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    L’architetto rampante

    Alberto FolgheraiterBy Alberto Folgheraiter16 Giugno 2025Nessun commento4 Minuti di lettura
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    “Il Barone rampante” di casa nostra si chiama Pier. Come Cosimo Piovasco di Rondò, il giovanotto nobile che, dopo un litigio con suo padre, salì tra i rami di un albero per non scendervi mai più, anche il nostro non è “mai (stato) coi piedi per terra”. È il titolo dell’autobiografia che, per i tipi di Saturnia, ha dato alle stampe Pier Dal Rì, architetto per destino, sognatore per indole, contadino (mancato) per passione.  Qualche ascendenza tra la nobiltà di campagna, per restare ai titoli della trilogia di Italo Calvino è un “visconte dimezzato”. Come Medardo di Terralba, tagliato in due da una cannonata nella guerra contro i Turchi, il Pier fa il Visconte Gramo, malvagio con le lobby politico-cooperative, il Visconte buono con amici e laudatores. Un Agilulfo, “il cavaliere inesistente” che sul filo dell’ironia racconta la propria vicenda umana, tra guerre di paese, amori (di uno dei due nonni, in particolare), terre, poderi, vigne. Nella cantina Endrizzi (“l’endrizzi ben via mi” dicevano da quelle parti quando in casa c’era un figlio discolo) alla presentazione dell’autobiografia c’era mezzo mondo politico provinciale di ieri (per capire in anteprima se il “barone rampante”, come Cosimo Piovasco faceva dall’alto la pipì sui passanti, cioè scriveva cose poco nobili). Alla presentazione nel giardino di casa, a San Rocco di Villazzano, c’erano gli amici, seduti su balle di paglia. Con la precisazione, nell’invito: “Non sono graditi i rompi-balle”. Perché, per quella funzione, basta e avanza il Pier.

    La prefazione dell’autobiografia “Mai coi piedi per terra”.

    Pier Dal Rì “Mai coi piedi per terra” (Saturnia editrice)

    Fosse dipeso da lui avrebbe fatto il contadino (e, magari, pure il falegname). Ha seguito il corso della scuola per obbedienza (al padre) più che per passione. Gli è andata bene che, nella vita, ha potuto fare molte cose (non tutte) che lo hanno appagato. Capita, a qualcuno di noi. E quando capita non resta che accendere un cero (alla buona sorte, al caso o, se credente, a qualche santo del calendario). 

    Lui, Pier Dal Rì, ha avuto in sorte qualche mezzo quartino di nobiltà, con terre annesse. Un nonno, paterno, finito in un campo di girasoli nella sterminata steppa russa. Un nonno materno che si è diviso in due e che ha lasciato il segno del suo passaggio (terreno) in Europa e in Australia. Equamente distribuito e tenuto nascosto per una vita. Finché un giorno… a Mezzocorona, borgata pingue di frutti e di vini, golosa di cicaleccio che oggi chiamiamo “gossip”, fece tappa una turista australiana. Si presentò alla reception di un albergo della piana, disse di chiamarsi Fabiola Dalpiaz. Il titolare dell’Hotel “Drago” trasecolò: “Oddio, tale e quale il nome di mia sorella”, disse tra sé. Con un incerto inglese domandò conto all’inattesa turista la ragione della sosta nella Rotaliana. Perché proprio da quelle parti? Capitata per caso? “No, rispose la signora australiana. Sono qui perché cerco tracce di mio papà. Si chiamava Alberto Dalpiaz e mi è stato detto che era originario di questa zona”. 

    Vi risparmiamo il seguito perché lo potete leggere agevolmente da voi tra le pagine autobiografiche di Pier Dal Rì, che si firmava Erpi (anagramma di Pier ma pure radice di erpice, tanto per restare in campagna) sulle pagine del giornale “Alto Adige”, poi “Trentino”, dove ha scritto per una decina di anni. Come capitava, quando capitava, insensibile alla punteggiatura al pari di un Giuseppe Berto, indimenticato autore de “il male oscuro”, che ci capitò di leggere in anni lontani. 

    Avesse frequentato il classico, anziché istituti tecnici, il Pier avrebbe sicuramente affinato la penna perché nei giochi di parole resta un fantasista. Difficile da imbrigliare. Un generoso, nello scritto come nella vita. Godereccio, anzichenò. Ma la vita va vissuta e, se del caso, condivisa. Lo fa a modo proprio, con queste pagine che se avesse ascoltato qualche amico non sarebbero mai nate. Perché non si può scrivere tutto, ma proprio tutto. Si rischia di calpestare qualche sensibilità, qualche suscettibilità, molte gelosie. 

    È che il Pier stravede per sé stesso e per gli amici. Soprattutto per Luca e Linda, i due nipoti ai quali ha inteso lasciare questa storia familiare che, data alle stampe, diventa pubblica. Per fare ammenda di quel narciso cresciuto sotto una pergola della Rotaliana ha deciso di pagare tutto di tasca propria. E se gli amici saranno generosi faranno un bonifico, piccolo o grande che sia, a “Trentino solidale”. Il peccato e la redenzione. Cosa non si farebbe pur di peccare.

    ©iltrentinonuovo.it

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    Alberto Folgheraiter
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    Giornalista e scrittore. Negli anni Settanta redattore al settimanale “Vita Trentina”, alla redazione di Trento de “Il Gazzettino”, direttore responsabile di “Radio Dolomiti”. Dal 1979 al 2010 cronista alla redazione di Trento della Rai, poi capostruttura dei programmi (2007-2010); corrispondente dalla regione (1975-1996) del settimanale “Famiglia Cristiana”. Dal 3 novembre 2022 collaboratore fisso del quotidiano "IlT" del Trentino-Alto Adige. Ha pubblicato 27 libri su storia, tradizioni ed etnografia del Trentino-Alto Adige. È socio di Studi Trentini di scienze Storiche. È socio e direttore responsabile di "Judicaria", la rivista dell'omonimo Centro studi di Tione; e direttore responsabile della rivista "Teatro per Idea" della Cofas, la Federazione del teatro amatoriale Trentino.

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