Mentre a Roma, domenica 18 maggio, il nuovo papa Leone XIV comincia a regnare sulla Chiesa cattolica (che annovera 1 miliardo e 400 milioni di battezzati), il mondo cristiano guarda alle celebrazioni per i 1700 dal concilio di Nicea. Fu convocato dall’imperatore Costantino, vi parteciparono i vescovi (da 220 a 318) dei territori dell’impero romano, per la maggior parte orientali. Dovevano dirimere una questione importante: Gesù Cristo era il figlio di Dio o anch’egli era Dio come il Padre? Dopo quel concilio che stabilì che Cristo era Dio (un Dio trinitario: Padre, figlio e Spirito Santo) per spiegare agli analfabeti una questione complessa quando arcana, ci fu un pittore (il maestro di Lisignago) che frescò sulla parete della cappella di San Leonardo un’immagine di Dio con tre teste, due braccia e due piedi. Ed è l’immagine a corredo di questo approfondimento storico di Renzo Fracalossi.
Spesso queste pagine liquide si sono occupate di molti – e fra loro diversi – anniversari, nella convinzione che fare memoria sia progredire sulla strada del futuro e arricchire il bagaglio esperienziale dei singoli come del collettivo. Questo, d’altronde, è il senso profondo della celebrazione delle ricorrenze, come quella che proveremo qui ad evocare per i nostri “venticinque lettori”.
Il 20 maggio dell’anno 325 d.C., cioè esattamente millesettecento anni or sono, si apre a Nicea, sulla riva occidentale del lago Izik in quell’Asia Minore che oggi è Turchia, il primo Concilio ecumenico della cristianità, passato appunto alla storia come Concilio di Nicea e del quale forse non tutti conoscono la storia.
Presieduto dall’imperatore romano Costantino I “il Grande”, che dopo aver emanato il “decreto di tolleranza” verso i cristiani ha fortemente voluto quest’evento anche come fattore politico idoneo a rinsaldare l’unità dell’impero, il Concilio di Nicea viene chiamato ad occuparsi soprattutto delle crescenti eresie cristiane, come quelle di Melezio ed, in particolar modo, quella propugnata dal presbitero bèrbero Ario (260 – 336 d.C.), che nega il dogma e la dottrina dell’ “homooùsion”, ovvero della consustanzialità del Padre e del Figlio.
L’arianesimo – che ben poco, se non nulla, ha a che vedere con l’arianità di radice veteroindica e men che meno con il suo raffazzonato surrogato caro all’ideologia nazista e fascista – è una dottrina di natura trinitaria e subordinazionista, elaborata e diffusa nel mondo cristiano appunto da Ario, che non nega la Trinità di Padre, Figlio e Spirito Santo, ma subordina il Figlio al Padre, negando che il primo abbia la stessa natura ed essenza del secondo. In altre parole, per Ario ed i suoi seguaci, Dio è un principio unico, indivisibile ed eterno e, come tale, è “ingenerato” ed esiste da sempre. Sulla scorta di tale postulato, il Padre non può condividere con altri – e quindi nemmeno con il Figlio – la propria essenza divina. Il Figlio pertanto viene “generato” dal Padre, chiarendo così di essere “finito” e non fatto della stessa natura del Padre, che è appunto “infinito”. Per l’eresia ariana Padre e Figlio sono entrambi esseri divini, ma fra loro distinti: il Figlio, pur essendo creature perfetta, è “inferiore” al Padre che lo ha generato ed al quale è subordinato.
Il nodo della questione cristologica è tutto racchiuso nella differenza fra l’essere “nato” e “creato” dal Padre da un lato e l’essere “generato” dal Padre, dall’altro. La controversia, all’epoca, si dilata al punto che Ario viene accusato di essere eretico e questa decisione semina ulteriori dubbi fra i credenti, dividendo i cristiani e dando vita ad uno scontro che rischia di trasferirsi, in breve, sul piano comunitario e politico, indebolendo la società e con essa l’impero.
E’ probabilmente quest’ultima ragione che induce, in realtà, Costantino alla convocazione del Concilio, che si apre, come ricordato, il 20 maggio 325 e tiene le sue sessioni nel palazzo imperiale e nella basilica di Nicea.
A quest’appuntamento straordinario, l’imperatore invita tutti i milleottocento vescovi della Chiesa cristiana di allora, anche se solo un sesto circa vi partecipa effettivamente e fra essi nomi famosi in quegli anni come Osio di Cordova, Nicola di Bari, Macario di Gerusalemme, Marco di Calabria, Nicasio di Die ed Alessandro di Alessandria, che è il primo a confutare le tesi di Ario.
In un clima turbolento e complesso, il confronto conciliare procede con molta fatica e, talora, degenera in uno scontro vero e proprio, come quando il vescovo Nicola di Bari schiaffeggia un suo interlocutore durante il dibattito di una delle varie sessioni.
Comunque – ed anche in virtù delle pressioni esercitate da Costantino – il Concilio produce un documento conclusivo, approvato quasi all’unanimità dei circa trecento vescovi presenti ai lavori, tranne due: Teona di Marmarica e Secondo di Tolemaide. Si giunge così ad una dichiarazione di fede, nota come “Credo niceno” o come “Simbolo niceno”, che è tutt’oggi elemento centrale, pur con i necessari aggiustamenti intervenuti nei secoli, della celebrazione cristiana. Con tale dichiarazione viene stabilito ed accettato il dogma della consustanzialità, prima richiamata ed, in tal modo, viene totalmente respinta l’eresia ariana. Parimenti e rispetto all’eresia gnostica che arriva a negare la crocefissione di Gesù ed a quella meleziana, il Concilio di Nicea ribadisce l’incarnazione, la morte e la resurrezione di Cristo, nonchè la nascita virginale del Figlio di Maria. Inoltre vengono stabilite regole per il battesimo degli eretici convertiti; sono riorganizzate le gerarchie interne alla Chiesa e si affronta il problema della datazione della Pasqua, stante il legame fra questa e la festività ebraica di Pesach – la Pasqua figli di Israele – che si colloca temporalmente a cavallo fra i riti della crocefissione e della resurrezione.
Il 25 luglio 325 d.C., il Concilio di Nicea, le cui sessioni si sono aperte il precedente 19 giugno, si conclude e l’imperatore tiene il discorso di chiusura dei lavori, sottolineando il dovere della Chiesa di vivere in pace ed armonia e disponendo che le decisioni conciliari siano trasmesse a tutti i vescovi cristiani, esortandoli ad accettarle e metterle in pratica, pena l’esilio perpetuo.
I principi religiosi e dottrinali sanciti a Nicea vengono imposti peraltro con estrema difficoltà in alcune Chiese regionali, come quelle di Siria, Cilicia e Mesopotamia, che oppongono una strenua resistenza culturale, anzitutto sui temi della proclamata indipendenza della festività cristiana della Pasqua da quella ebraica, che sovvertono la tradizione in vigore fino a quel momento. Deve perfino intervenire l’imperatore, per affermare come improprio qualsiasi rapporto dei cristiani con la celebrazione ebraica, cioè con un evento ascrivibile alla narrazione religiosa di coloro che si sono macchiati dell’enorme peccato del deicidio e del sangue innocente di Cristo.
Il Concilio di Nicea dispiega i suoi effetti molto significativi sulla storia intera del cristianesimo perché, per la prima volta, si raggiunge una potente concordia su temi dottrinali e sull’uso del potere dello Stato, anche per dar corso a disposizioni in materia religiosa. E’ il concetto di “cesaropapismo” che viene stabilito e che, progressivamente, si afferma in occidente come in oriente, cioè il coinvolgimento reciproco di Chiesa e Stato, ognuno a servizio dell’altro nel dirimere le questioni di potere più complicate ed ardue ed il cui dibattito prosegue fino ai giorni nostri. Certo, non tutti i problemi che hanno provocato la convocazione di questo Concilio vengono risolti. L’arianesimo infatti non smette di diffondersi, quasi al pari delle eresie meleziane e gnostiche, continuando ad alimentare invece le fratture intestine alla Chiesa, almeno per quasi tutto il IV secolo d.C. Comunque si tratta di un momento di passaggio e di consolidamento della fede cristiana di straordinario rilievo storico e religioso, ma anche politico ai fini di una ritrovata e rilanciata unità dell’impero.
Purtroppo non esistono copie degli atti conciliari. Le fonti storiche fanno riferimento soprattutto a due testi quasi, fra loro, coetanei: “Storia ecclesiastica” di Eusebio di Cesarea e “Storia del Primo Concilio di Nicea” di Galazio di Cizico. Oggi, a quasi duemila anni di distanza, guardiamo a quelle dispute con maggior distacco, pur consapevoli che esse costituiscono una parte irrinunciabile della costruzione del cristianesimo, nelle sue molteplici declinazioni e quindi anche del nostro presente.
©iltrentinonuovo.it