A poco più di un anno dalle elezioni provinciali che dovranno rinnovare l’assemblea di piazza Dante a Trento, balza in primo piano il tema dell’autonomia, con tutte le sue declinazioni e le ricadute sulle comunità del Trentino. Il tema è l’argomento della riflessione di Walter Pruner (1961), figlio di Enrico (1922-1989), tra i fondatori del Partito Autonomista Trentino Tirolese, filiazione dell’ASAR (L’associazione studi autonomistici regionali) che si formò nel primo dopoguerra. Con questo primo pezzo, Walter Pruner comincia la sua gradita collaborazione con iltrentinonuovo.it
Alimentazione e nutrimento: in troppi considerano i termini sinonimi. Impropriamente, perché molto semplicemente con la prima, l’alimentazione, si intende l’azione generica del dare comunque da mangiare, funzione sul breve indispensabile a sfamare; con la seconda, il nutrimento, si forniscono nello specifico all’ organismo vivente le sostanze nutritive, gli anticorpi indispensabili alla qualità della vita, allo sviluppo e al mantenimento delle sue funzioni con attenzione all’equilibrio generale del corpo in tutte le sue complesse declinazioni.
È quanto accade in politica: la si può alimentare di materiale commestibile, scadente o anche scaduto, attraverso prodotti semilavorati, artificiali, esteticamente commercializzabili ma di scarso valore piuttosto che dannosi; oppure la si può nutrire di materiale atto a permettere al cittadino una vita di qualità, lunga e duratura, assicurando benessere fisico e mentale.
Rispondere oggi alla domanda se anche la nostra Autonomia si stia alimentando o nutrendo comporta una risposta scontata. Alcuni assi portanti dell’Autonomia regionale attuale risentono indubbiamente del passaggio degli anni, dell’inevitabile declino e del necessario riaggiornamento imposto dal clima nazionale ed internazionale, noto in parte col nome di globalizzazione. Probabilmente anche la stessa globalizzazione è oggi concetto superato dal recupero identitario con frequenti derive nazionaliste, ma questo è già un capitolo che richiederebbe un approfondimento a parte.
Resta dunque da capire se e perché la ritrovata modernità del “brand” autonomista non appaia un controsenso rispetto a quanto la nostra Autonomia oggi mostri, porgendo di sè il suo lato ingessato e pavido di fronte alle sfide che le si propongono.
Non esiste un monopolio autonomista. È mai esistito e mai esisterà perché il patrimonio, il pensiero autonomista, appartengono alla nostra Terra per cultura e storia che hanno innervato quest’ultima in secoli carichi di esperienze fondamentali. Il senso di appartenenza ad un territorio attraverso solo alcuni esempi, la partecipazione diretta alla sua gestione, le Asuc, il volontariato, la cooperazione, declinatesi in interessanti ed invidiate realtà quali i Vigili del Fuoco, la Protezione civile, le Bande sociali, sono patrimoni di tutti. Così come lo è l’Università, la qualità della nostra ricchezza idrica, che non è infinita, ricordiamocelo.
Questo Trentino, dalle tante, splendide realtà, questo Trentino segnato dalle rughe della fatica che come disse Anna Magnani, “lasciatemele perché ho impiegato tanto a farmele crescere”, queste eredità fondamentali rappresentano oggi, trattasi di evidenza e non di giudizio, una sorta, anziché di risorsa, di sofferenza bancaria dell’Autonomia. Quasi che queste ricchezze in attesa di rivisitazioni e a volte di semplici cosmesi, rappresentino un debito per la banca dell’Autonomia anziché un fondo fruttifero. Emblematico il caso della nostra, “guettiana” Cooperazione, i cui melodici gorgheggi che tanto hanno sostenuto le dignitose e familiari esigenze delle nostre comunità diffondono ormai da tempo le litanie di mercati nazionali ed internazionali avulsi dalla nostra realtà.
L’ Autonomia autoenergivora in cui oggi il Trentino è costretto è fatto ineluttabile o processo invertibile, almeno momentaneamente arrestabile? C’è contezza di tutto ciò e molto, molto altro, che riguarda un’Autonomia da riscrivere e programmare?
La risposta sta nel piatto forte di questi mesi: deroghe di mandato, perimetri di gioco, equilibrismi verbali, insolvenze politiche, geometrie variabili, alleanze bilanciate, insomma formule di distanziamento sociale tra partiti e popolazione, partiti che sembra in tanti casi si impegnino a fondo per marcare una distanza siderale con il mondo reale, a partire dal linguaggio, dai contenuti, dalle modalità, dai tempi, dalla gerontocrazia del suo apparato.
Non ci siamo fatti mancare nemmeno un ottimo critico d’arte, cooptato da un Presidente di Partito alla Segreteria del suo stesso Partito, quale autoproclamato mediatore, a facilitare, lui incendiario televisivo, un trino accordo politico dai pregiati trini destini, ad ognuno il proprio. Un accordo politico che, in violazione di ogni benché minima decenza democratico istituzionale, vede nel “dittatore della libera Repubblica del Mart” il nuovo maître à penser dell’autonomismo nostrano.
Lo stesso richiamo politico del vescovo Tisi nella giornata patronale di San Vigilio ha richiamato ad una Politica alta che sappia superare l’ambizione del singolo, pur capibile, a favore del bene comune programmato e messo in una rete a lungo raggio.
Se non esiste un monopolio autonomista, non può essere sottaciuto il fatto storico, oggettivo, che un Partito prima di altri ha fatto dell’Autonomia un vessillo, un’icona.
Le Due Stelle Alpine possono certamente vantare di avere mantenuto dopo l’Asar alta la fiamma dell’Autonomia in tempi difficilissimi, ostili, di povertà di mezzi e diciamo anche di condanna generale. Condanna che le vide osteggiate anche sul fronte del rapporto con una parte del mondo cattolico partitizzato, ree di frammettersi agli interessi bottegai di una parte della D.C. locale dai connotati fortemente centralisti. Nessun cammino ideale corre sulle autostrade, quindi non meravigliamoci di quanto accaduto ma ricordarlo non credo stoni per capire meglio contesto ed evoluzione del movimento autonomista in Trentino.
Il desiderio che sostenne quella fase dell’Autonomismo pionieristico, rivendicativo e di opposizione, linfa morale della vittoria elettorale del 1993 che lanciò definitivamente gli Autonomisti nell’alveo di governo che fine ha fatto? Ha ancora un senso? Può vincere il confronto con l’Autonomismo 3.0 o appartiene ad un passato di eccessivo rigore valoriale incapace di reggere il voltaggio della friggitrice politica odierna?
Si tratta di capire se costituisce ancora desiderio autonomista il radicamento territoriale, il rapporto collaborativo con la periferia più disagiata, la difesa del territorio ante litteram, l’ambientalismo fatto di rispetto del territorio ma non della sua ingessatura.
E’ ancora desiderio il pensiero sociale inclusivo che partendo dall’esperienza della nostra emigrazione fece del rapporto col diverso per etnia e capitale personale un elemento di rispetto ed arricchimento contro populismi di maniera?
Sono ancora desiderio le diverse centralità, da quella della piccola impresa artigianale, alle opzioni politiche dimensionate col territorio, al cuore oltre l’ostacolo in virtù della non negoziabilità dell’ideale, la incommerciabilità dei Collegi senatoriali, la indisponibilità delle proprie fortune politiche gestite dalla struttura terza del Partito?
Parlo di desiderio perché i principi ed i valori preordinano in politica l’atto. Senza una precondizione valoriale l’atto politico non è tale ma diventa un atto tecnico privo di prospettiva e limitato nel tempo.
Quanto il desiderio autonomista, sia disposto oggi a rappresentare stella cometa valoriale, capace di mettere in conto anche il pagamento di un dazio elettorale importante, è il tema di fondo. Il tema sul quale aprire e consentire veramente a chi vi si riconosce sogni e scommesse che meritano di essere vissuti e giocate.Il bagatellismo elettorale, il traccheggiamento tattico, il marciapiedismo politico allontanano la popolazione e non solo la stufano, ma creano le condizioni di un conflitto sociale imprevedibile, i cui prodromi già si sono percepiti in questi difficili anni di convivenza, nei quali l’odio sociale, l’egoismo, la insofferenza, la intolleranza, il rifiuto della critica costruttiva, fattori che la nostra terra mai ha conosciuto in queste proporzioni, hanno mostrato e mostrano le prime crepe.