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    Home»I tempi della cronaca»“Daranno l’addio al vestito”
    I tempi della cronaca

    “Daranno l’addio al vestito”

    Covid-19. La situazione al 20 aprile 2021, in provincia di Trento era di: 43.685 contagiati dall’inizio della pandemia; 40.542 i guariti ma 1.393 le persone morte a causa dell’infezione. Le vittime del 20 aprile sono state 4; 85 i nuovi casi di contagio. Intanto, l’ufficio stampa della provincia autonoma di Trento fa sapere che sono state vaccinate 142 mila persone. Di queste, 41.252 hanno avuto anche la seconda dose
    Alberto FolgheraiterBy Alberto Folgheraiter20 Aprile 2021Nessun commento4 Minuti di lettura
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    Le cifre non rendono la dimensione del contagio. Siamo assuefatti ai numeri al punto da non far più caso all’identità delle vittime. Dietro ogni lutto, al di là della statistica, ci sono nomi e cognomi, volti di congiunti, di conoscenti, di concittadini, di vicini di casa. Ognuno di costoro è morto da solo, lontano dai familiari, lacerato negli affetti. Senza una carezza, senza che qualcuno potesse stringere una mano e accompagnare quell’ultimo, esile, alito di vita. 

    Il comunicato stampa del 20 aprile 2021, anonimo come i volti degli scomparsi, annuncia che dei quattro nuovi martiri trentini della pandemia, tre se ne sono andati da un letto in ospedale. Fa sapere che due erano donne, due uomini. Tutti con un’età media di circa 84 anni. Insomma “vecchi”. Un morto in più, una pensione in meno. Forse, domani, da un necrologio sul giornale si riuscirà a disegnare il volto di qualcuno degli scomparsi.

    La maschera si accompagna con funerali senza corteo, esequie senza abbracci, parole di circostanza distillate dentro un rito abbreviato.

    Eppure chi se ne va, anonimo verso l’ignoto, nel corso della sua esistenza ha dissodato e seminato la terra. Ha fatto errori e dispensato consigli. Ha ascoltato richieste di aiuto e suggerito soluzioni. Ha vissuto, intensamente.

    Quando un vecchio se ne va è una biblioteca che brucia.

    Quante biblioteche sono state incenerite in quattordici mesi di contagi? Quanto caos si è prodotto con decisioni contraddittorie legate a un’impreparazione generale di fronte a un evento soltanto sfiorato dai copioni di film dell’errore e dell’orrore?

    Nel buio dei picchi e delle ondate pandemiche, si sono accesi i fari e le luminarie dell’abnegazione di donne e di uomini votati all’aiuto, legati al giuramento di Ippocrate, relegati notte e giorno dentro scafandri dai quali sgusciavano soltanto due occhi. Lucidi, spesso, per l’impotenza. 

    Nelle corsie degli ospedali, negli ambulatori dei medici di famiglia, si sono contati centinaia di caduti. Molti i sanitari avvinghiati dal contagio. 

    Tra le mille testimonianze raccolte e pubblicate nell’anno zero della nuova era, con l’infezione a fare da pietra miliare (un giorno si scriverà a. C.- d. C., avanti Covid, dopo Covid) si segnala il volume di “Brescia Medica”, allegato al Bollettino dell’ordine dei medici della città lombarda. Si intitola “La linea d’ombra che abbiamo attraversato”. Tra gli altri, Walter Gomarasca, medico ospedaliero, professore all’Università Cattolica, direttore sanitario della Fondazione Poliambulanza, racconta la sua battaglia combattuta nel letto d’ospedale, a un passo dalla rianimazione. Due pagine tratte dal volume “Respiri. Racconti dall’isolamento” (ed. l’Arca di Scholé, giugno 2020). Sono riflessioni da brivido. Ecco qualche frammento: 

    “La mano che trema riesce a scrivere con un’enorme fatica mezza pagina di testamento. Se muoio, dopo una vita spesa in mille luoghi e con tante persone, nessuno verrà al mio funerale. “Un po’ di rabbia ti viene, dai…”, ho pensato.

    […] Non lascerò nulla di scritto, come ho sempre voluto fare e non ho mai fatto. Non un libro, ma un quaderno, un quaderno dove raccontare ai miei figli tutto ciò che ho fatto, le persone che ho incontrato, le scelte e le motivazioni, i sentimenti, gli amori.

    Dei miei genitori ricordo poco, dei miei nonni nulla. 

    Vorrei scrivere un quaderno che contenga i ricordi di una vita. Se muoio, domani sarò anch’io nel mucchio senza aver trovato il tempo per lasciare qualcosa. Noi non siamo i padroni della vita, ne siamo il mezzo di trasporto.

    “Ognuno di noi”, ho pensato, “trasporta un pezzo dell’unica grande vita che si chiama Dio”. A ognuno viene data una piccola parte, la cui ereditarietà non risponde solo alle leggi Darwiniane, ma a quelle più grandi dell’Amore: un’anima che cresce con le esperienze, le persone, i sentimenti.

    “Un’anima che entra in quelli che vengono dopo di noi”, ho pensato.

    Questo mi consola. La mia anima sarà in quella di mia moglie e dei miei figli, come quella dei miei genitori è in me.“Ci sarà un funerale?”, ho pensato e ho pure sorriso. “Béh, daranno l’addio al vestito che l’ha contenuta. Nulla più”. 

    importante
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    Alberto Folgheraiter
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    Giornalista e scrittore. Negli anni Settanta redattore al settimanale “Vita Trentina”, alla redazione di Trento de “Il Gazzettino”, direttore responsabile di “Radio Dolomiti”. Dal 1979 al 2010 cronista alla redazione di Trento della Rai, poi capostruttura dei programmi (2007-2010); corrispondente dalla regione (1975-1996) del settimanale “Famiglia Cristiana”. Dal 3 novembre 2022 collaboratore fisso del quotidiano "IlT" del Trentino-Alto Adige. Ha pubblicato 27 libri su storia, tradizioni ed etnografia del Trentino-Alto Adige. È socio di Studi Trentini di scienze Storiche. È socio e direttore responsabile di "Judicaria", la rivista dell'omonimo Centro studi di Tione; e direttore responsabile della rivista "Teatro per Idea" della Cofas, la Federazione del teatro amatoriale Trentino.

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