Visita periodica al capezzale della sanità trentina. Cominciando dai guai all’orizzonte per quei medici ospedalieri che (pur facendo pagare il ticket) osano visitare pazienti esterni senza che costoro siano passati attraverso il CUP, il centro unico di prenotazione, che risponde con lentezza esasperante e mette a dura prova i nervi di chi attende. E guai per quei medici che dovessero parlare con i giornalisti senza il permesso della direzione dell’Azienda sanitaria. Che non gradisce, al pari dei referenti politici che stanno nel palazzo delle aquile, alcuna critica. Poveri, bisogna capirli. Ma a casa nostra si chiama censura.
La sanità trentina (e non da oggi, in verità) è come “nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello” (Dante, Purgatorio, canto VI, vv. 76-78). Di questi tempi le uniche parole in libertà (vigilata) sono quelle dei trombettieri del Palazzo per i quali “va tutto ben madama la Marchesa”. È quanto assicurava quel servitore francese comunicando alla nobildonna che i suoi cavalli erano morti nell’incendio delle stalle e del palazzo, causato dal suicidio del marito. Dicono, lor signori: “Siamo stati votati”. Per governare non per comandare o far le comparsate a favore di telecamera e di taccuino compiacenti. Per far funzionare il servizio sanitario pubblico non per costringere i privilegiati (che se lo possono permettere) ad ingrassare quello privato. Per istruire l’appalto del nuovo ospedale di Trento a prova di ricorsi al TAR e non per dire che i magistrati amministrativi prima di pronunciare una sentenza dovrebbero confrontarsi con responsabili (pro tempore) di piazza Dante.
È di questi giorni l’annuncio (a insaputa dell’assessore alla sanità che lo aveva nominato da appena nove mesi) che il direttore generale del settore sta preparando le valigie ed è pronto a fare trasloco, dal 1° settembre, in quel di Perugia. “Motivi personali”, la giustificazione.
Il dirigente provinciale della sanità lascia il Purgatorio trentino diretto al Paradiso: “Intra Tupino e l’acqua che discende/ dal colle eletto del beato Ubaldo,/ fertile costa d’alto monte pende, / onde Perugia sente freddo e caldo…” (Dante, Paradiso, canto XI).
A Trento tira una brutta aria. Del resto che la sanità sia malata grave, che i medici e gli infermieri lavorino con insopportabile disagio personale è cronaca quotidiana. Stipendi congelati, turni (notturni) massacranti, sostituzioni con “gettonisti” ovvero con medici-pensionati che arrivano anche da lontano, offrono la loro prestazione e ricevono un più che onorevole “gettone”: un migliaio di euro al giorno, virgola più, virgola meno.
Non si dice dell’ospedale di Cavalese dove, pur di tenere in vita, contro ogni ragionevole disposizione nazionale, un reparto di ostetricia, si spendono e si spandono milioni di euro. C’è una sala di chirurgia sempre pronta alla bisogna, un pediatra in attesa, un rianimatore (o una rianimatrice) in fibrillazione, ma la traumatologia, che in zona turistica servirebbe più dell’ostetricia, è in perenne affanno. Non abbiate bisogno di una radiografia dopo le 16 perché dal pronto soccorso di Cavalese sono costretti a dirottarvi a Trento. È la sanità pubblica, bellezza.
Intanto il nuovo sistema di formulazione delle cartelle cliniche si è inceppato in più occasioni. Costringendo il Pronto soccorso a chiedere soccorso alla penna e al calamaio, con ciò dilatando i tempi d’attesa e mettendo a dura prova la pazienza di pazienti e sanitari.
Ancora: sul territorio, dove le “case di comunità” sono ancora nel mondo dei sogni dell’assessore alla Salute, migliaia di iscritti al Servizio Sanitario Nazionale sono alla ricerca faticosa di un nuovo medico di famiglia. Numerosi “condotti”, infatti, hanno rassegnato le dimissioni: o per raggiunti limiti di età o perché avevano le tasche (del camice) piene dei lacci e dei lacciuoli della burocrazia sanitaria. Se il servizio pubblico arranca, il privato gongola.
Nel merito, una nota di due esponenti del PD trentino: il capogruppo in consiglio provinciale, Alessio Manica, e il segretario del partito, Alessandro Dalrì: “Siamo sinceramente alla tragicommedia: l’assessore alla salute che dichiara alla stampa di non saper nulla del fatto che il suo braccio destro tra un mese e mezzo lo lascerà in “braghe di tela”. Cari cittadini e cittadine, il vertice amministrativo della sanità trentina, scelto dall’assessore e presentato come lo snodo per la riforma e rilancio della sanità trentina (dalle riforme annunciate alla questione liste d’attesa al nodo del personale) dopo neanche 10 mesi se ne va serenamente altrove. E i segnali c’erano già stati nelle settimane scorse quando trapelava la notizia che il dirigente stava partecipando a concorsi in altre regioni, aspetto curioso e contraddittorio per una figura che aveva assunto da meno di un anno un ruolo così importante e sfidante. Non si può che rimanere preoccupati non solo di fronte alle dichiarazioni dell’assessore e quindi l’ammissione di un rapporto fiduciario piuttosto fragile, ma anche di fronte al fatto che una carica di vertice possa permettersi di lasciare il proprio mandato con un mese e mezzo di preavviso meno di un collaboratore amministrativo. Con buona pace delle conseguenze sul sistema. Poi sorgono le domande; ad esempio se questa fuga è solo frutto del percorso di carriera personale o conseguenza dell’impossibilità di esprimere fino in fondo le scelte che si dovrebbero fare nella sanità trentina, con sullo sfondo uno scontro con i vertici dell’azienda che in più di una stanza in questi mesi veniva raccontato. Infine la constatazione che ad un anno e mezzo dall’inizio della legislatura tra fughe di vertici, di personale, bandi stoppati e assenze di scelte forti la sanità continua nella sua situazione di grande difficoltà. Difficoltà che i Trentini provano tutti i giorni nell’accesso ai servizi fondamentali.”
Il capogruppo consiliare provinciale Alessio Manica – Il segretario PD del Trentino Alessandro Dalrì