In vista delle elezioni – il 22 ottobre 2023 – per il rinnovo del Consiglio Provinciale di Trento (35 seggi disponibili per quasi 800 candidati), questo foglio liquido ha scelto di scegliere alcuni candidati di schieramenti diversi. Per proporre loro e ai lettori domande e risposte pertinenti ai temi oggi al centro del dibattito politico-amministrativo. Come è noto, ci sono sette candidati alla presidenza della Giunta Provinciale, appoggiati da uno o più schieramenti elettorali. In base alla legge elettorale vigente, il candidato-presidente che ottiene anche un solo voto in più degli altri conquista la maggioranza dei seggi disponibili. Minimo: 18 consiglieri, massimo 24. Alle opposizioni resterà l’onere di controllo e di opposizione all’interno del Consiglio Provinciale.
Nones-Santuari: candidati per una valle
Mirella Nones (1962), da Grumes, comune di Altavalle. Presidente di “Stella Bianca”, associazione di volontariato diffuso in tutta la valle di Cembra. Già vicepresidente provinciale della Federazione delle Associazioni di Volontariato. Appassionata di sport, ciclismo e camminate in montagna, conosce i sentieri e gli itinerari della valle come pochi. Si è candidata per “Campobase”, la formazione in appoggio al candidato presidente per il centrosinistra Francesco Valduga.
Quanto è stretto il sentiero verso la vittoria alle elezioni, signora Nones?
“Credo sia strettissimo. La sensazione è che l’astensionismo vinca sulla politica. Probabilmente, la delusione maturata in questi ultimi decenni nei confronti della politica ha allontanato i cittadini anche dal voto”.
Oltre alla valle di Cembra dove allarga il suo sguardo e il suo invito a darle il voto?
“Noi miriamo a rappresentare un territorio, una valle, ma lo sguardo si allarga a tutta la provincia di Trento. Segnatamente al vasto mondo del volontariato che credo di rappresentare”.
Che cosa promette ai suoi elettori?
“Fare promesse è da spericolati. Vorrei dare una svolta, trovare una soluzione ai problemi socio-sanitari che nella periferia sono decuplicati dalla mancanza o dalla carenza dei servizi di prossimità.”
Che cosa le chiede la popolazione della val di Cembra?
“Domanda servizi. Il medico, la farmacia, collegamenti frequenti con i centri maggiori. Vuol continuare a vivere in periferia ma con le stesse opportunità di chi lavora e vive lungo la fascia dell’Adige.”
Nella sua terra d’origine e di elezione, a parte qualche lupo, non c’è il problema dell’orso. Eppure la popolazione ha paura. Come se ne esce?
“Affrontare il tema dei grandi carnivori vuol dire parlare alla pancia della gente. Certo che è un problema ma va affrontato con gli strumenti che sono già a disposizione di chi ha in mano il governo della Provincia”.
Lei opera da molti anni nel comparto di supporto alla sanità. La sua, come altre organizzazioni di volontariato, sta conoscendo una crisi strisciante di nuovi rincalzi. Che cosa accadrà il giorno in cui i volontari attaccheranno la giacchetta gialla a un chiodo?
“Se accadesse, il sistema imploderebbe. Il servizio di urgenza-emergenza, così come è strutturato, grava per la maggior parte sulle associazioni di volontariato. Oggi sono in fibrillazione anche a causa del rinnovo delle convenzioni. Noi non vogliamo neanche prendere in considerazione l’ipotesi di un Trentino senza volontari. Tutto il sistema di protezione sociale crollerebbe.”
La sua è una valle costellata di villaggi che si spopolano, di servizi che vengono meno, di un malcontento diffuso. Che cosa farebbe se fosse eletta in consiglio provinciale?
“Mi darei da fare per potenziare i servizi essenziali. Ancora non capisco perché la val di Cembra sia stata esclusa dalla dotazione di una “casa della comunità” in cui accorpare i servizi sanitari (medico di base, pediatra, ginecologo, piccola chirurgia)”.
Il settore del porfido, caratteristica della sponda sinistra della valle dell’Avisio, dopo gli anni delle vacche grasse ha conosciuto la crisi, soprattutto della domanda estera. Poi è stato scoperchiato il vaso di Pandora e si è scoperto che personaggi legati alle cosche mafiose avevano allungato le mani anche sui cubetti. Intanto, Lona-Lases non riesce ad esprimere un sindaco da anni. C’è una ricetta per recuperare la fiducia perduta?
“Difficile. Qui c’è un lavoro da fare con la popolazione, partendo dal basso. Portare qualcuno da fuori e proporlo alla popolazione come candidato sindaco può portare solo alla desertificazione delle urne. È un lavoro lungo che richiederà anni e molta disponibilità al confronto. Da parte di tutti”.
In Campobase, si candida anche Simone Santuari (1969), a lungo sindaco di Grumes, presidente della comunità territoriale della valle di Cembra. Santuari, due candidati di uno stesso comune, anzi di un medesimo paese, Grumes, non sono troppi in una sola lista?
“Probabilmente qualcuno lo pensa, ma Mirella Nones era la candidata ideale. Per dire che il tema della sanità è al centro del nostro impegno. E lei è la presidente dei volontari di “Stella Bianca”, un’associazione di valle che spazia anche sull’altipiano di Pinè. Quanto a me, sono il presidente della Comunità territoriale. Certo siamo entrambi dello stesso paese ma a Grumes, negli anni, si è fatta una bella esperienza di impegno su vari fronti.”
Prima di gettarsi nella mischia elettorale lei ha chiesto un parere ai sindaci della valle di Cembra. Ha ottenuto il via libera all’unanimità. Poi qualcuno si è sfilato. Perché?
“In valle dobbiamo ancora crescere. Storicamente, c’è poca unità. I campanili dominano la vita e indirizzano le azioni. In questi anni ho lavorato su progetti unitari, ma si fa sempre molta fatica”.
Un sindaco contro può spostare dei voti?
“Non tanto, non più almeno. Fino a quindici anni fa il sindaco era un po’ il punto di riferimento della comunità, oggi i simboli ed i riferimenti sono altri”.
La val di Cembra è costellata di villaggi, molti dei quali, negli anni, hanno subito l’esodo e l’abbandono. Che cosa farà se sarà chiamato a Trento per occupare uno scranno in Consiglio Provinciale?
“Sono anni che mi occupo delle piccole comunità. Anche con progetti innovativi: abbiamo aperto negozi, addirittura un ristorante, tutti bei progetti ma se mancano i servizi essenziali crolla tutto. Intanto lavoriamo sulla sanità, due o tre cosette: medici, pediatra, ufficiale sanitario. E se hai una voce in Consiglio Provinciale porti a casa un risultato, sennò non ti ascolta nessuno”.
A proposito di casa, la “casa della Comunità”. Perché voi no?
“È stata promessa a dodici territori in tutto il Trentino. E gli altri? Io non voglio portar via niente a nessuno perché i servizi vanno garantiti a tutti. Quindi fatene una anche in val di Cembra. E poi c’è il tema della mobilità: una sola corsa di pullman al pomeriggio… Per noi non è un problema spostarci a Lavis, Trento, ma dateci la possibilità di farlo. Con servizi di linea compatibili anche con le esigenze della popolazione anziana.”
Lei è stato uno dei più fieri oppositori alla fusione della Cassa Rurale della valle di Cembra con la Cassa Rurale di Trento. Alla luce di quanto accaduto poi, i timori della vigilia sono stati confermati?
“Certamente. Anzi, pensavo che dopo quella battaglia fatta da cinquecento persone ci fosse un minimo di ripensamento. Se mi togli cinque sportelli su sette da parte di una banca che dovrebbe essere al servizio della comunità rurale è chiaro che non ci siamo. Io non guardo solo alla Val di Cembra, guardo a tutto il Trentino. Perché quello che è successo da noi potrebbe accadere anche altrove.”
C’è una lobby della cooperazione?
“Io non so se ci sono i cosiddetti “poteri forti”, è che noi non abbiamo più voce. Molti sono timorosi, paurosi. Anche i piccoli presidenti di cooperativa, quando ci sarebbe da parlare, nelle assemblee, se ne stanno zitti. C’è molta rassegnazione in giro. Sono cambiate tante cose negli ulti anni”.
Per quale ragione?
“Nelle piccole comunità vedo ancora un grande senso di comunità. Tuttavia mi pare che molti abbiano cominciato a pensare più a se stessi che al bene comune. E se non si lavora sui giovani, se non li sproni a fare volontariato, molto è destinato a perdersi per strada.”
C’è anche un problema culturale, no?
“Nella cooperazione si dovrebbe puntare a persone con una solida preparazione anche per contrastare i piccoli “ras” che, diversamente, hanno la strada spianata per fare il bello e il cattivo tempo”.
Parlando con gli elettori si avverte una sfiducia generalizzata. Come si può, a suo giudizio, invertire la disaffezione dalle urne?
“Smettendo di parlare per slogan e invece di fare promesse impegnarsi a proporre delle soluzioni”.
Come andrà a finire?
“Non lo so, so solo che negli ultimi anni nelle valli sono cresciute le “bèghe”. Prima non era così. Fugatti ha la capacità di mettere gli uni contro gli altri. A una comunità viene data un’opportunità a un’altra no. Crescono le gelosie, i rancori. Insomma viene fuori il lato peggiore e questo non va bene”.
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