Ha atteso l’anno del centenario con figli e nipoti, ha festeggiato ed è andato a letto alle 3. Alle 8 di Capodanno era già in piedi, fresco come una rosa. Gios Bernardi, medico e radiologo, ha superato il secolo con leggerezza e con il sorriso che gli è proprio. A mezzogiorno, in casa di amici, ha ricevuto gli auguri del sindaco di Trento, Ianeselli, accompagnati da una torta del centenario; e pure una pergamena dall’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi. Poi, per tutta la giornata del 1° gennaio, è stato un susseguirsi di auguri.
Gios Bernardi scavalca il secolo di vita mentre la cronaca di capodanno si incarica di certificare “l’inverno demografico” che pare aver colpito in maniera irreversibile la già fertile terra trentina. Nel 2021 in provincia di Trento i nati sono stati 3.848, cento meno del 2020. Dieci anni fa i nati in Trentino furono 5.295. Il crollo è impressionante. Se poi si guarda al nido delle cicogne, in quel di Cavalese, dove il reparto ospedaliero del “parto per Fiemme” è stato tenuto aperto (contro ogni logica e con un ingente dispendio di risorse), i nati nel 2021 sono stati appena 132, uno ogni tre giorni. A Cles sono registrati 242 fiocchi azzurri e rosa, all’ospedale di Rovereto 1.151; al Santa Chiara di Trento 2.323. Tutti questi neonati hanno aspettative di vita che superano il secolo. Ed è quanto si augura loro, naturalmente.
Intanto vediamo come è arrivato al traguardo del secolo il celebre quanto vispo centenario, decano della medicina trentina. Gios Bernardi è nato il 1° gennaio 1923 in una grande famiglia: mezza cattolica, mezza socialista, “ma soprattutto irredentista”.
Il bisnonno, Eugenio Bernardi, fabbro, falegname e scultore, nella seconda metà dell’Ottocento aprì una “libreria ecclesiastica” in via Verdi, dirimpetto alla Filarmonica. Era chiamata anche il “Caffè dei preti” poiché si vendevano stampe di chiara impronta cattolica e pure ceri per gli altari della vicina cattedrale. Uomo pio e molto religioso, Eugenio Bernardi morì di polmonite a 69 anni nel 1886. Il figlio, Eugenio Pietro, nato nel 1851, rinnovò la libreria e restò devotissimo a “santa romana Chiesa”. Elisa, una delle due sorelle, s’era fatta monaca tra le suore di Maria Bambina prendendo il nome di Eugenia. Eugenio Pietro, organista nella chiesa di S. Maria Maggiore, insegnante di musica ai bambini, il “sior Pierin” com’era chiamato, sposò (1881) Maria Zanolini, sorella di mons. Vigilio Zanolini, ed ebbe nove figli. Uno di questi, fratello del papà di Gios Bernardi, fu don Eugenio (1888-1957) del quale è avviata da anni la causa di beatificazione. Un altro fratello, Gaetano (1884-1975), professore di fisica nei licei, fu un romanziere e scrittore prolifico. Pubblicò oltre cento romanzi di chiara impronta cattolica. Suo figlio, Marcello (1922-2001), divenuto pediatra di fama internazionale, docente di puericultura all’università di Pavia, scrisse numerose opere di carattere scientifico-divulgativo: “Il nuovo bambino”, “Gli imperfetti genitori”, “L’avventura di crescere”, ecc.
Insomma una famiglia di cultura, con varie diramazioni clericali. A volte, le eccessive volute d’incenso portano alla nausea e alla fuga verso altri lidi. Guido e Adriano, due avvocati, fratelli del “venerabile” don Eugenio, finirono parlamentari nelle file del PSIUP, il partito socialista di unità proletaria. I più mangiapreti che, al tempo, c’erano sul mercato politico.
Invece, Carlo (1892-1981), il papà di Gios Bernardi, fu un uomo molto religioso e molto pio. Professore di storia dell’arte e di disegno, pittore di buon pennello, non fu mai sodale col fascismo tanto che, per punizione, fu trasferito a Cagliari.
Gios Bernardi, frequentato il liceo all’Arcivescovile, avrebbe voluto diventare avvocato come gli zii, ma il papà insistette perché abbracciasse gli studi di medicina. Probabilmente riteneva che gli sarebbe stato più utile un figlio medico di un avvocato. Erano gli anni della guerra. Gios Bernardi si iscrisse a Milano, ma frequentò poco. Andava a sostenere gli esami e per spostarsi da Trento approfittava dei camion che rifornivano il mercato ortofrutticolo meneghino.
“Si viaggiava avvolti in una coperta, sul cassone sopra le mele. E quando potevo tornare a casa andavo al mercato per cercare un passaggio inverso”. Laureatosi nel 1947 era approdato, apprendista chirurgo, nella clinica privata del dott. Tommaso Merler, a Villa Igea, a Trento. “Lui era un ottimo chirurgo; la parte amministrativa era tenuta dalla moglie e la cognata era addetta al guardaroba. Pochi posti letto: solo una quarantina”.
Il dr. Merler teneva anche all’ordine e alla pulizia. “Talora, quando usciva dalla stanza di un paziente, dopo il “giro” di visite, sussurrava all’infermiera Caterina: guarda che c’è una macchia sulla parete, in basso, sotto la finestra. La Cate faceva intervenire immediatamente il papà del Carlo e del Bepi Šebesta che era il factotum della casa di cura”.
In quella casa di cura poi divenuta il “Centro traumatologico-ortopedico di Villa Igea”, oltre al proprietario dr. Merler c’erano soltanto altri due medici: il dr. Bernardi e il dr. Mario Marchesoni, ginecologo. Un impegno professionale intenso, senza orari e sempre reperibile. Racconta: “Allora non c’erano i cellulari. Se andavo al cinema dovevo lasciar detto in casa di cura dove andavo e avvertire la cassiera del locale che mi sedevo nel tal posto”.
Il dr. Bernardi seppe di avere una buona mano soltanto quando, lasciata chirurgia, fu sollecitato a specializzarsi in radiologia dal bresciano dr. Angelo Facchinelli che lavorava con lui a Villa Igea. L’austero dr. Merler si lasciò scappare, ma soltanto dopo che se n’era andato, che quel Bernardi sarebbe stato un eccellente chirurgo.
Passato alle dipendenze dell’ospedale Santa Chiara, assistente di radiologia, si trovò a operare gomito a gomito con il prof. Alessio Pezcoller il quale, nonostante la fama di uomo scorbutico e arcigno (basta vederne il busto nel famedio cittadino), lo prese a ben volere. Ricambiato al punto che, quando fu istituito il premio Pezcoller (1986), il “Nobel” trentino dell’oncologia, il dr. Bernardi accettò di entrare nel consiglio di amministrazione. Vi è rimasto trent’anni, curando la parte scientifica. Ha fatto il presidente per dieci anni indirizzando il premio verso la ricerca oncologica molecolare.
Per diversi anni ha lavorato come responsabile della radiologia della “Cassa Malati”. Tra i molti incarichi di una lunga vita di impegno professionale, Gios Bernardi è stato presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Trento. In quella veste ha organizzato, la prima volta in Italia, un incontro fra medici e omeopati. Si tenne a Levico Terme e da lì è scaturito il suo interesse per l’omeopatia, la quale, sottolinea “già allora si interessava, più della medicina ufficiale, del rapporto empatico medico-paziente”.
Sposato con Franca Rigoni (scomparsa a 91 anni il 23 dicembre 2020), ha tre figli: Anna, grafico (1951), Marco, regista (1955), Paola, editor (1962). “A me sarebbe piaciuto disegnare. Ma mio papà, ogni volta che mi vedeva con la matita in mano, mi diceva: butta via quella roba che con l’arte non si mangia”. Già i latini dicevano che “carmina non dant panem”. Gli avevano regalato una vecchia macchina fotografica e il nostro si è appassionato alla fotografia. “Ho sempre rincorso la foto di strada con grande passione”. Assieme al poeta levicense don Mario Bebber (1922-1975), con il quale ha avuto un rapporto di amicizia ma anche dialetticamente piuttosto vivace, ha poi dato alle stampe un libro fotografico dal titolo “Gente che va” (1967).
Rimpianti? “Ho avuto una vita intensa e interessante. Nessun rimpianto, anche perché per carattere non sono mai stato portato al passato. Guardo al presente”.Diceva a chi scrive tre anni fa: “Noi del nord opulento del pianeta Terra dovremo ripensare al nostro vivere, così sopra le righe, così fuori dal mondo. In fondo, un virus invisibile ci ha messi in ginocchio in un baleno. E credevamo di essere diventati invincibili”.