Diceva Rino Formica (1927), più volte ministro, uno che si intendeva della materia, che “la politica è sangue e merda”. Di questi tempi abbiamo esempi plurimi in tal senso. Più della seconda, in verità, perché si diceva un tempo (ah, i tempi del passato quanto hanno ancora da insegnare!) che quando la “emme monta in scranno o che fa puzza o che fa danno”. È cronaca recente il linguaggio ministeriale (?) usato da una cotal rappresentante dello Stato per rammentare al presidente della Provincia, Fugatti, che non ha “palle sufficienti” e che, se proprio deve vedersela con qualcuna, se la veda con lei. Con ciò instillando nel malcapitato un senso di inferiorità che non gli si addirebbe. Quando, in anni lontani, qualcuno proporrà di elevare una statua equestre alla “vittima del terzo mandato”, a colui che non trovando modo di replicare alla ministra fece proprio il motto “un bel tacer non fu mai scritto”, ecco, proprio a lui suggeriamo di prendere a modello l’effigie del condottiero Bartolomeo Colleoni (1395-1475). Provvisto, forse è una leggenda, non di uno, non di due, ma di ben tre testicoli. “Poliorchidismo” si chiama in medicina. C’è un paesino che la ministra dovrebbe, a questo punto, inserire nel carnet delle promozioni turistiche. Si chiama “Trepalle” ed è frazione del comune di Livigno. Dove, tra l’altro, non si paga l’IVA e se qualcuno fa il furbetto, talvolta la fa franca.
A proposito di palle, in questo caso incatenate, non le ha mandate a dire in consiglio comunale a Trento, il consigliere ex di Campobase, “Tomasi te me piasi”, dopo che il sindaco Ianeselli non lo ha chiamato in Giunta e il Consiglio comunale gli ha preferito alla presidenza una collega. Povero Tomasi: gomme (della bicicletta) sgonfie e morale sotto le scarpe. (af)
Campobase: nient’altro che un campo per chi tenta le scalate impegnative.
Tende, cibo, attrezzi e consigli, aiutanti e spazi per riprendersi dai fallimenti, per chi, partendo da un campo, non porta a termine l’impresa. Credo che la funzione di un campobase sia proprio questa: supportare arditi e generosi scalatori.
La politica trentina, con le sue guglie inavvicinabili, le sue pareti verticali e viscide, a volte di difficoltà proibitive, è disseminata di crepacci, cenge esposte, tratti sconnessi con rocce fragili, sia d’estate che d’inverno, quando il ghiaccio complica tutto.
Un Trentino così ha ispirato il nome di una formazione politica che, credo, si era data questi obiettivi: scalare il monolite di una politica pietrificata, fragile, delicata, ma farlo in sicurezza, con tutte le precauzioni del caso, dotandosi delle migliori condizioni per non rimetterci la faccia e le penne.
Quando Paolo Piccoli me ne parlò, riconobbi che poteva essere una buona idea. Il quadro della politica trentina lo giustificava. Ma serviva aria fresca, frizzante, spregiudicata e fantasiosa, per eliminare quel retrogusto di stantio tipico di un locale chiuso da tempo. Arieggiare la politica trentina era certamente un buon programma, e così partì la carica dei centouno: dalmata innovativi, carichi di entusiasmo e di buoni propositi, una gamma variopinta di ospiti volenterosi, menti argute e sparse, in cerca di una possibile, confortevole e pulita casa comune.
I riti, però, sono stati fin da subito quelli di un partito già visto. E forse questo non è stato un punto di forza, ma il limite di quella grande lavatrice che lava, asciuga e ripropone, anche in politica, quadri non sempre d’autore, se non addirittura vere e proprie patacche.
Tutto ciò emerge ora chiaramente con la vicenda Tomasi, che al Comune di Trento lamenta di essere un mancato assessore, un mancato presidente del Consiglio, per finire ad essere un fuggitivo da quel Campobase che dovrebbe rifocillare e preparare alla nuova scalata i suoi ospiti.
Adesso il posto in tenda di Tomasi, al Campobase, è libero. Ma questa querelle non si limita al ruolo di un consigliere-postino: mette in evidenza la fragilità delle aggregazioni politiche, dove la lite è più feconda dell’armonia, dove ciò che conta sono i campanelli che un candidato ha suonato, le cassette delle lettere che ha visitato e le ambizioni di potere che mette in prima pagina.
Ma non solo: c’è anche chi, pur essendo un leader indiscusso, si accontenta di un posto in lista con il numero e la lettera legati all’alfabeto. Per dire e mettere in risalto come, in un Campobase armonico, anche il capocordata esperto e preparato aspetta senza far piazzate di guidare la conquista della vetta, quando le ambizioni degli “sherpa” si saranno esaurite.
Se la scalata è terminata e qualche alpinista, invece della cima, ha raggiunto solo una malga, consideri che tutte le attività della montagna sono preziose e che le vette, spesso, sono fin troppo affollate.
– Pier Dalri