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    Home»I tempi della cronaca»Fallito il progetto “Life Ursus”
    I tempi della cronaca

    Fallito il progetto “Life Ursus”

    Alberto FolgheraiterBy Alberto Folgheraiter7 Aprile 2023Aggiornato:8 Aprile 2023Nessun commento7 Minuti di lettura
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    Qui gli orsi sono troppi

    Quattro saranno uccisi

    L’autopsia lo ha chiarito fugando ogni dubbio: Andrea Papi, il giovane runner di Caldes, stava camminando (quindi non colto da infarto o privo di sensi come qualcuno aveva ipotizzato) quando è stato sbranato e ucciso da un orso, nel tardo pomeriggio di mercoledì 5 aprile, mentre tornava a casa dopo un’escursione in montagna. E così, a conclusione di una riunione del comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, al commissariato del Governo a Trento, il presidente della Giunta Provinciale, Maurizio Fugatti, ha dichiarato: “Il progetto Life Ursus è sfuggito di mano”.

    D’accordo con il Governo nazionale, oltre al plantigrado che ha sbranato Andrea Papi, saranno abbattuti anche tre orsi problematici protagonisti di attacchi all’uomo: JJ4 (aveva aggredito padre e figlio sul monte Peller il 22 giugno 2020), MJ5 (il 5 marzo 2023 in val di Rabbi ha ferito Alessandro Cicolini) e M62 (protagonista di numerose predazioni sull’altipiano della Paganella).  

    Al telegiornale regionale della Rai, Fugatti ha rinnovato le condoglianze della comunità trentina alla famiglia Papi. Ha poi annunciato di aver “firmato un’ordinanza che prevede l’abbattimento dell’orso” che ha sbranato e ucciso Andrea Papi. Inoltre, con Ispra (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione ambientale) e con il Commissariato del Governo “si è deciso di procedere all’abbattimento anche degli altri esemplari problematici che noi avevamo già segnalato ad Ispra e per i quali non avevamo mai potuto procedere”.

    Fugatti, inoltre, ha annunciato che “occorre definire chiaramente che il progetto originario prevedeva la presenza di 50 esemplari sul nostro territorio. Perché questo era il numero di esemplari previsti per la convivenza uomo-animali. Oggi i soggetti censiti sono un centinaio. Occorre tornare nel più breve termine di tempo possibile alle previsioni originarie del progetto, partendo proprio da quei territori come la Val di Sole il cui numero è sproporzionato rispetto alla convivenza”.

    La collega Boggiano ha poi sottolineato che ci sono stati tratti della conferenza stampa piuttosto duri. Risposta di Fugatti: “Di fronte a domande, legittime sia chiaro, su cui si faceva riferimento al benessere degli animali, ho risposto che le preoccupazioni prioritarie della Giunta Provinciale sono il benessere della popolazione trentina per permettere loro di vivere la vita di montagna come l’hanno sempre vissuta”.

    • Progetto “Life Ursus” della Provincia Autonoma di Trento finanziato dall’Unione Europea. Yurka un orso femmina di 4 anni catturata in Slovenia nella riserva di Monte Nevoso é stata rilasciata nel parco Adamello Brenta vicino al Lago di Tovel
    Yurka, l’orsa prelevata in Slovenia e rilasciata nel parco Adamello-Brenta (2001) – Maurizio Fugatti presidente della PAT

    Yoghi e Bubu non abitano più qui, semmai qualcuno avesse ancora in mente i paciocconi orsi dei cartoni animati di Hanna e Barbera. Lo sciagurato epilogo di un’escursione tra i boschi, costata la vita ad un giovane runner di Caldes, in val di Sole, ha reso manifesto il fallimento del progetto “Life Ursus”. Quell’idea, cioè, che l’immissione dell’orso nel parco Adamello-Brenta potesse essere controllata e mantenuta entro le prospettive di un piano europeo di salvaguardia dell’ecosistema. 

    Andrea Papi, sbranato da un orso a 26 anni, era nato proprio quando prendeva il via lo studio di fattibilità per reintrodurre gli orsi nel gruppo di Brenta. In quel periodo, da decine che erano nell’Ottocento i plantigradi si erano ridotti a due-tre esemplari. Il progetto prevedeva la liberazione di 9 orsi (3 maschi e 6 femmine, di età fra 3 e 6 anni), prelevati nelle foreste della Slovenia. Nell’arco di 20-40 anni avrebbero dovuto popolare con 40-50 individui un’area di 1700 kmq. compresa fra il Trentino occidentale, le province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona. Nella fase preparatoria fu compiuto perfino un sondaggio di opinione (affidato alla DOXA di Milano) che coinvolse 1500 persone. Un campione ritenuto più che sufficiente per “fotografare” il gradimento o meno del progetto. Più del 70% degli intervistati dichiarò di essere favorevole alla cattura degli orsi slavi ed al loro trasferimento nelle foreste del Trentino occidentale. 

    I primi due esemplari (chiamati Masun e Kirka) furono rilasciati nel parco Adamello-Brenta nel 1999. Tra i 2000 e il 2002 furono liberati altri 8 orsi, tutti muniti di radiocollare per monitorarne gli spostamenti. Quando il progetto “Life-Ursus” fu considerato concluso e riuscito, era il 2004, nell’area del parco Adamello-Brenta si calcolava la presenza di una cinquantina di esemplari.

    Poi la situazione è sfuggita di mano. Intanto, a parte qualche sporadica sortita, non si sono avute negli anni notizie di spostamenti massicci di orsi in altre regioni dell’arco alpino. Infatti, caso rarissimo in natura, questi predatori sembrano tenere in massima considerazione i confini della provincia autonoma di Trento. Infatti, sono rare le notizie di loro “sconfinamenti” in altre zone delle Alpi. Forse perché, dice chi pensa male, non essendo pratici di bilinguismo, quando arrivano in Alto Adige si “suicidano” senza tanti ripensamenti. In Germania gli sparano.

    Nell’estate del 2020 un orso (M49) ribattezzato “Papillon”, come l’evaso dalla Guyana francese, tenne a lungo le prime pagine dei giornali. Fuggito per la seconda volta dalla “prigione” del Casteller, a sud di Trento, dove era stato confinato, era tornato sui propri passi a predare vitelli e capre sul Lagorai, in val di Fiemme. 

    Di quella fuga e dei guai che già allora stava creando qualche orso problematico, ragionammo con un “grande vecchio” della forestale, il dott. Donato Nardin (1926). Il quale, nella sua lunga carriera di fedele servitore dell’Autonomia, si era trovato a dover districare la questione di due orsi liberati nel 1969 in val di Genova. Troppo maldestri per arrangiarsi in natura, i due plantigradi erano sempre lì, a due passi dai turisti, a cercare caramelle e panini. 

    “In quella vicenda fui coinvolto per caso. C’erano due orsi, arrivati in Trentino dal giardino zoologico di Zurigo dove erano stati tenuti in cattività. Non avevano paura dell’uomo, si spaventavano soltanto se gli tiravano sassi. I forestali, dopo averli seguiti per qualche mese, arguirono che potevano essere un pericolo. Ma non sapevano come catturarli e così il dott. Riccardo Vidi, direttore generale della Regione per il settore forestale, si rivolse a me. Avevo qualche pratica nella cattura dei cervi poiché avevo introdotto tale specie nel parco naturale di Paneveggio, al tempo in cui ero amministratore della Foresta Demaniale. Usavo un fucile che sparava siringhe col narcotico”.

    La cattura del primo animale fu un gioco da ragazzi. Per il secondo plantigrado, una femmina, l’operazione fu complicata. Fu uccisa dai guardacaccia qualche giorno dopo che il primo orso era stato portato nel costruendo guardino zoologico di Pastrengo, nel veronese. Il camionista che ve lo aveva trasferito, stava tornando dalla val Rendena dove aveva scaricato frutta e verdura per gli alberghi. Fu convinto a quel trasporto “pericoloso” su richiesta e accompagnamento dei forestali di Pinzolo. “Oggi il problema è serio – commentò già nell’estate del 2020 il forestale Nardin – gli orsi sono troppi e tutti nel Trentino occidentale. Ora non dico di abbatterne una parte, ma di trasferirli altrove questo sì”. Non si è fatto né l’uno né l’altro. Dalla sera del 7 aprile 2023, da parte della Provincia e degli altri enti preposti alla tutela dell’incolumità delle persone si è cambiato registro.

    Andrea Papi, sbranato dall’orso, è la prima vittima di un plantigrado in Italia, la quinta in Europa negli ultimi decenni: una in Svezia, due in Turchia, una turista americana in Romania (2007). Un turista è morto, dilaniato da un orso, nel luglio 2021, in Siberia.

    ©iltrentinonuovo.it

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    Alberto Folgheraiter
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    Giornalista e scrittore. Negli anni Settanta redattore al settimanale “Vita Trentina”, alla redazione di Trento de “Il Gazzettino”, direttore responsabile di “Radio Dolomiti”. Dal 1979 al 2010 cronista alla redazione di Trento della Rai, poi capostruttura dei programmi (2007-2010); corrispondente dalla regione (1975-1996) del settimanale “Famiglia Cristiana”. Dal 3 novembre 2022 collaboratore fisso del quotidiano "IlT" del Trentino-Alto Adige. Ha pubblicato 27 libri su storia, tradizioni ed etnografia del Trentino-Alto Adige. È socio di Studi Trentini di scienze Storiche. È socio e direttore responsabile di "Judicaria", la rivista dell'omonimo Centro studi di Tione; e direttore responsabile della rivista "Teatro per Idea" della Cofas, la Federazione del teatro amatoriale Trentino.

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