In 154 comuni del Trentino (3 non hanno presentato liste, pertanto saranno affidati dalla Provincia alle cure di un commissario straordinario), domenica 4 maggio si va alle urne per eleggere sindaco e consiglio comunale. In 84 dei 154 comuni gli elettori avranno a disposizione una sola lista; negli altri 50 ce ne sono almeno due tra cui scegliere. Nel tentativo di arginare la crescente disaffezione e la diserzione delle urne da parte degli elettori, lo scorso anno la Provincia ha abbassato il “quorum”, dal 50 al 40%. Così, hanno pensato in piazza Dante, il sindaco si farà di sicuro. È come se, invece di rabboccare l’olio dell’automobile, il meccanico nascondesse con un cerotto la spia luminosa che segnala l’anomalia. Sulla medesima lunghezza d’onda anche la campagna elettorale. Nelle città sono arrivati i cosiddetti leader nazionali, slogan e una nauseante teoria di “faremo”, “bisogna”. Botte da orbi e pacche sulle spalle.
Molti candidati non sono stati da meno. Tanti a promettere tutto, a dire quanto si sentono sacrificati a chiedere uno scranno in comune “per il bene comune”. A Trento, non dimentico della sua passata attività di portalettere, un candidato è andato in giro per la città a “consegnare” indicazioni agli elettori. Lo ha fatto con una bicicletta e lo slogan in rima baciata: “Tomasi te me piasi”. Ci fu un tempo, nell’altro secolo, che Egidio Demarchi, imprenditore e commerciante, soprannominato “Catòla”, invitava gli elettori a dargli il voto con lo slogan: “En tempi de mòla, vota el Catòla”.
Anche le Casse Rurali, cioè le banche che si richiamano al “credito cooperativo”, cioè alla cooperazione, chiamano a raccolta, in queste settimane, migliaia di soci per far loro approvare i bilanci. Pingui, anzichenò. Gli amministratori “bravi” che aspirano alla rielezione, attirano i soci (come fa l’uccellatore col becchime) con un buono per poter ritirare, a fine assemblea, un pezzo di formaggio e una bottiglia di olio. Dieta mediterranea.
In verità la dieta è sul conto corrente dei soci e non da oggi. Bilanci floridi di milioni di euro (segno di buona amministrazione, come no?) per le banche CC (di credito cooperativo); prebende conseguenti per gli amministratori. Che non vanno messe in discussione, come la loro reiterata riconferma ai vertici, del resto.
Ha ragioni da vendere, Michele Andreaus (1966), professore ordinario di economia Aziendale presso l’Università di Trento, il quale ha scritto sul “Corriere del Trentino” (30 aprile): “Recentemente, con un entusiastico comunicato stampa, la Cassa Rurale Alta Valsugana ha annunciato che i soci hanno approvato in modo plebiscitario la modifica dello Statuto che toglie all’assemblea dei soci l’elezione del presidente, la cui nomina (non elezione) viene ora spostata in seno al consiglio di amministrazione. Ciò che il comunicato stampa non dice è che i soci sono stati indotti a partecipare all’assemblea con un buono per il ritiro di un pezzo di formaggio grana Trentino da 850 g e una bottiglia di olio d’oliva (0,75 l.).”
Michele Andreaus commenta: “Se effettivamente il socio rinuncia a una sua fondamentale prerogativa per pochi euro, potrebbe anche essere giusto che la perda”. E si domanda: “Come siamo arrivati qui?” La risposta sta nella “distruzione del capitale sociale che ha caratterizzato il Trentino in questi ultimi decenni. […] Il Trentino è cresciuto grazie alla declinazione in varie forme del capitale sociale e la cooperazione, tutta, ebbe in questo un grande merito. Ma questo merito si trasforma oggi in precisa responsabilità, in quanto la partecipazione del socio viene sempre più scoraggiata, lo si offende chiedendo il suo voto in cambio di un panino o poco più”. Ancora: “Basta con l’ipocrisia della centralità del socio. […] Si trasformino le Casse Rurali una volta per tutte in S.p.a.”
Così, almeno, pagheranno le tasse sugli utili al 100% senza le agevolazioni. E senza quelle elargizioni da ricchi Epuloni tanto strombazzate: “Abbiamo dato milioni allo sport”; “Abbiamo dato milioni alla sanità”. Questo a casa nostra si chiama clientelismo. Se si pagano le tasse sugli utili come tutte la Spa, quel denaro finirà nelle casse della Provincia che ha gli strumenti per decidere a chi e come distribuire le risorse. Almeno lì c’è (ci dovrebbe essere) un’opposizione per controllare come viene speso il pubblico denaro. Perché oggi il socio, come un sorcio, che controllo può fare? È solo preso per il formaggio.