Più che le cicogne volano i falchi sul reparto di ostetricia e ginecologia del Santa Chiara a Trento. Il primario Saverio Tateo (1962), barese, nominato il 30 settembre 2010, da metà giugno del 2021 è in ferie “arretrate” per consentire piena libertà d’azione a una commissione nominata dall’Azienda sanitaria di far luce (tardiva) su denunce e segnalazioni di asserite vessazioni e presunti episodi di mobbing.
Che sia un giovane deputato calabrese (l’on. Paolo Parentela) a chiedere un’ispezione ministeriale (dell’interno e della sanità) a Trento è paradigmatico della situazione allucinante che sta emergendo in taluni settori della sanità trentina. Della quale si è spesso menato vanto (a sproposito) e indicata (agli altri) come modello. Che ci sia qualche eccellenza, come capita dappertutto, è nelle cose. Che ci siano Eccellenze (intese come personaggi da temere e riverire) non è cosa normale. Almeno a queste latitudini.
La scomparsa della dottoressa Sara Pedri (che si teme morta suicida), avvenuta il 4 marzo scorso, sta scoperchiando un verminaio del quale si era avuto, già in passato, qualche sentore. Era stata un’interrogazione in consiglio provinciale a Trento, oltre due anni fa, a scoperchiare il vaso di Pandora. Scriveva il 22 gennaio 2019 il consigliere Filippo Degasperi: “La fuga dei medici dall’unità Operativa di Ginecologia ed Ostetricia sarebbe una realtà da considerare con molta attenzione visto che avrebbe come ovvia conseguenza un continuo turnover. Negli anni recenti sarebbero addirittura 19 i medici ad aver lasciato il reparto”.
La risposta dell’assessora provinciale alla sanità si è fatta attendere due anni e mezzo. È arrivata soltanto ieri (29 giugno 2021), dopo il clamore mediatico su giornali e TV nazionali legato alla tragica scomparsa della dott. Pedri e dopo ulteriori sollecitazioni e interrogazioni di altri consiglieri (oltre a Degasperi, Coppola, Ferrari e Cia).
Segnana: “Dal 2016 al giugno 2021 le dimissioni volontarie dal reparto di Ginecologia del Santa Chiara hanno riguardato 12 medici, 3 infermieri e 47 ostetriche”. Nell’imbarazzo generale, l’assessora divenuta celebre per la lettura in diretta TV del quotidiano elenco di morti e contagiati dal Covid, ha cercato di annacquare la cruda realtà con altre cifre: “Però bisogna contestualizzare: su 2.689 infermieri dipendenti da Apss (che vuol dire: Azienda provinciale per i servizi sanitari), la media di cessazione annua è di 23 a tempo determinato e 34 a tempo indeterminato. Per quanto riguarda le ostetriche che sono 241, la media è stata di 11 dipendenti a tempo indeterminato e 11 a tempo determinato”.
Vi risparmiamo le ulteriori cifre e percentuali sciorinate al Consiglio dall’assessora quasi a voler dire che tutto è normale, che l’ospedale è come un autobus: c’è chi scende e c’è chi sale. No, assessora. L’ospedale è una struttura delicata e la pandemia di Covid che lei si è trovata a dover gestire lo ha dimostrato. Le prossime settimane ci diranno anche se e come saprà gestire (per il tramite dell’Azienda sanitaria) l’esercito degli oltre duemila sanitari “no vax” i quali, a rigor di logica prima che di legge, dovrebbero essere posti in posizione di “non nuocere”.
A proposito: sarebbe di grande conforto se lei con il suo staff e con i vertici dell’Azienda sanitaria passaste qualche ora, magari quelle centrali della giornata, nel “drive through”, il centro vaccinale di Trento sud. Per condividere coi volontari e col personale addetto alla somministrazione del vaccino l’asfalto e la polvere, il caldo e l’afa, al riparo delle mascherine e bardati come si conviene.
Individuare un altro luogo, meno assolato e più rispettoso di vaccinatori e vaccinandi forse è chiedere troppo a chi ha le agende zeppe di appuntamenti e di colloqui. Per cercare e, possibilmente, trovare in tempi rapidi, i sostituti della ventina di primari ospedalieri che se ne sono andati o se ne stanno andando in quiescenza. Certo, li dovrete reperire sulle piazze universitarie perché, avviata la facoltà di medicina in quel di Trento, servono sanitari con il “prof” davanti al “dott”.
Non dovrebbe essere difficile, via. Ci fu un tempo in cui a Trento arrivavano da Padova, poi da Trieste o Ferrara, secondo la provenienza del direttore generale. E anche chi non era primario poi lo diventava. Si racconta che per un posto apicale, e dopo adeguata scrematura, restarono due candidati. Bisognava sceglierne uno e c’era già il nome e il cognome sull’etichetta. Senonché, quello da scartare (tra l’altro era un notorio rompiscatole) aveva presentato un curriculum con oltre duecento pubblicazioni scientifiche. Quello che “doveva” essere scelto ne aveva soltanto una ventina. Sentenza della commissione giudicatrice: “Se il tale ha pubblicato oltre duecento lavori vuol dire che ha tolto tempo all’attività ospedaliera. Pertanto non può essere premiato”.
Così andava il mondo, molti anni fa. Oggi, ne siamo certi, tutto sarà vagliato alla luce del sole. In tempi un po’ più celeri, si spera, rispetto alle ere geologiche passate prima che l’assessora, con qualche imbarazzo (per il tempo passato), decidesse di rispondere all’interrogazione del consigliere Degasperi. Un illustre omonimo, che fu anche presidente del Consiglio italiano oltre che parlamentare a Vienna, raccomandò ai suoi: “Fate il vostro dovere a qualunque costo”. Ma non a costo della normale vivibilità in certi reparti e soprattutto non a costo della vita. Altrui.