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    Razzismo&Antisemitismo

    I Pogrom nell’Europa orientale (10)

    Renzo FracalossiBy Renzo Fracalossi9 Dicembre 2021Nessun commento7 Minuti di lettura
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    “Il filo rosso dell’odio”, come lo disegna con grande efficacia Renzo Fracalossi, connota la storia degli ebrei finiti nelle terre orientali, di là dall’Oder, in Polonia e Lituania. Dapprima rifugio e poi attraversate da ricorrenti fiammate di violenza in un crescendo che porterà allo sterminio sistematico del XX secolo.

    Perseguitati e cacciati per secoli dalle contrade occidentali del vecchio continente, consistenti quote di famiglie ebree cercano ciclicamente rifugio nelle inospitali terre poste a oriente del fiume Oder e, in particolar modo, in Polonia e Lituania. Si tratta di territori governati da un radicato sistema feudale, retto da una nobiltà terriera e guerriera, in parte erede della tradizione crociata dei Cavalieri Teutonici; da un clero ricco e diffuso che amministra latifondi e risorse naturali attraverso il lavoro di una sterminata servitù della gleba. Su quest’economia ancora primitiva si innesta facilmente la nuova ed evoluta diaspora ebraica che, in breve, monopolizza traffici, commerci e circolazione del denaro, trovando un equilibrato inserimento nel più vasto contesto sociale, come testimoniano i molti privilegi concessi agli ebrei da Boleslav di Kalisz nel 1264 e dal re di Polonia, Casimiro il Grande, un secolo dopo.

    Con il XIV secolo però la Chiesa polacca, sempre più potente ed influenzata senza dubbio dalle predicazioni che giungono da occidente, inizia a legiferare contro gli ebrei, mentre anche qui si fanno strada le prime accuse di omicidio rituale e di profanazione delle ostie consacrate, finché, nel 1454, il re Casimiro Jagellone abroga larga parte dei privilegi concessi fin qui agli ebrei ed avvia le prime espulsioni da Varsavia, da Cracovia e dalla Lituania.

    Eppure, gli ebrei hanno messo qui tali e tante radici, consolidando le loro posizioni economiche ed amministrative dentro la società polacco-lituana, da risultare praticamente impossibile eliminarli radicalmente.  L’ influente presenza ebraica, nei secoli che dal Mille arrivano fino all’epoca dei Lumi e pur oscillando fra momenti di tolleranza e di persecuzione, assume però contorni imparagonabili a quelli presenti nel resto d’Europa, fino a costituire una sorta di “stato ebraico” dentro la Polonia – il “Consiglio delle quattro Nazioni” – ed a rappresentare, nel 1765, il 10% dell’intera popolazione polacca. In Polonia, gli ebrei si amministrano da soli; non esistono ghetti; non ci sono discriminazioni; si occupano di istruzione, sanità e mercato del lavoro; praticano la carità e la solidarietà prescritta dai precetti religiosi; possiedono perfino latifondi e ricoprono alti incarichi amministrativi.  Tutto ciò consente, fra l’altro, la conservazione di quegli specifici tratti culturali ed identitari che danno origine alla lingua yiddish, frutto di contaminazioni di varia provenienza europea ed innestate su una solida radice ebraica e che diventa rapidamente il carattere più distintivo dell’intera diaspora ashkenazita orientale.

    In questo particolare ed unico contesto però, anche l’antisemitismo assume profili di unicità. Qui l’ebreo non è un corpo estraneo; qui è parte integrate della società e l’avversione per lui non è diversa da altri normali contrapposizioni fra gruppi sociali. Si tratta insomma di un antisemitismo sociale, anziché religioso come avviene altrove e forse più legato alle posizioni dominanti conquistate nel tempo dagli ebrei, che non ad una discriminazione aprioristica.

    Ma è con il “Diluvio”, ovvero con la fase di dissoluzione dello Stato polacco nella seconda metà del XVII secolo, che l’antisemitismo assume contorni violenti con la rivolta dei contadini ucraini, servi-schiavi nei latifondi dei nobili polacchi amministrati dagli ebrei. Guidati da Bogdan Chmel’nickij, i contadini si alleano con cosacchi e tartari di Crimea e dilagano, per anni, soprattutto nella Polonia meridionale massacrando tutto ciò che trovano sul loro cammino e principalmente gli odiati ebrei. Più di 100 mila vengono uccisi, in un bagno di sangue dal quale le comunità ebraiche non si risollevano più ed anzi si avviano a un irreversibile declino sociale ed economico.

    Sono proprio queste nuove condizioni a trasformare l’ebraismo polacco-lituano, segnato da un lato da nuovi flussi migratori di ritorno verso l’Europa occidentale e dall’altro dall’avvento del movimento religioso chassidico fondato da Baal Shem Tov, che nell’agiografia tanto assomiglia a Gesù Cristo anche per la sua predicazione semplice, intrisa di misticismo e con qualche appannato tema del cristianesimo.

    Ciò provoca una sorta di scisma dentro l’ebraismo: da una parte i custodi della tradizione talmudica e dall’altra gli “hassidim” che contestano il potere dei rabbini e dei ricchi. Decenni di lotte teologiche, di anatemi e di disquisizioni non fermano il movimento chassidico, che diventa così punto di riferimento per la maggior parte degli ebrei dell’Europa orientale.

    È in queste fratture che si insinua l’antisemitismo polacco, sempre più venato di temi religiosi e che si alimenta di continui massacri soprattutto nelle regioni più vicine al confine russo: si tratta della cruenta tradizione dei “pogrom”, termine russo che indica le sollevazioni popolari spontanee contro le minoranze religiose ed in particolar modo contro quelle ebraiche.

    Mentre tutto questo avviene sul suolo polacco-lituano, in Russia invece non accade nulla nemmeno di vagamente simile, nonostante condizioni sociali ed economiche abbastanza similari.

    I primi ebrei che calpestano la terra russa sono quelli documentati alla corte di Ivan III Granduca di Moscovia, verso la metà del XV secolo. Ma l’avvento di ripetuti fenomeni eretici rispetto all’ortodossia del clero russo ed ai quali pare non sia estraneo l’influsso dell’ebraismo, spinge progressivamente il potere degli zar ad emarginare e ghettizzare i loro sudditi ebrei, in una situazione di persecuzione che dura almeno fino alla stagione delle grandi riforme sociali volute da Pietro il Grande. Il clero russo – e con esso quindi il popolo che è sempre oltremodo devoto – indica negli ebrei la quintessenza di ogni male e radica un pregiudizio, che si trasforma presto in odio e che segna più di un’epoca della storia russa: da Ivan IV “il Terribile” fino alla dinastia dei Romanov.

    Gli ebrei sotto la corona degli zar non sono mai moltissimi e spesso vivono confinati verso le periferie occidentali del vasto impero, senza nemmeno poter vantare il diritto ereditario minimo al soggiorno ed alla residenza. In queste condizioni di emarginazione, negli anni dei massacri in Polonia, non pochi ebrei cercano rifugio fra le isbe ed i villaggi delle aree di confine, sopportando, pur di sopravvivere, anche l’umiliazione delle conversioni forzate, secondo un modello già collaudato nella Spagna rinascimentale. Ma non serve a nulla. Le miserabili condizioni di vita alle quali sono costretti gli ebrei russi non migliorano minimamente ed è forse questa la causa che spinge molti di loro nelle file dei rivoluzionari che si battono per il rovesciamento dello zarismo.

    Non poche sono le intelligenze ebraiche dentro la Rivoluzione d’Ottobre, come quelle di Trotckij, Zinoviev e Kamenev per i bolscevichi e di Martov e Aksel’rod per i menscevichi, però l’antico germe dell’antisemitismo non perde il suo “fascino” nemmeno nella “patria del socialismo”. Certo, Lenin è sicuramente contrario all’antisemitismo, ma non così molti suoi seguaci e fra essi anche Stalin che, nel 1928, crea nell’estremo oriente siberiano una regione autonoma ebraica (l’Oblast di Birobidzan) che dovrebbe diventare una sorta di “Sion” sovietica, ma si riduce invece ad essere uno sterminato gulag. Le purghe del 1936 completano l’opera e cancellano di fatto l’ebraismo più colto ed avanzato dall’ U.R.S.S., mentre l’emarginazione degli ebrei dalla vita sociale anche post-bellica provoca, alla caduta del comunismo, una vasta emigrazione in Israele che ne cambia addirittura la fisionomia politica e sociale.

    Un’ultima annotazione. Hitler ritiene che i territori slavi siano destinati allo spazio vitale germanico – il “Lebensraum” – ma, al contempo, lascia che i principali campi di sterminio dell’ebraismo europeo siano collocati nei territori polacchi e proprio fra le popolazioni slave e baltiche trova forse i più convinti e crudeli alleati nella lotta contro gli ebrei. È questo il filo rosso dell’odio che dal XVII secolo in poi connota particolarmente la storia ebraica nelle terre al di là dell’Oder. 

    (10, continua – Le precedenti puntate sono state pubblicate in rete il 22, 27 settembre; 5, 11, 21, 27 ottobre; 6, 12 e 21 novembre 2021)

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    Renzo Fracalossi

    Renzo Fracalossi, è nato a Rovereto il 5 luglio 1961. Risiede a Trento dove, dopo gli studi umanistici, lavora nella pubblica Amministrazione. Presiede l'associazione culturale "Club Armonia"; è componente della "Società di Studi Trentini di Scienze storiche" e della S.O.S.A.T. Ricercatore e divulgatore, si occupa da decenni di approfondire e narrare l'antisemitismo e con esso la Shoah e di indagare la storia locale. Collabora con università e centri di ricerca europei su tali questioni ed ha all'attivo alcune pubblicazioni e contributi. È autore teatrale, iscritto alla S.I.A.E., con testi rappresentati in sede locale e nazionale.

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