Domenica 24 aprile i cristiani ortodossi celebrano la Pasqua e mentre in Ucraina infuria la guerra (che è anche, paradossalmente “di religione”, come molte altre guerre del passato) si rinnovano dai vertici della cristianità romana gli appelli alla pace. E il Patriarca degli ortodossi di tutte le Russie, Kirill, a “benedire” come giusta l’invasione e la guerra portata sul suolo dell’Ucraina dalle bombe di Putin. Attorno a questo tema ragiona e cerca di far ragionare chi legge Renzo Fracalossi.
L’appello di Alberto Folgheraiter ad abbandonare l’uso degli auguri pasquali preconfezionati, ritornando a gesti più consoni con il dialogo fra gli individui, suggerisce anche altri approfondimenti, nella consapevolezza che, fra scoppi di bombe e di morte ed appelli alla pace, è trascorsa anche questa Pasqua. Si tratta della ricorrenza religiosa sulla quale fa perno sia il cristianesimo, che in essa celebra il trionfo della vita eterna sulla morte materiale, sia l’ebraismo che, nel ricordo del “passare oltre” dell’angelo del Signore, nonché della liberazione dalla cattività egiziana e dell’esodo verso Sion, rafforza il senso profondo della propria identità.
Nella declinazione ortodossa delle fede cristiana poi, la Pasqua assume una centralità forsanche più intensa – se possibile – di quella della tradizione romana ed occidentale, anche per il tramite di elaborati riti ed antiche tradizioni. Dopo il raccoglimento e la meditazione della Settimana Santa, ovunque nel mondo la Pasqua dovrebbe aprire soprattutto gli sguardi alla speranza e quest’invito è simboleggiato in molte modalità, ivi compresa quella moscovita ed ortodossa, rappresentata da una imponente processione con i ceri che illuminano la notte.
Non ho certezze granitiche e sono tormentato dal dubbio, ma ho l’impressione che quei ceri abbiano assunto adesso la tragica forma di un missile; che l’augurio pasquale si stia trasformando in una frattura, anziché in una comunione e che l’evidente contiguità della predicazione del Patriarcato russo con le tesi a supporto dell’aggressione bellica sia destinata a spegnere la speranza, anziché alimentarla, in nome di un dio della guerra e dell’intolleranza che non è e non può essere il Dio della Pasqua.
Nelle scorse settimane, il Patriarca Kirill, in un suo sermone, ha affermato che: “il conflitto in atto è una lotta del bene che si batte contro la promozione dei modelli di vita peccaminosi e contrari alla vera fede, portanti avanti dall’Occidente.”
Ma di quale “vera fede” parla il Patriarca? Forse di quella che si fonda sull’appropriazione esclusiva di Dio, riassunta, ancora una volta nel tragico motto del “Gott mit uns”? Ma in quella “vera fede” del Patriarca, dov’è il Dio della misericordia, della fratellanza, della carità e dell’umanità? È forse accanto ai soldati russi che sparano, violentano ed ammazzano? E se così fosse, che razza di Dio sarebbe quello del Patriarca Kirill che pare occupato nell’igiene del mondo? Sarebbe il Dio di Abramo o quello di Thor? Ma davvero abbiamo celebrato una Pasqua segnata da queste parole?
“In nome di Dio fermatevi!” Questa è la Pasqua che sentiamo nostra. Una Pasqua di esodo dalla schiavitù e dalla violenza verso la Terra Promessa; una Pasqua di pace, di dialogo e di tolleranza; una Pasqua non seppellita nella ritualità delle tradizioni, ma capace di indicare speranze nuove, che debbono principiare con l’interrompere subito l’uccisione dei figli di Dio. Davanti ai cadaveri ammazzati con un colpo alla nuca e le mani legate dietro la schiena, così come accadde agli ebrei ottant’anni fa a Babi Yar non distante da Kiev per mano d’altri che urlavano anch’essi: “Gott mit uns”, forse non possiamo credere che la Pasqua si esaurisca nei riti e nel ritrovarsi in famiglia, come nulla fosse, pensando che Dio abbia abbandonato migliaia di orfani e vedove. Davanti agli orrori che lacerano il tempo e ci rigettano indietro di secoli, non possiamo ancora immolare la nostra coscienza nelle convenienze elettorali di parte, nell’arzigogolo del distinguere, del dissertare, del dividere, del cercare ragioni dove invece ci sono solo proiettili. Davanti a tutto questo forse dobbiamo invece fermarci e cercare veramente nella Pasqua, sia essa quella cristiana cattolica o ortodossa come quella ebraica o nel riflettere dello spirito laico, il senso del nostro attuale camminare verso il baratro. Dobbiamo quindi prolungare la Pasqua nel tempo che viene e continuare a spezzare gli azzimi con coloro per i quali la voce di Dio è del tutto coperta dal fragore delle bombe. Solo così la ricorrenza non sarà stata vana.