Al di là di qualche rievocazione di circostanza, il 50.mo anniversario del “golpe” in Cile pare essere scivolato in quell’indifferenza, che sembra ormai la caratteristica prevalente di questo presente incerto e confuso. Ricordare però è un dovere e una modalità irrinunciabile per dare valore ai diritti umani ed alla democrazia ed è con questa consapevolezza, che proviamo qui a tratteggiare un breve profilo della tragica vicenda di una delle più spietate e sanguinarie dittature del secondo Novecento. Anche perché, come racconteremo in un secondo contributo storico, il Cile fa parte pure della storia del Trentino dell’emigrazione.
La serie degli eventi che porta al “colpo di Stato” in Cile, trova la sua origine nelle elezioni presidenziali di tre anni prima. Seppur con uno scarto minimo, prevale infatti la coalizione di “Unidad Popular”, che elegge alla Presidenza della Repubblica Salvador Guillermo Allende Gosses, prima personalità dichiaratamente di formazione socialista posta, dal voto democratico, alla guida di un Paese sudamericano.
“Unidad Popular” è una coalizione eterogenea che fa riferimento al pensiero socialista e progressista e ricomprende il Partito Socialista, quello Comunista, i Radicali, il Movimento di Azione Popolare Unitario, il Partito Social-Cattolico e l’ala sinistra della Democrazia Cristiana cilena. Allende riesce nel difficile compito di riunire queste forze, per battere le grandi forze della destra che hanno governato per decenni il Cile, tutelando soprattutto i loro interessi commerciali.
Figlio di una famiglia della borghesia liberale e progressista, Allende si laurea in Medicina e Chirurgia e ben presto viene assorbito dalla passione politica. E’ fra i fondatori del Partito Socialista, del quale diviene poi Segretario nazionale, ricoprendo poi incarichi di governo come Ministro della Sanità, per diventare infine Presidente del Senato e Presidente della Repubblica. Sposato, è padre di tre figlie e di una nipote, la scrittrice Isabela Allende, che vive in casa sua dopo la morte dei genitori.
La sua politica si connota subito per alcune scelte strategiche come quella della nazionalizzazione, senza alcuna compensazione, delle imprese estrattive del rame, fortemente partecipate dagli interessi del capitale statunitense. Ma non solo. Allende promuove una profonda riforma del sistema sanitario nazionale spingendo in direzione di una sanità pubblica e per tutti, in opposizione al modello della sanità privata di stampo anglosassone; disegna un progetto di innovazione del sistema scolastico e prova anche a mettere mano ad una revisione della politica agraria, segnata dalla piaga del latifondismo. È questa la “via cilena al socialismo” che incontra la più accanita opposizione dei grandi proprietari, dei ceti medi e della Chiesa cattolica, spaventata dall’eccessiva inclinazione a sinistra del governo che si relaziona con Fidèl Castro e tesse rapporti con l’esperienza cubana.
I primi segnali della politica economica promossa da Allende sono favorevoli ad una ripresa del Cile, che vede crescere il proprio “prodotto interno lordo” ed assiste ad una contestuale frenata dell’inflazione. Ma solo un anno dopo, nel 1972, è proprio l’inflazione che riprende quota e favorisce, anche grazie ai prezzi calmierati voluti dal governo per i beni essenziali, un fiorente “mercato nero” dei generi alimentari e delle prime necessità. A nulla servono i rialzi degli stipendi, subito divorati dall’inflazione, mentre calano le esportazioni, anche per la caduta del prezzo del rame sul mercato internazionale e crescono invece le importazioni. È una situazione sempre più difficile e complessa che sfocia quindi in una serie di scioperi ed in un pericoloso malcontento sociale, ampiamente alimentato dalle forze di opposizione. Ciò nonostante, nelle elezioni parlamentari del 1973 “Unidad Popular” vede crescere il proprio consenso fra le masse. Si tratta di un segnale preoccupante per il conservatorismo cileno, che spinge la D.C. irrimediabilmente verso il Partito Nazionale e la costituzione della “Confederacion Democratica”, che esercita un ostruzionismo esasperato, per portare alla paralisi le istituzioni e l’intero Paese.
È in questo clima pesante che il 29 giugno 1973 un reggimento corazzato si ribella a circonda la “Moneda”, ovvero il palazzo presidenziale, a Santiago del Cile. Si tratta di un primo tentativo di “golpe”, passato alla storia come “Tanquetazo” e che porta comunque a rivolgimenti importanti sul piano istituzionale e politico, con la nomina del gen. Augusto Pinochet al vertice dell’Esercito. Ma la crisi, anziché placarsi, aumenta di intensità, fino a giungere ad uno scontro costituzionale quando la Corte Suprema emette un “pronunciamento” ostile al governo e alla sua politica. Nel contempo, il 22 agosto, i parlamentari della “Confederacion Democratica” rivolgono un pubblico appello ai militari, affinché venga posta fine ad una situazione che rischia di minare “le basi essenziali della coesistenza democratica del Cile”.
Allende risponde difendendo il proprio operato, ma sottolineando anche “le intenzioni sediziose di certi settori” ed appellandosi quindi “ai lavoratori, a tutti i democratici e ai patrioti” per la difesa della Costituzione e della legittimità del governo. Ma non serve a niente.
I militari, con l’assistenza palese ed il sostegno economico della C.I.A., continuano a tramare nell’ombra, allo scopo di mettere a punto quel “colpo di Stato”, che esplode la mattina dell’11 settembre con l’assedio della “Moneda” dove il Presidente si è asserragliato con alcuni amici, fra i quali lo scrittore Luis Sepulveda ed i suoi collaboratori più fedeli. Dopo alcune ore di resistenza, Salvador Allende si uccide, ponendo così fine all’esperienza rivoluzionaria della “via cilena al socialismo”.
È la “Giunta militare” dei comandanti delle varie Armi, guidata dal gen. Augusto Pinochet, che si impossessa quindi del potere. Il giorno dopo i militari prendono la guida dei dicasteri ed il 13 settembre viene sciolto il Parlamento. La “Giunta militare” riassume così in sé anche il potere legislativo, oltre a quello esecutivo e giudiziario: inizia la lunga notte della dittatura. Ogni opposizione viene repressa e lo stadio nazionale diventa uno spaventoso Campo di concentramento, dove gli interrogatori sono ritmati solo dalla tortura. Stupri, pestaggi, sadismo, arbitrii e omicidi diventano il pane quotidiano del regime. 130 mila persone vengono arrestate nel primo triennio del “golpe” e migliaia sono i “desaparecidos”, gettati nell’oceano dagli aerei militari, mentre gli orfani degli oppositori arrestati vengono “assegnati” alle famiglie dei carnefici: un dramma nel dramma di incalcolabile sofferenza.
Il “golpe” ha una enorme risonanza internazionale. Moltissime sono le condanne delle democrazie e l’ambasciata d’Italia diventa un rifugio per molti che scappano dall’orrore. La generazione di chi scrive ricorda ancora le melodie andine e tragiche che gli “Intillimani” veicolano in tutto il mondo. “El pueblo unido jamas sarà vencido” si canta nelle piazze, mentre gli U.S.A. riaffermano la loro influenza strategica e, attraverso l’“Operazione Condor” della C.I.A., ribadiscono l’impegno ad impedire qualsiasi forma di governo di ispirazione socialista nel continente americano.Diciassette anni dopo, un plebiscito porta alla fine del regime e l’11 marzo 1990 Pinochet si dimette dalla Presidenza, anche se mantiene il comando supremo delle Forze armate. Nominato “Senatore a vita”, viene arrestato a Londra, su mandato del giudice spagnolo Balthazar Garzon, per “crimini contro l’umanità”. Dopo un periodo agli arresti domiciliari, ritorna nel 2002 in Cile, dove evita ogni processo, fino a quando muore, impunito, nel 2006. Salvador Allende è già morto allora da trentatrè anni, ma la sua memoria rimane viva, nel suo appello finale: “Il mio ricordo sarà quello di un uomo degno, che fu leale con la Patria. (…) Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano. Sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento.”