Addio a Francesca Ferrari. La “prof”, vissuta 87 anni, è morta d’infarto, domenica 28 giugno 2021. Ha attraversato il mondo del volontariato e della politica trentina con entusiasmo e determinazione. Sempre dalla parte degli ultimi. Nata in Francia, il papà ingegnere, la mamma veneziana, si era impegnata nell’insegnamento e nell’aiuto al Terzo mondo. Aveva fondato “Trentino solidale” e la solidarietà è stata la cifra di tutta la sua vita. Intensamente vissuta. I funerali si terranno martedì 6 luglio, a Trento.
La generosità e l’incoscienza. Quando il neopatentato aveva detto che l’indomani voleva andare nelle Giudicarie a trovare la sua quasi morosa, lei gli aveva dato le chiavi della vettura. Una “Simca 1000” di colore verde, nuova fiammante. “Basta che me la riporti entro il tardo pomeriggio” gli aveva detto con quella “erre” molto francese che era un po’ il suo marchio di fabbrica.
Francesca era fatta così: generosa e incosciente. Nel gruppo missionario diretto da “don Valantèn”, come lo chiamava lei, il neopatentato era tra i più giovani. Si incontravano la sera, una volta la settimana, in via Calepina a Trento. Una ventina di persone, di varia estrazione sociale. Lei, la Francesca, già oltre la quarantina, era un vulcano di iniziative e di idee. Insegnava all’ENAIP ma dava lezioni a molti somari. Gratis, naturalmente.
Il neopatentato era salito al volante della vettura, una “macchina” francese, ça va sans dire, e si era diretto nelle Giudicarie. Fino alle Sarche il viaggio era sembrato agevole. Ma sulle salite del Limarò, le curve parevano tutte troppo strette e troppo brutte. Un paio di volte aveva fermato l’auto, era sceso per controllare se oltre la curva a gomito c’era sufficiente spazio per transitare perché gli pareva che la strada finisse a precipizio nella gola della Sarca. Procedeva a passo lento e la coda degli automobilisti che lo seguivano pareva infinita. L’opposto della loro pazienza che era finita da un pezzo. Uno strombazzare di clacson, la maggior parte targati “Fiat”, lo accompagnò fin verso Ponte Arche quando, sudaticcio e ansimante, il neopatentato ebbe il buon gusto di tirarsi da parte e lasciar passare quella carovana inbufalita.
Come dio volle, arrivò a destinazione. Un bacio alla quasi-morosa, la spiegazione dettagliata di come aveva ottenuto in prestito e per poche ore la vettura, sguardi languidi e timide carezze. Più tardi, molto tempo dopo, il temerario avrebbe capito che quel viaggio al volante della “Simca 1000” era stato una follia da innamorato. Ad ogni buon conto, salutata la “sua” ragazza, il neopatentato si rimise al volante per rientrare in città. L’automobile era parcheggiata verso la Val Rendena, Trento era in altra direzione. Già, ma la retromarcia dov’era? Ecco, se non avete mai provato una vettura “straniera” non potete capire il problema. Prova e riprova, la retromarcia non c’era. Finì che il poveretto, con l’aiuto di un passante, a prezzo di grande fatica girò l’autovettura. Spingendola a mano. Come la “Simca 1000” fu rivolta verso Trento, innestò la prima e lentamente, molto lentamente, affrontò il viaggio di ritorno.
Riportò la vettura alla legittima proprietaria, con legittima soddisfazione (della proprietaria, soprattutto) perché la carrozzeria, strano ma vero, risultava intonsa.
Quando, timidamente, l’improvvisato autista azzardò un “su queste vetture francesi la retromarcia pare introvabile”, la Francesca si illuminò con quel sorriso che sapeva di comprensione e di commiserazione. “Parbleu”, che vuol dire “perbacco”, “la retromarcia è in avanti, sulla sinistra”.
Addio, Francesca. “Chapeau”! Avevi proprio una marcia in più.