Si rivedono “gli angeli del fango”. Avevano fatto la loro prima comparsa nei lividi giorni di novembre del 1966 a Firenze, Venezia e pure a Trento. Spalavano in silenzio e dentro cresceva un senso di responsabilità che in pochi giorni li aveva fatti diventare adulti. Nei giorni scorsi, un ragazzo di Vicenza, Marco Santacatterina, che portava pizze a domicilio, manifestata al “padrone” la sua disponibilità a partire per l’Emilia alluvionata, è stato licenziato su due piedi. Con parolacce e insulti a seguire. Quelli che portano pizze li chiamano “rider” (ciclisti), ma qui non c’è niente da ridere. C’è solo da vergognarsi. Per fortuna, non tutto è fango come racconta Renzo Fracalossi.
Suddiviso in ventiquattro capitoli, si snoda il Vangelo di Luca. Scritto probabilmente in un periodo compreso fra l’80 ed il 90 d.C. da un “siro” di Antiochia che si chiama Luca e che esercita la professione di medico, quel Vangelo testimonia una attenzione costante ai diseredati, alle donne e alle minoranze oppresse.
Suddiviso in ventiquattro ore, si snoda un altro “Vangelo”. Scritto indubbiamente in questi giorni di tragedia da un ventunenne di Gardolo che si chiama Luca e che studia ingegneria biomedica a Cesena. Anche quel “Vangelo” testimonia una attenzione al prossimo, ai diseredati ed a chi non ha più nulla.
Ognuno scrive il proprio “Vangelo” come può, ma quello del giovane Luca rappresenta una parola concreta di quella speranza che avvertiamo invece sempre più flebile, in un tempo egoista, individualista e misero di solidarietà.
Luca di Antiochia narra la vita del Figlio dell’Uomo, mentre Luca di Gardolo parla con la sobrietà di chi compie lo straordinario ritenendolo normale e dice: “Non potevo stare a casa senza fare nulla.” E così, Luca di Gardolo, imbraccia la pala e, con altri suoi coetanei che avvertono di “non poter stare a casa a fare nulla”, scende nel fango e spala, in terra (ed acqua) di Romagna, il dolore, lo smarrimento e la fatica di ricominciare.
Luca, braccia trentine e “sangue romagnolo”, sembra uscito da una pagina di “Cuore”. Sembrano talmente grandi la sua semplicità e l’ovvietà del suo agire che quasi pare eccezionale, al pari della pigrizia di tanti altri suoi coetanei che decidono invece di “stare a casa a non fare nulla”. Luca scrive così un “Vangelo” che noi tutti dovremmo leggere ogni giorno, non foss’altro per ricordarci che un attimo è sufficiente a sconvolgere le nostre esistenze e a cancellare le nostre orgogliose certezze.
C’è un gruppo di ragazzi, in questo strano Paese, che non chiede e non si arrende. Un gruppo di ragazzi che parte da ogni geografia, perché è incapace di rimanere con le mani in tasca davanti allo “sprizzone” serale. Un gruppo di ragazzi che rappresenta la parte migliore – e sempre più ridotta – di una società stanca, rassegnata ed impaurita. Un gruppo di ragazzi che è antidoto a tutto questo abbandono egoistico della dimensione evangelica del noi, per scegliere invece quella “pagana” dell’io ed è quel gruppo di ragazzi, come Luca di Gardolo, che scrive un “Vangelo” quotidiano, cercando parole disperse e memorie appannate.
Qualche giorno fa, la trasmissione televisiva di Massimo Gramellini – “Le Parole”, che è una delle rare cose guardabili in una televisione occupata soprattutto ad incensare il potere di turno – ha messo a confronto una di questi ragazzi “evangelici” ed una signora, ormai piuttosto avanti negli anni, che era stata, durante la terribile alluvione di Firenze del 1966, una degli “angeli del fango”, come furono appellati quei giovani che, armati della stessa pala di Luca e dei suoi colleghi, provarono a salvare la cultura e, con essa, l’anima di questo “stivale”. L’ assoluta identità di motivazioni, di impegno e di valori fra questi due “generosi naturali”, intatta nell’ arco di quasi mezzo secolo, credo abbia colpito qualunque spettatore. Spero lo abbia aiutato a riflettere, anche oltre il tempo televisivo.
Davanti al disastro romagnolo – così come ai tanti drammi italici dell’incuria, del profitto, del pressapochismo, dell’incompetenza – per fortuna ci sono ancora scrittori di “Vangeli”. Basterebbe forse solo leggerli, anche quando le luci massmediatiche si spengono. Basterebbe solo che i cantori del “prima noi” sfogliassero quei capitoli di sudore e di cuore, gettato oltre il divano di casa, per interrogarsi sul domani. Basterebbe solo dire grazie a Luca d’ Antiochia, a Luca di Gardolo e a tutti coloro che non rinunciano ad essere uomini, ricordando alla nostra distrazione ed alla nostra indifferenza, cos’è una persona e cosa può fare, quando non rinuncia ad essere parte di una comunità.
Dimenticavo: Luca di Gardolo si chiama Bordoni. Lo rammentino i genitori, i formatori e gli insegnanti delle scuole, quando si cimentano nella costruzione dei possibili “evangelizzatori” del futuro. Grazie Luca.