Ci sono molti imprevisti nel nuovo papa della Chiesa di Roma, a cominciare da egli stesso: Robert Francis Prevost, discendente da emigrati negli Stati Uniti ma “figlio” delle due Americhe. Perchè vent’anni della sua missione di frate agostiniano, nato a Chicago nell’Illinois, li ha passati tra i derelitti del Perù. E dunque conosce bene l’opulenza e la miseria, la pace e le guerre che sono davanti agli occhi del mondo (per chi ha ancora occhi per vedere). Non è un caso che il suo saluto alla folla, incredula per la rapidità del conclave e per la scelta del “Leone americano”, sia stato “la pace sia con voi”.
Reduci da un soggiorno romano per il giornale “Il T quotidiano”, vediamo di ricomporre anche per questo nostro “blog” qualche fotogramma delle mille immagini tra la morte di Francesco (il lunedì dell’Angelo, 21 aprile 2025) e l’elezione di Leone, nel pomeriggio di giovedì 8 maggio. Tra il fumo dell’incenso attorno alla cassa di cipresso nella piazza incolonnata di San Pietro e la fumata bianca dal comignolo sul tetto della cappella Sistina. Tra le campane a lutto e i bronzi della festa che hanno accompagnato l’annuncio “cum magno gaudio” dell’Habemus Papam. Un rito, quello del conclave “sotto chiave” che fu attuato la prima volta il 22 febbraio 1276 quando fu eletto papa il domenicano Innocenzo V (1225-1276) che visse da papa solo 153 giorni. Quanto all’uso della formula “Annuntio vobis gaudium magnum: Habemus Papam” (Vi annuncio con grande gioia: abbiamo il Papa) è attestato solo dal XV secolo.
Nei primi secoli del cristianesimo, il Papa (che è, prima di tutto, il vescovo di Roma) era eletto dal popolo e dal clero. A volte era lo stesso vescovo antecedente a designare il successore. Tra il IV e l’VIII secolo, con l’impero romano cristianizzato, furono gli stessi imperatori ad approvare quando non a imporre il nuovo papa. Sul finire del primo millennio il ruolo di vescovi e cardinali si rafforzò. L’elezione fu a lungo influenzata dalle famiglie nobili romane. Si dovette arrivare al 1059 perché papa Nicola II (980-1061) stabilisse il diritto esclusivo di nomina del pontefice da parte di cardinali vescovi.
Il conclave fu istituzionalizzato dal II concilio di Lione (1274) dopo una sede vacante durata tre anni. Lasciamo la storia per la cronaca recente dell’ultimo conclave. I giornalisti accreditati in Vaticano (6 mila da tutto il mondo) hanno cercato per giorni conferme o smentite alle suggestive ipotesi circolate subito dopo la quarta votazione e la conseguente “fumata bianca”. Assodato che i cardinali elettori, prima di entrare nella cappella Sistina nel pomeriggio di mercoledì 7 maggio, hanno giurato di mantenere il segreto su ciò che sarebbe accaduto, a una settimana dall’imprevista nomina del cardinale Prevost a 267° successore di Pietro, qualcosa è trapelato. Ne dà conto il “Corriere della Sera” del 15 maggio per la penna di Gian Guido Vecchi. Prima della pronuncia della formula di rito: “Extra omnes”, fuori tutti, i cardinali elettori si sono dovuti sorbire una meditazione del predicatore emerito della casa pontificia, il novantenne cardinale Raniero Cantalamessa. Il quale, a dispetto del cognome, deve avere cantato pure il Vespro se la meditazione, invece degli ipotizzati 45 minuti è durata per ben due ore. Entrati in conclave alle 16.45, gli “eminentissimi” si sono così trovati in prossimità delle 19 senza ancora cominciare il primo scrutinio. Scrive Gian Guido Vecchi che qualcuno voleva rinviare tutto all’indomani. Qualcuno, non sembri irriverente ma è un dato oggettivo vista l’anzianità, avrà avuto anche qualche problema impellente, ma è prevalso “il senso del dovere”. Cominciata la votazione, poste le schede sul vassoio, avviato lo scrutinio, fatta la conta finale, prima che il fumo, nero come la pece, si alzasse nella sera che volgeva alla notte, sono arrivate le 21. Delusione nella piazza, gremita, di San Pietro. Dirette TV, sul web, sistemazione dei pezzi già abbozzati da qualche ora (era prevedibile che la prima fumata fosse “nera”) e invio alle redazioni del mondo.
L’indomani, altra “fumata nera” dopo le due votazioni della mattinata. Ma già subito dopo pranzo, nelle due affollate sale stampa del Vaticano, qualcuno cominciava a dire che entro sera si sarebbe avuta la “fumata bianca”. Ipotesi e suggestioni portavano a questa convinzione.
E se più d’uno aveva azzardato l’Habemus Papam alla quarta votazione, che si sappia nessuno tra gli accreditati aveva previsto Prevost papa. Infatti, non appena dal balcone di San Pietro, il cardinale protodiacono ne ha pronunciato il nome, in sala stampa è calato un silenzio imbarazzato. Un attimo, il tempo di consultare alla velocità del web le biografie dei cardinali predisposte dall’efficientissimo servizio vaticano. Ma lo stupore era patrimonio comune.
Un papa americano? Il primo frate agostiniano della storia? D’accordo, anche Bergoglio era stato il primo papa tra i gesuiti, e il primo papa sudamericano, ma Leone (anche il nome aveva sorpreso) era originario degli Stati Uniti. E subito a chiedere ai vaticanisti anziani orientamenti e precedenti conosciuti del nuovo pontefice. Sarà mica trumpiano, si chiedeva più d’uno, rammentando che qualche giorno prima il Don-Ald della Casa Bianca aveva diffuso un’immagine di sé medesimo in abiti pontificali. “Sarà un papa di mediazione” suggerivano meditabondi i più saggi. Apertura alle istanze del mondo ma rigidità sulle regole e sulla tradizione. Che cosa si voleva dire?
Il saluto d’esordio: “La pace sia con voi” e il richiamo a Gesù Cristo avevano fornito una prima chiave di lettura: la pace passa da Gesù Cristo. Ulteriore richiamo alla pace nell’incontro (lunedì 12 maggio) con buona parte degli operatori dell’informazione che avevano seguito il funerale di papa Bergoglio e il conclave successivo. “Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra”. (Il testo integrale del discorso del Papa ai giornalisti è pubblicato in calce a queste note)
Tra i primi atti del nuovo pontefice romano si segnalano due incontri legati alla regione Trentino-Alto Adige. Il primo, nel pomeriggio di sabato 10 maggio, al santuario della madonna del Buon Consiglio, a Genazzano, 40 chilometri da Roma. Papa Leone si è inginocchiato davanti all’urna di vetro che conserva il corpo del beato Stefano Bellesini, il “maestro dela pòra zent”, un frate agostiniano (come il papa) nato a Trento il 25 novembre 1774 e morto appunto a Genazzano il 2 febbraio 1840. Fu proclamato “beato” nel 1904. Con un agostiniano sul soglio di Pietro taluni sperano che a 250 anni dalla nascita il “beato” trentino possa essere promosso “santo”. Il postulatore della causa, l’agostiniano Josep Sciberras ha dichiarato al settimanale diocesano “Vita Trentina” che per sua esperienza “più la gente conosce un beato, maggiori sono le possibilità di ottenere un miracolo per la sua intercessione”. Insomma Bellesini passerà di grado solo se qualcuno produrrà la prova di un “miracolo” (evento scientificamente inspiegabile) tale da avviare il lungo iter vaticano presso il dicastero delle “cause dei santi”.
Quanto al “peccatore” Sinner (cognome che in inglese significa per l’appunto “peccatore”) è stato ricevuto da papa Leone mercoledì, tra un’udienza e l’altra. Il numero uno mondiale del tennis (23 anni) davanti al numero 14 dei Leoni papali. Jannik Sinner (che è impegnato negli Internazionali di tennis a Roma) ha regalato al Papa, tennista provetto, una sua racchetta. C’è stato pure un divertente siparietto: “Vuole giocare?” ha chiesto Sinner al Papa. “Qui è meglio di no, lasciamo stare” ha risposto il pontefice guardando in alto verso i lampadari della sala. “Ma a Wimbledon mi lascerebbero giocare”, ha concluso. Riferito al fatto che nel quartiere di Londra, 10 chilometri dal centro, dal 1877, nei tornei di tennis i giocatori sono costretti a vestire esclusivamente di bianco.
Intanto è stato annunciato che il nuovo Papa si recherà a breve in Turchia, a Nicea, dove 1700 anni fa (24 maggio 325) il primo concilio ecumenico della storia, convocato dall’imperatore Costantino, proclamò (contro Ario) che Cristo era “consunstanziale”, identico a Dio (generato non creato).
“La pace comincia da ciascuno di noi”
Questo il testo del discorso tenuto lunedì 12 maggio, in sala Paolo VI (ex sala Nervi) da papa Leone XIV agli operatori dell’informazione.
“Fratelli e sorelle! Do il benvenuto a voi, rappresentanti dei media di tutto il mondo. Vi ringrazio per il lavoro che avete fatto e state facendo in questo tempo, che per la Chiesa è essenzialmente un tempo di Grazia. Nel “Discorso della montagna” Gesù ha proclamato: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Si tratta di una Beatitudine che ci sfida tutti e che vi riguarda da vicino, chiamando ciascuno all’impegno di portare avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso a tutti i costi, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della competizione, non separa mai la ricerca della verità dall’amore con cui umilmente dobbiamo cercarla. La pace comincia da ognuno di noi: dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli altri; e, in questo senso, il modo in cui comunichiamo è di fondamentale importanza: dobbiamo dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini, dobbiamo respingere il paradigma della guerra.
Permettetemi allora di ribadire oggi la solidarietà della Chiesa ai giornalisti incarcerati per aver cercato di raccontare la verità, e con queste parole anche chiedere la liberazione di questi giornalisti incarcerati. La Chiesa riconosce in questi testimoni – penso a coloro che raccontano la guerra anche a costo della vita – il coraggio di chi difende la dignità, la giustizia e il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere. La sofferenza di questi giornalisti imprigionati interpella la coscienza delle Nazioni e della comunità internazionale, richiamando tutti noi a custodire il bene prezioso della libertà di espressione e di stampa.
Grazie, cari amici, per il vostro servizio alla verità. Voi siete stati a Roma in queste settimane per raccontare la Chiesa, la sua varietà e, insieme, la sua unità. Avete accompagnato i riti della Settimana Santa; avete poi raccontato il dolore per la morte di Papa Francesco, avvenuta però nella luce della Pasqua. Quella stessa fede pasquale ci ha introdotti nello spirito del Conclave, che vi ha visti particolarmente impegnati in giornate faticose; e, anche in questa occasione, siete riusciti a narrare la bellezza dell’amore di Cristo che ci unisce tutti e ci fa essere un unico popolo, guidato dal Buon Pastore.
Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. Al contrario, essi chiedono a ciascuno, nei nostri diversi ruoli e servizi, di non cedere mai alla mediocrità. La Chiesa deve accettare la sfida del tempo e, allo stesso modo, non possono esistere una comunicazione e un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia. Come ci ricorda Sant’Agostino, che diceva: «Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi».
Grazie, dunque, di quanto avete fatto per uscire dagli stereotipi e dai luoghi comuni, attraverso i quali leggiamo spesso la vita cristiana e la stessa vita della Chiesa. Grazie, perché siete riusciti a cogliere l’essenziale di quel che siamo, e a trasmetterlo con ogni mezzo al mondo intero.
Oggi, una delle sfide più importanti è quella di promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla “torre di Babele” in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi. Perciò, il vostro servizio, con le parole che usate e lo stile che adottate, è importante. La comunicazione, infatti, non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto. E guardando all’evoluzione tecnologica, questa missione diventa ancora più necessaria. Penso, in particolare, all’intelligenza artificiale col suo potenziale immenso, che richiede, però, responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti, così che possano produrre benefici per l’umanità. E questa responsabilità riguarda tutti, in proporzione all’età e ai ruoli sociali.
Cari amici, impareremo con il tempo a conoscerci meglio. Abbiamo vissuto – possiamo dire insieme – giorni davvero speciali. Li abbiamo, li avete condivisi con ogni mezzo di comunicazione: la TV, la radio, il web, i social. Vorrei tanto che ognuno di noi potesse dire di essi che ci hanno svelato un pizzico del mistero della nostra umanità, e che ci hanno lasciato un desiderio di amore e di pace.
Per questo ripeto a voi oggi l’invito fatto da Papa Francesco nel suo ultimo messaggio per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio; purifichiamola dall’aggressività. Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce.
Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra. Una comunicazione disarmata e disarmante ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo coerente con la nostra dignità umana.
Voi siete in prima linea nel narrare i conflitti e le speranze di pace, le situazioni di ingiustizia e di povertà, e il lavoro silenzioso di tanti per un mondo migliore. Per questo vi chiedo di scegliere con consapevolezza e coraggio la strada di una comunicazione di pace. Grazie a tutti voi. Che Dio vi benedica!”
Papa Leone XIV