Trecento anni dalla nascita di Immanuel Kant (22 aprile 1724), il filosofo delle “critiche”, del “cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Viviamo dentro una involuzione culturale, nella quale richiamare alcune lezioni, fra le quali quella dell’illuminismo, non sembra raccogliere consensi. Eppure si è trattato di un movimento di pensiero che ha cambiato il volto e la storia dell’umanità, anche in virtù dei suoi protagonisti migliori, che meritano di essere ricordati, non solo per il loro lascito intellettuale, ma anche per l’attualità delle loro riflessioni.
“Il sistema solare è il frutto del moto vorticoso di una nebulosa primitiva”. Così si riassume una ricerca attorno alla metafisica, raccolta nella pubblicazione di uno studente dell’università di Königsberg nel 1775 ed apparsa sotto il titolo: “Storia naturale universale e teoria dei cieli”. Il suo autore si chiama Immanuel Kant ed è nato il 22 aprile 1724, cioè esattamente trecento anni fa, in quell’antica città tedesca della Prussia orientale, proiettata verso l’oriente slavo. Si tratta della capitale di quel mondo tedesco che, sull’onda medioevale dei cavalieri teutonici, si è spinto a est in una espansione di natura religiosa, ma anche commerciale, economica e culturale e che rappresenta il primo tentativo di conquistare a oriente un grande “Lebensraum” per la società tedesca. Nell’anno in cui nasce Kant, la città si allarga e ingloba i distretti di Altstadt, Löbenicht e Kneiphof, assumendo circa le proporzioni di quella città che oggi si chiama Kaliningrad ed è il capoluogo dell’Oblast (comprensorio) di una “exclave” russa posta fra la Polonia e la Lituania.
Immanuel è il quarto di nove figli, nato nella modesta famiglia di un sellaio, Johann Georg e di una devota donna, Anna, legata al movimento “pietistico” e che influenzerà non poco il giovane. Aiutato da alcuni mecenati appassionato e curioso com’è, Kant si dedica in breve agli studi di filosofia, teologia, letteratura latina e matematica, con una intensità rara. Subisce inizialmente il fascino del pensiero di Hume e di Rousseau, per poi avviare autonome elaborazioni che sfociano, nel 1766, nel volume: “Sogni di un visionario”, attraverso il quale prova a dimostrare come si possano costruire grandi architetture spiritualistiche, salvo poi trovare enormi difficoltà nella definizione di un serio fondamento delle stesse sorretto da prove inconfutabili.
Quattro anni dopo l’uscita di quello studio, Kant viene nominato “magister” di filosofia presso la stessa università di Königsberg e a tale incarico aggiunge anche quello di vice-bibliotecario della Reale Biblioteca di Prussia, riuscendo così a mantenersi dignitosamente e a proseguire sulla difficile strada dell’elaborazione teorica. Dopo undici anni di ricerche, riflessioni e approfondimenti, nel 1781 Immanuel Kant dà alle stampe la “Critica della ragion pura”, uno dei suoi lavori più noti e famosi, nel quale svolge una trattazione sistematica del problema della conoscenza. Come conseguenza quasi naturale. Il filosofo affronta poi la questione morale, che occupa in breve una posizione di straordinaria rilevanza dentro la costruzione del suo sistema di pensiero. Sette anni più tardi, esce l’altro suo lavoro più conosciuto, ovvero la “Critica della ragion pratica” e, due anni dopo, quella “Critica del giudizio” che integra le precedenti “Critiche” ed è rivolta all’esame del problema della bellezza e delle finalità della natura.
Davanti a questa mole impressionante di lavoro, negli ambienti ufficiali della filosofia tedesca cresce la stima e l’ammirazione per questo pensatore profondo, che vive un’esistenza riservata e dedicata esclusivamente allo studio, concedendo la propria attenzione solo agli avvenimenti politici del suo tempo, fino a provare un sincero entusiasmo per la rivoluzione francese.
Ma, mentre a Parigi soffia il vento della libertà e dell’uguaglianza, nel regno prussiano, con la scomparsa del re Federico II il Grande (1786), viene gradatamente meno quel rispetto per il pensiero che ha caratterizzato la stagione e la cultura del “vecchio Fritz” e che ha fatto di Berlino, un luogo di grande libertà intellettuale. Rapidamente, l’intransigentismo religioso del luteranesimo si riafferma e offre spazio alla reazione che viene messa in campo dal nuovo monarca – Federico Guglielmo II – il quale, nel 1791, istituisce una Commissione governativa per la censura dei libri pubblicati sul suolo prussiano. Solo due anni dopo i censori del re si scontrano con Kant, dopo l’uscita di un suo lavoro dal titolo: “La religione entro i limiti della semplice ragione”. Nel 1794 quel conflitto culturale giunge al suo culmine, quando il re, su pressione della Commissione per la censura di Stato, invia al filosofo una lettera di severa deplorazione delle sue teorie religiose, imponendogli il silenzio perenne su tali questioni.
Kant risponde con grande dignità. Respinge fermamente le accuse che gli vengono rivolte ed aggiunge di essere un suddito fedele – e come tale obbediente alla volontà regia – impegnandosi a non trattare ulteriormente il tema religioso. Non rinuncia insomma alle sue idee e le difende con intelligenza, senza per questo venire meno ai suoi doveri di suddito.
Il pensiero di Immanuel Kant rappresenta da un lato l’anticipazione della filosofia idealistica e il superamento del dogmatismo metafisico e, dall’altro, il punto di confluenza fra il razionalismo e l’empirismo, pur nella difficoltà, che egli coglie, di armonizzare le due scuole di pensiero. Contagiato dall’illuminismo, soprattutto in materia fisico-astronomica, Kant va però oltre, sviluppando l’idea che “gli uomini devono adoperarsi da sé per uscire a poco a poco dalla barbarie, purché non si lavori intenzionalmente a mantenerli in essa”. Dietro al motto coniato dal filosofo di Königsberg “Sapere aude!”, si cela infatti la lezione sul coraggio dell’uomo di servirsi della propria intelligenza per redimersi dal male. È una sollecitazione che trascende i limiti stessi dell’illuminismo, per investire di sé la cultura tutta in quanto tale.
Nel 1795, Kant pubblica il trattato “Sulla pace perpetua”, che pone in luce una parte importante della personalità del suo autore. Non si tratta infatti di un contenitore di sogni, bensì di una analisi sostenuta da un vigoroso realismo e da una visione profetica di incredibile lungimiranza, che conduce a una immagine ottimistica della storia. Con una profonda capacità di vedere oltre il suo tempo, il filosofo ci parla di come i mali che affliggono l’umanità e che derivano “dalla barbarica libertà degli Stati”, sapranno portare gli uomini alla creazione di istituti sovra statali in grado di garantire un ordine cosmopolitico ed una pace universale.
Non c’è chi non veda in quest’intuizione kantiana un preannuncio, a esempio, di quell’Unione europea il cui destino può e deve andare nella direzione indicata da Immanuel trecento anni or sono. Nel frattempo, i segni di una decadenza senile progressiva, probabilmente una forma di Alzheimer che colpisce il pensatore tedesco, si aggravano fino a condurlo alla morte, il 12 febbraio 1804.Sulla sua tomba compare un epitaffio, che a noi richiama qualche reminiscenza scolastica e che così recita: “Zwei Dinge erfüllen das Gemüt mit immer neuer und zunehmender Bewunderung und Ehrfurcht, je öfter und anhaltender sich das Nachdenken damit beschäftigt. Der bestirnte Himmel über mir und das moralische Gesetz in mir”. Ovvero: “Due cose riempiono la mente con sempre nuova e crescente ammirazione e rispetto, tanto più spesso e con costanza la riflessione si sofferma su di esse. Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”.