Les jeux (ne) sont (pas) faits. Parafrasando l’invito del croupier al tavolo verde, “I giochi non sono fatti, (ma) nulla va più”. “Rien ne va plus”. Così, il croupier del casinò “Südtirol-Alto Adige” dovrà pronunciare la chiusura dei tentativi di formare una nuova giunta provinciale. Dalle urne di autunno, infatti, è uscita l’impossibilità di un governo coeso. In assenza di un colpo d’ala, difficile da ipotizzare, non resterà che il ritorno alle urne.
Tre mesi fa da palazzo Widmann, a Bolzano, era partito l’invito ai partiti a fare il loro gioco. Adesso, mentre la roulette continua a girare, si prospetta il fine gara. Les jeux sont fait. In qualche riunione si puntava sul nero e sul rosso sperando solo che non uscisse lo zero. Avrebbe assicurato la parità ma non sarebbe stata una vincita degna dell’autonomia provinciale. Pertanto, avanti piano con le ipotesi di una giunta a sei, a otto, a dodici. Una giunta bilingue, poi con tre; con una destra soffice, con una sinistra in grado di sopportare e supportare la destra; una destra che dichiarava di essere un po’ di sinistra; con i civici che assicuravano di essere anche civili; con tedeschi di destra che non sono nazisti; con sudtirolesi fedeli da sempre al partito e altri che se n’erano andati perché ritenuti sgraditi.
Eppure il presidente designato dal partito di maggioranza molto relativa e dalle urne, aveva e ha un nome, una propria storia, una credibilità che si è forgiata negli anni, una famiglia e invidiabili pazienza e dignità. Lo stesso aveva indicato subito i limiti oltre i quali il gioco sarebbe diventato pericoloso, persino insostenibile. Senza fare fuoco e fiamme avrebbe imbarcato pure i nostalgici della fiamma che stanno all’autonomia come il gatto con il topo. Dicono avesse fatto scorta di gastroprotettori.
Si ricordano uomini politici altoatesini che sino all’altro ieri andavano a Roma per rivendicare di tutto e di più; per ricordare che il Tirolo del sud, pur se annesso geograficamente all’Italia dopo la conquista e l’occupazione militare del 1918-1919 era sotto protezione austriaca, simbolo democratico “de-tritolizzato” europeo. Per ribadire a Roma (mai chiamata “ladrona” a differenza di chi oggi siede nel governo della Repubblica) che la convivenza e la prosperità economica e culturale erano e sono possibili ma onorando e rispettando le battaglie e le aspirazioni.
Il motto coniato a Bolzano fu sempre “los”: “Via” da Roma, “via” da Trento. Vale a dire via da chiunque avesse provato a indicare chi e come governare questa terra; quale lingua parlare; quali pietanze portare in tavola, come vestirsi e come agghindare la banda per le feste paesane. È sempre stato così e per ciò che si ricorda questo è sempre stato il miraggio e il traguardo perseguito da un popolo unito e compatto, forte dentro un solo partito (di raccolta, si diceva), con un solo giornale, devoto ai propri leader. E questo accadeva nelle valli e nelle città, nei comuni e in Provincia, al parlamento di Roma o di Bruxelles.
Inossidabili, puri e duri, orgogliosamente antifascisti, più viennesi che romani. Ospitali sempre. Al punto che i presidenti della Repubblica e le alte cariche dello Stato si sentivano quasi in obbligo di passare le vacanze estive o invernali nel Sudtirolo trilingue per rendere omaggio alla cultura, alla convivenza responsabile fra i gruppi linguistici che sapevano fare da soli e facevano bene.
Le cronache altoatesine, i dubbi di Arno Kompatscher, le dichiarazioni di taluni parlamentari europei che non parlano se al tavolo si trovano con i propugnatori di certe idee, dicono che siamo passati dal “los von Salorno” al dentro tutti purché Roma benedica.
Chi ha presente la storia dell’Alto Adige-Südtirol aspetta solo che sulla roulette per la giunta esca lo zero, si dichiarino chiusi i giochi e, come nel film Wargames (1983), si prenda atto che “l’unica mossa vincente è non giocare”. Insomma, si prenda atto che il gioco è finito e si deve far ritorno alle urne. Gli avvoltoi cominciano a planare nella terra che fu esempio di saggia e orgogliosa autonomia. Da Roma e non soltanto.