì nel fiume. 

    L’autista aveva riavviato il motore. 

    La traduttrice aprì gli occhi. “Finalmente si riparte”, pensò. “Cosa gli è venuto in mente di fermarsi sul ponte di un paesino che si chiama San Michele? Mah.” 

    Era il mattino del 2 agosto 1969, sabato. 

    Il signore belga era Georges Simenon, grande scrittore, celebre in tutto il mondo per i romanzi del commissario Maigret. Tornava ad Epalinges. Le condizioni della madre si stavano facendo critiche, sarebbe morta l’8 di dicembre dell’anno seguente. Non poteva saperlo. In quella sosta mattutina, lungo il tappeto verde d’acqua del fiume, aveva incontrato una coppia che avrebbe avuto – per un certo periodo – una notorietà ben superiore alla sua, in Italia. 

    La ragazza che sapeva suonare la chitarra era Margherita Cagol. L’uomo con i baffi che guidava la Cinquecento color marrone, Renato Curcio. Erano diretti al santuario di San Romedio, in Val di Non, dove si sposeranno alle sette e mezzo del mattino. Già in serata saranno a Milano, dove avrebbero fatto nascere, insieme ad altri, le Brigate Rosse. Lei morirà in una sparatoria con i carabinieri, in Piemonte, il 5 giugno del 1975. 

    La figlia di Simenon, Marie-Jo, si ucciderà nel 1978: aveva 25 anni. 

    La sera di quel 2 agosto lo scrittore, poco prima di mezzanotte, entrò nella sua villa di Epalinges. 

    Alla mente gli tornava, ossessiva, quella piccola verità che gli era cara: La vie de chaque homme est un roman. 

    Né lo scrittore belga né la ragazza della chitarra avrebbero più avuto l’occasione di rivedere lo scorrere tranquillo di quel fiume, così come accadde nel mattino di quel sabato d’agosto.

    importante
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    Carlo Martinelli

    Carlo Martinelli è nato a Trento, nel 1957. Giornalista, scrittore, ex libraio, devoto alla carta. E’ autore di “Storie di pallone e bicicletta“, “Un orso sbrana Baricco”, "Campo per destinazione", "Un partigiano insulta Depero", "Antialmanacco del calcio". Per vent’anni ha lavorato all’”Alto Adige”, in particolare nell'edizione trentina, sulla quale ha scritto ininterrottamente dal 30 marzo 1980 al 15 gennaio 2021. Dal 3 novembre 2022 è editorialista e collaboratore delle pagine culturali de "Il T, quotidiano autonomo del Trentino Alto Adige Sudtirol". Scrive anche per "Salto.bz" e per "Il quotidiano del Sud". E’ stato per cinque anni responsabile de “Il Trentino” e di “Poster Trentino”, riviste della Provincia autonoma di Trento. Raccoglie scritti, recensioni e storie nel suo blog "PIOVE", piattaforma Substack.

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