Nella vita ci sono circostanze che impongono di schierarsi, soprattutto quando sono in gioco questioni fondamentali sul piano dei valori e della civiltà. Quella che stiamo vivendo è una di queste circostanze, rispetto alla quale non possiamo sottrarci fingendo di non capire e di non vedere.
Non è questo il tempo degli equidistanti di mestiere, dei cerchiobottisti delle convenienze e di coloro che sentenziano a prescindere. Di costoro – dei vigliacchi da tastiera e di quelli che comunque sia sono sempre “contro” – è già gonfio a sufficienza il presente, come dimostrano gli esempi offerti ogni sera dagli affollati salotti televisivi dove tutti blaterano e nessuno ascolta.
Posto che la guerra rimane comunque e sempre il mancato approdo della ragione, ciò che sta avvenendo nell’area medio-orientale, è qualcosa di ben diverso da tutto quello al quale quasi ottant’anni di contrapposizioni e di violenza ci hanno abituati. Di fronte alle immagini che abbiamo visto, paiono insufficienti anche le categorie della “barbarie” e del “crimine”, perché la scelta del terrorismo islamista di Hamas pone questo dramma perfino fuori dalla storia. Qui non c’è un soldato, per quanto anche irregolare, che si batte contro un altro soldato. Qui c’è una incontenibile mattanza, che nulla ammette se non la distruzione totale e definitiva dell’ebraismo e, se sostituiamo alla Polonia l’Ucraina ed Israele alla caccia nazifascista all’ebreo, possiamo constatare l’emergere di troppe preoccupanti similitudini con gli anni Trenta/Quaranta del secolo scorso, similitudini che riportano alla memoria il pervicace perseguimento della “Endlösung der Judenfrage”, la Soluzione finale della questione ebraica.
Davanti ad un simile scenario è difficile immagine spazi di dialogo, quando il “nemico” viene considerato degno solo del pesticida e dell’espulsione dal tempo e dal suo scorrere.
È questa situazione che chiama quindi al dovere di scegliere da che parte stare, pur nella consapevolezza degli errori e delle violenze reciprocamente compiute nel passato. Israele è un mondo imperfetto e carico di contraddizioni. È un mondo mutato profondamente con l’“Aliyha” russa e solcato oggi da fanatismi religiosi che non sono da meno di tanti altri. È una realtà complessa che chiede protezione ad un esercito dal quale sono esentati tutti quegli ortodossi, che chiedono sicurezza e difesa proprio a quello stesso esercito. È una società che viene da una storia lunga e da un dolore plurisecolare. Israele ha sbagliato e sbaglia come tutte le democrazie del mondo, ma per quanti errori gli si possano imputare non è nemmeno pensabile di cancellarlo dalla geografia mondiale, come predica Hamas ed il fondamentalismo islamico della “jihad”, cioè la “guerra santa” scatenata contro il sionismo, ma soprattutto contro l’occidente ed il suo modello di vita e di sviluppo.
Schierarsi vuol dire decidere dove collocare la nostra coscienza: dalla parte di chi vuole distruggere tutto e comunque o dalla parte di chi prova, fra mille difficoltà ed incertezze, a cercare un futuro diverso e migliore, anche attraverso l’irrinunciabile formula dei “due popoli, due Stati” che, accettata dal giovane Stato di Israele e fin dal 1947, accompagna la complessità israelo-palestinese.
Scegliere insomma, non voltare altrove lo sguardo. Lo facemmo davanti allo sventolio delle svastiche che perseguitavano ed ammazzavano, non solo bambini, donne e vecchi, ma il senso stesso dell’umanità. Gli esiti di quell’indifferenza portano all’esplosione del presente, dalla quale non c’è salvazione senza scelta.