Mentre l’Ucraina è dilaniata dall’invasione russa che vuol riavvolgere il nastro della storia; mentre la popolazione civile fugge verso occidente e chi resta cerca di contrastare con tutti i mezzi, casa per casa, l’invasore, in casa nostra c’è chi vuole appropriarsi del mito altrui. E rispolvera a proprio uso e consumo la figura dell’oste della val Passiria che al principio del XIX secolo cercò di contrastare l’invasione del Sudtirolo da parte dell’armata di Napoleone Bonaparte.
Dalla dittatura sanitaria di Napoleone ai no vax e Casapound
Destino cinico e baro quello del patriota tirolese per antonomasia: quello di finir tirato per le piume del cappello in feroci controversie delle quali, all’epoca in cui visse, poco o nulla si poteva immaginare.
Rivoltoso contro gli occupanti transalpini (bavaresi o francesi poco importa), in nome di un popolo tirolese che non conosceva all’epoca contrasti tra tedeschi o italiani, ha finito dopo il 1918 per diventare la sacra icona cui dedicare il sacrificio di un popolo diviso da un confine avvertito come una ferita non rimarginabile. Le corone di spine portate a spalla dei “suoi” Schützen durante i grandi cortei celebrativi del suo mito grondavano sangue e lacrime.
Le vedeva passare a Innsbruck il fucilato di Mantova, da un’ultima dimora conquistata con decenni di ritardo per la colpevole noncuranza della corte asburgica, insospettita più che gratificata dall’estremo sacrificio di quel rivoltoso.
Adesso che il mito ha attraversato i secoli, ogni anno, a febbraio, i riti si svolgono secondo una liturgia ben assestata. La trasferta lungo le rive del Mincio, le manifestazioni dei cappelli piumati con la celebrazione principale ai piedi della grande statua meranese. A Innsbruck, all’ombra del sacrario del Berg Isel Bund, vengono assegnate le onorificenze del Tirolo riunito. Quest’anno le hanno ricevute tre personaggi come Reinhold Messner, lo scrittore Josef Zoderer e la giornalista Lilli Gruber i cui profili possono essere collocati con parecchia difficoltà nel quadro di quella tradizione di cui Hofer rappresenta il brand vincente.
A complicare ulteriormente la situazione è arrivata anche la pandemia. Ci si è ricordati che Hofer, da bravo cattolico praticante aveva abbracciato anche la battaglia combattuta all’epoca dalla Chiesa contro la vaccinazione antivaiolosa, considerata strumento del demonio.
Tanto è bastato per arruolarlo anche tra le schiere dei no vax, particolarmente fitte in Alto Adige in quella Passiria da cui Hofer era partito per le sue imprese.
L’altra faccia dell’eroe ha destato anche l’ammirazione, forse non del tutto prevista, degli aderenti di Casapound di Trento e di Bolzano che hanno annunciato sul loro sito di avergli addirittura dedicato alcuni manifesti murali
“Cosa farebbe un’aquila in gabbia? – hanno scritto – Morirebbe lentamente o tenterebbe di liberarsi? Libertà! Questa è la parola che più si sente gridare da ogni uomo libero contro lo stato d’emergenza permanente e il potere sanitario e finanziario apolide, che vuole distrutta la dignità del lavoro e della Tradizione in Europa. Noi vogliamo rendere omaggio, nell’anniversario della morte, ad Andreas Hofer, il coraggioso condottiero di questa terra di confine e tendere così la mano ai fratelli sudtirolesi per la condivisione di una storia comune e di riscossa per il futuro”.
Omaggio andato di traverso, come prevedibile, ai custodi sudtirolesi delle memorie hoferiane, che hanno respinto con sdegno l’offerta di amicizia dell’ultradestra italiana. Non basta il rifiuto di un’iniezione per colmare il fossato di una storica rivalità.