Nei giorni scorsi s’è fatto un gran parlare del “funerale senza il prete”, ovvero dell’ultimo atto di quel “tempo dilatato” che precede l’inumazione di una persona divenuta soggetto-oggetto di venerazione nella memoria. Prima o poi i cattolici dovranno rassegnarsi all’ultimo viaggio senza l’accompagnamento del prete (ché le prèfiche già sono finite nell’urna da decenni) e con una ristretta cerchia di parenti o di amici-conoscenti. Già la messa funebre è scomparsa da anni nei cimiteri di città, ma anche nelle valli la mancanza di preti consiglia da tempo un funerale sbrigativo.
Poche parole, il ricordo commosso dei congiunti, qualche applauso finale (come si fosse a teatro) e poi via, verso il forno crematorio o la tumulazione sotto due metri di terra. L’anno appena passato ha fatto registrare la scelta (in vita o dei congiunti, in morte) della cremazione. Una pratica tanto diffusa che in Trentino il 62% degli scomparsi nel 2022 ha “scelto” di essere cremato.
Negli stessi giorni della notizia del “funerale senza il prete” si è messo di mezzo pure il Papa il quale ha ammonito che non si possono gettare al vento le ceneri e che, semmai, si può tenerne un pizzico per ricordo, riposto, magari, in un luogo caro allo scomparso.
Per non ingenerare idee strane va detto che la legge italiana non consente di dividere le ceneri, un pizzico qua e una manciata là, perché sarebbe come compiere lo smembramento di un cadavere. Ad ogni modo è in atto un cambiamento di costume avvenuto in modo radicale quanto repentino.
Eppure, fino a qualche decennio fa, l’ultimo viaggio aveva le movenze lente del lutto, della sua elaborazione che durava un anno intero, della sua sacralità. Oggi prevale la fretta del consumo, del tutto e subito: dalla vita alla morte. Si dice: “la vita continua”, ma è quella di chi, uscito dal cimitero, si dà appuntamento al “bar delle condoglianze”. Per un saluto, per un bicchiere: alla salute (eterna) del defunto.
A tale proposito ecco un racconto breve, carico di poesia, scritto da Joseph Tassone, il responsabile dei servizi funerari del comune di Trento. Ricorda la scomparsa di suo nonno che rammenta la scomparsa di una civiltà.
Il tempo dilatato
Il 13 giugno del 1990 ci fu il funerale di mio nonno Leonardo, morto di malattia a 56 anni il giorno avanti. Io di anni ne avevo 10 e lui mi pareva un vecchio. Ora so ch’era giovane. Un attimo prima, chioma alla moda e sandalo precario, ride sereno in groppa all’asina e un attimo dopo ha già indossato il suo vestito migliore, quello che non muterà più. In mezzo l’arco teso di una breve vita le cui frecce ebbero quasi tutte la punta arrugginita.
Ho ricordi nitidi di quel giorno, istantanee dai colori appena patinati dai 30 anni trascorsi dallo scatto. Trent’anni! Una generazione intera e molti mondi sono passati; nulla, fuorché qualche scampolo di passioni, è rimasto tale da allora in me.
Mia sorella, accudita dai vicini in quelle giornate confuse, andava appena all’asilo e ora all’asilo ci porta i suoi figli. Io figli da portare all’asilo non ne ho ma tocco i 40 anni e alla mia età la madre di mia madre già ci portava me.
Se ripenso agli uomini di famiglia schierati nell’aia a ricevere le condoglianze, i più hanno raggiunto il nonno, gli altri hanno l’età sua allora. La figura scarna di mia nonna che varca la soglia di casa dietro il feretro si è appesantita negli anni e ora non è più. Le prozie o dormono, oggi, o vivacchiano nel tempo dilatato, rarefatto della solitudine che precede l’oblio.
Nessuno indossa più il lutto, forse per fortuna, e se lo fa non è certo con quelle regole codificate, esatte, pesate che mia nonna snocciolava convinta come un giovane avvocato con articoli e commi di legge. Le vedove non restano in casa sette giorni dopo il funerale, gli uomini rasano la barba a talento, si accendono radio e tv, si va alle feste e ai matrimoni. Anche il rituale della morte, insomma, incurante dei suoi debiti greci vecchi di millenni, ha ceduto alle cornate della globalizzazione.
E ha fatto bene perché si è adeguato all’uomo di oggi anziché inchinarsi per un nulla a quello del passato.
Io però tutto sommato sono contento di avere quei ricordi, di aver poggiato un piede, uno solo malfermo fugace, in quel mondo, perché diversamente disporrei di una o due diottrie in meno per leggere il presente.
Dice il Qoelet: “Dalle molte preoccupazioni vengono i sogni / e dalle molte chiacchiere il discorso dello stolto”.
Joseph Tassone
1 commento
La cremazione segna la progressiva scomparsa dell’arte funeraria di nobilissima tradizione.