Davanti a certe idee o certe iniziative, anche in campo politico… “c’è chi dice no”, come cantava Vasco Rossi. Ma c’è anche chi dice solo: “insomma”, “fammi pensare”, “forse era meglio se”, “ma siete proprio sicuri?” Parliamo allora del dopo Montevaccino, ovvero la prima uscita del promesso (ma non ancora promosso) presidente del centrosinistra, il medico-oncologo Valduga, con al tavolo tutti i “dodici” suoi fedeli comprimari, Giuda compreso (anche se ancora ben coperto). Qualche perplessità, fra quanti sono stati invitati ad ascoltare per poi raccontare l’evento, l’iniziativa l’ha insinuata. Ma anche coloro che non sono stati invitati.
La cosa non è passata inosservata, se questo si voleva. Ma se qualcuno pensava di distinguersi come novità e portare una nuova aria di cui si sente un gran bisogno, è stato un autentico disastro. Almeno a parere di quanti, semplici osservatori, non invitati, hanno poi scambiato fra di loro commenti e giudizi non proprio lusinghieri. E tra i promotori qualcuno non ha gradito. La sincerità, in politica, non è più un valore (ammesso che lo sia mai stato), ma vorrei rammentare che l’indifferenza è peggio. La vulgata della scampagnata a Montevaccino credo sia stata compiutamente narrata. Si è sottolineata la fantasia di chi ha pensato alla città che va in montagna (fuori porta, peraltro), ha trovato l’agnellino appena nato, ha fatto parlare tutti, anche in video conferenza; ha chiesto a volti noti del dejà vu di disertare l’apparizione per non ingombrare la scena; si è improvvisato “un largo ai giovani”, o diversamente giovani. Si intendeva in tal modo assicurare il popolo degli elettori che dall’alto del Montevaccino si vedono le valli e le città di Pergine, Trento e Rovereto hanno a cuore la periferia: almeno con i loro sindaci. Questa la cronaca che non è piaciuta a tutti, a molti elettori storici, a gente che non voterebbe mai diversamente dal consueto, a gente che cerca ancora sulla scheda il simbolo della “falce e martello” al primo posto, in alto, a sinistra; a gente che ascoltava i comizi dal palco sui tubi Dalmine nelle piazze dei paesi anche i più sperduti.
Adesso ci siamo adeguati all’era dei gazebo, delle sale-ristoranti, in accoglienti Agritur per coniugare stelle a stalla. Serviva tutto ciò? La tecnologia e il web consentono metodi comunicativi più efficienti e meno dispersivi, più efficaci ed immediati, fors’anche più simpatici e capaci di attrarre attenzione. Forse bastava un solido Valduga, un candidato presidente sicuro di sé, autorizzato ad esporsi, anche senza i dodici “apostoli” radunati a pranzo come per un’ultima cena, senza il rito della poesia di insediamento che ogni componente al tavolo di Montevaccino recitava con devozione.
Visto da fuori non è stato un bello spettacolo, in un Trentino assediato e sotto attacco per i tentativi di mettere pezze su una falla sanguinante come la disastrosa politica che regola la presenza degli orsi sul suo territorio. Fra tutta questa gente, molti dei quali felici di essere nobili comparse, forse rammaricati del fatto che si notavano di più gli assenti, Valduga tutto ciò lo doveva evitare. Ecco caro dott. Valduga, lei dovrebbe dire soltanto: “Sarò il vostro presidente, il presidente di tutti” non attorniarsi dai (soliti) apostoli ma dai trentini. Da coloro che vivono in tutto il territorio, anche nelle frazioni più lontane, fragili e sofferenti. Non sarebbe spiaciuta l’immagine di un candidato presidente seduto su un sasso, in montagna, assieme ad un piccolo sindaco di un minuscolo paese, uno di quelli in via di assorbimento, intento a dialogare. Per dire a tutti quale futuro equilibrato intende garantire al Trentino, che pensa di proporre. Non sarebbe stato difficile, né costoso. Avrebbe regalato pensieri ed emozioni, perché diverso, inatteso. Nessuno magari si sarebbe accordo che il “nuovo” stava per arrivare ma il mio voto avrebbe trovato una casella. Senza dover storcere il naso.