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    Home»Razzismo&Antisemitismo»Le madri del pregiudizio (11)
    Razzismo&Antisemitismo

    Le madri del pregiudizio (11)

    Renzo FracalossiBy Renzo Fracalossi19 Dicembre 2021Nessun commento7 Minuti di lettura
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    Quando una società è costretta a confrontarsi con diversità sociali e culturali problematiche, conturbanti e detestate, in capo alle minoranze che provocano tali inquietudini scatta la terribile accusa di praticare sacrifici umani. È accaduto di frequente nella storia dell’umanità. Quest’accusa coinvolge diversi gruppi sociali nell’arco della storia occidentale, ma con uno in particolare si radicalizza e ne accompagna larga parte del cammino: dal 1144 al 1946, per quanto dato sapere. Renzo Fracalossi ne ricostruisce le tappe.

    Dopo la prima Crociata del 1096, segnata dalle truppe cristiane che, in marcia verso la Terra Santa, massacrano quasi tutti gli ebrei della Renania “colpevoli d’essere infedeli” e soprattutto “assassini di Cristo”, l’accusa teologica di deicidio si fa sempre più esplosiva e si mescola a superstizioni popolari irrazionali, dove elementi delle antiche culture pagane si sovrappongono ai precetti cristiani ed all’esercizio di riti di massa propiziatori e talora carichi di violenza. È in questa commistione che viene inventata l’accusa, specificatamente rivolta agli ebrei e solo agli ebrei, di utilizzare sangue umano fresco – e possibilmente puro come quello dei bambini – per preparare le matzhot, cioè i pani azzimi previsti nel rito di Pesach, la Pasqua ebraica che molto spesso coincide con quella cristiana. Si tratta di una accusa perfetta. In essa infatti si cela il mistero del sangue, veicolo della vita; il sacrificio umano come rito ripugnante ed estraneo alle culture occidentali e la profanazione dei bambini, visti come l’Agnello sacrificale al quale fa riferimento la simbologia pasquale cristiana. A ciò si aggiunga, come sommo dispregio, la fantasia irrazionale che incolpa gli ebrei di praticare fori nelle ostie consacrate per far si che queste sanguinino, in una sorta di ripetizione all’infinito dell’atto della crocifissione.

    Va da sé che con queste premesse, non devono stupire le ulteriori accuse rivolte agli ebrei di avvelenare i pozzi di acqua potabile allo scopo di diffondere la peste bubbonica – la terribile “morte nera” – che decima la popolazione europea nel XIV secolo, perseguendo in tal modo la caduta della cristianità.

    Nel 1144 a Norwich, in Inghilterra – guarda caso alla vigilia del venerdì Santo – in un bosco viene scoperto il corpo di un ragazzino evidentemente assassinato. Il monaco Teobaldo da Cambridge, che è un ebreo convertito, ricostruisce i fatti in modo molto fantasioso, affermando che quella morte è stata decisa in una riunione segreta di rabbini, tenutasi a Narbonne in Francia. Fortunatamente le autorità non danno peso alle accuse, ma la cultura popolare, che ha sempre bisogno di trovare un colpevole che spieghi il male, fa del ragazzino un martire a furor di popolo e così le reliquie di “san William” vengono venerate e sono meta di pellegrinaggio per secoli.

    Tre anni dopo a Würzburg in Germania, viene rinvenuto nel fiume Meno il cadavere di un adolescente. Immediatamente scatta la caccia agli ebrei del luogo, con un conseguente massacro di innocenti ad opera dell’improvvisa furia popolare. Il meccanismo è rodato e si diffonde. A Blois, in Francia, nel 1171 sono arsi vivi 38 ebrei accusati di un altro infanticidio rituale; vent’anni dopo a Bray-sur-Seine il numero di vittime innocenti sale a 100, mentre l’accusa si allarga a macchia d’olio in tutta Europa, al punto da imporre all’imperatore Federico II la costituzione di una commissione di alti prelati e dignitari di corte per indagare su tale infamia. L’esito esclude in modo assoluto qualsiasi fondamento a simili accuse e quindi, nel 1236 e con l’emanazione della “Bolla d’Oro”, l’imperatore libera tutti gli ebrei da ogni sospetto. A sua volta il papa Innocenzo III emana anch’egli una prima bolla del tutto identica a quella imperiale e volta a scagionare gli ebrei, ma non serve a niente.

    Nel 1370 a Bruxelles, le fiamme bruciano 20 ebrei accusati di profanazione delle ostie consacrate e nei mesi antecedenti e successivi a questo rogo, un’identica accusa viene mossa nei riguardi delle comunità ebraiche di Röttingen in Germania e di Berna in Svizzera, per arrivare infine alla tragica vicenda  del marzo 1475 a Trento dove l’accusa di omicidio rituale porta alla pianificazione dello sterminio dell’intera piccola comunità ebraica locale, dopo ripetuti pubblici processi fondati su di un uso pesante della tortura e nonostante gli interventi politici dell’imperatore e del papa che provano a fermare la macchina di morte voluta dal vescovo di Trento Johannes Hinderbach. Attorno al caso di Trento si sviluppa il culto, peraltro blandamente riconosciuto dalla Chiesa, del “beato Simonino” che diventa invece, per l’ebraismo, il simbolo del primo pogrom voluto, programmato ed eseguito dal potere politico.

    L’accusa di omicidio rituale è insomma parte stessa della storia continentale e non cede nulla al trascorrere del tempo, come dimostra l’ultima riproposizione a Kielce, nella Polonia del secondo dopoguerra, sulla scorta di alcune dicerie relative alla morte di un bambino. Non siamo più nell’Europa medioevale e lo sterminio degli ebrei perpetrato dal nazifascismo è appena venuto a conoscenza del mondo. Ciò nonostante, il 4 luglio 1946 un linciaggio in piena regola uccide 40 ebrei e ne ferisce altri 80, su di un totale di circa 200 persone per la maggior parte sopravvissute alla Shoah, nella più completa indifferenza delle autorità locali. Dal primo episodio di Norwich sono trascorsi oltre ottocento anni, ma gli ebrei vengono ancora perseguitati da chi rimane convinto che essi utilizzino sangue di bimbi per impastare i loro cibi. Ottocento anni trascorsi del tutto invano. Ma il pregiudizio si nutre anche d’altro.

    Se l’origine del male è, senza dubbio, incarnata dal diavolo, da quell’“angelo caduto” e diventato demonio, questo viene descritto, nelle confessioni di streghe e stregoni processati dall’Inquisizione, attraverso una ripugnante fisicità. Corna, artigli ed una coda appuntita; carnagione scura e pelo nero; barba a pizzo; orecchie a sventola ed emana un acre odore di zolfo. Lentamente l’immaginario popolare, subornato da veementi predicazioni intrise di orrore e paure, trasferisce queste caratteristiche mostruose dal demonio all’ebreo e la somiglianza, così costruita ad arte, si alimenta di racconti, al punto che l’odore di zolfo si trasforma nel “foetor judaicos”, che marca, nelle narrazioni fantastiche, gli ebrei. Ma non basta. Ci sono anche differenze di altra natura che distinguono gli ebrei fra loro. I discendenti della tribù di Simeone sanguinano quattro volte all’anno; quelli di Asar hanno un braccio più corto; quelli di Beniamino hanno in bocca vermi vivi, mentre tutti mantengono intatte le caratteristiche diaboliche più generali. E ancora. Gli ebrei festeggiano e santificano il sabato, cioè lo Shabbat, la cui analogia linguistica con il Sabba delle streghe non può lasciare indifferenti. Se a ciò si aggiunge inoltre il “turpe commercio del denaro”, proibito ai cristiani e che scatena arricchimenti di un certo peso e conseguenti invidie e gelosie, nonchè la conoscenza delle arti mediche non estranee alla dimensione del magico e dell’esoterico, è evidente la facilità con la quale si sovrappone l’ebreo-usuraio all’ebreo-diavolo e la superstizione viene così resa in tutta la sua apparenza.

    Ma anche questo non è sufficiente. Bisogna infatti poter individuare subito l’ebreo dal cristiano e così nel 1215 il IV Concilio lateranense stabilisce, in materia di fede, come gli ebrei e con essi anche i saraceni che vivono a stretto contatto con le comunità cristiane debbano essere distinguibili attraverso un segno posto sugli abiti e ben visibile. Dapprima si tratta del “Tondo”, un dischetto di colore giallo, cioè quello della cattiveria e dell’invidia, delle dimensioni di una moneta e cucito sugli abiti a simboleggiare il rapporto fra il denaro e gli ebrei. Da questo poi si passa al cappello a punta che compare in molta pittura medioevale e rinascimentale e ad altri simboli come le fasce gialle portate in vita, per arrivare infine alla “Stella di David”, anch’essa di colore giallo, che segna purtroppo i predestinati alla “Soluzione finale” e racconta di un orrore che taglia i secoli.

    (11, continua – Le precedenti puntate sono state pubblicate in rete il 22, 27 settembre; 5, 11, 21, 27 ottobre; 6, 12, 21 novembre, 9 dicembre 2021)

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    Renzo Fracalossi

    Renzo Fracalossi, è nato a Rovereto il 5 luglio 1961. Risiede a Trento dove, dopo gli studi umanistici, lavora nella pubblica Amministrazione. Presiede l'associazione culturale "Club Armonia"; è componente della "Società di Studi Trentini di Scienze storiche" e della S.O.S.A.T. Ricercatore e divulgatore, si occupa da decenni di approfondire e narrare l'antisemitismo e con esso la Shoah e di indagare la storia locale. Collabora con università e centri di ricerca europei su tali questioni ed ha all'attivo alcune pubblicazioni e contributi. È autore teatrale, iscritto alla S.I.A.E., con testi rappresentati in sede locale e nazionale.

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