Ha perso la famiglia (quella di competenza, non la propria che auguriamo florida e felice) e ha perso pure lo sport (capita di perdere per restare sul campo). Quel che è peggio: ha perso la vicepresidenza della Provincia autonoma di Trento e, visto che c’era, pure le staffe. Ma come? Io, degna rappresentante della fiamma che brucia in terra trentina, un affronto simile da quel … non me lo sarei mai aspettato. Fortuna che a mandarla in Visibilia è arrivata da Roma la Santa (che?) la quale ha sfoderato, degno di miglior lignaggio, il più bel repertorio del suo forbito linguaggio: “Fugatti abbia più palle, se la prenda con me”. Testuale. E perché, quante palle servono, di grazia, per prendersela con la Santa? Oddio, più che palle probabilmente ci vuole stomaco e il nostro, dovendosi sorbire certi dei suoi, fino a tanto non arriva.
Inutile dire che la generosa solidarietà alla sorella Gerosa sta infiammando i fratelli. Ne arriveranno altri, nelle ore a venire, per disquisire del festival fugattiano dell’Economia. E c’è da giurarci, non faranno economia di contumelie all’indirizzo del “Gubernador, hombre vertical”, rimasto un po’ ammaccato dal ricorso del Governo (dove i suoi hanno votato contro) per domandare lumi alla Corte costituzionale sul terzo mandato. Che Fugatti brama e che generosamente la Gerosa gli ha negato. Insomma, beghe di famiglia. Ecco perché alla signora è stata levata la competenza sul tema. Come andrà a finire? Come la conclusione del romanzo di Umberto Eco: “Il nome della rosa”. Ricordate? “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemur”. Tradotto: “La rosa del passato esiste solo nel nome, noi possediamo solo nomi nudi”. Un nome, spogliato di competenze e di potere. Ahi lei. (af)
Il Golem, da parte sua, va a nozze.
“Taci. Su le soglie/del bosco non odo/parole che dici…” (D’Annunzio, “La pioggia nel pineto”) Pare che queste alate parole portate dal vento, accompagnarono alla porta l’impavida, allo scoccare dell’ora fatale, nell’infausto giorno della sua degradazione sul campo.
Fiera, ritta e avvolta nella fulgida divisa di “Giovane Italiana”; coraggiosa come chi sa di non poter far conto sul terzo mandato, ella si allontanò in uno strascico di lacrime, di ira, di orgoglio ferito e di canederli. Mentre l’aria portava sul suo cuore impavido l’imperativo: “Boia, chi molla!”, lei volse, un’ultima volta, lo sguardo commosso verso l’agognato scranno, esclamando: “Tiremm innanz!”
Già abbandonata dalle mercenarie truppe dei barbari anauni e solandri; rimasta sola con la Biada, affrontò l’onta del rifiuto, forte della sua fede nella grandezza di Roma e, qual eroina d’altri tempi, cercò nell’empireo quel cameratesco conforto che, puntuale e con la consueta eleganza, le giunse da Minerva, dea dei cerini, che sfidò chi aveva osato tanto a mostrare i suoi attributi, immaginandoli di ben scarsa dimensione.
Non doma nello spirito e pronta a rinnovata pugna, la giovine s’accinse allora a nuove sfide. Con sacrificio e sprezzo del dolore, fissò, a ciò che rimaneva del suo trono, una parte di sé, pronta a vincere. E vinceremo!
In sottofondo si udiva sommesso Battisti (non il nostro “por” Cesare): “Ti stai sbagliando, chi hai visto non è. Non è Francesca…”.
Il Golem