Sabato 26 agosto passerà alla storia, la modestissima storia trentina di questi anni, come il giorno nefasto della certificazione – dichiarata, scritta e firmata da un gruppo di sindaci del Trentino occidentale – che l’Autonomia trentina ha esalato l’ultimo respiro. E noi la rimpiangiamo con un sospiro che diventa un singhiozzo per come sia stato stracciato ogni legame, perso ogni pudore, distrutta ogni illusione, vanificata ogni promessa elettorale. I sindaci delle Giudicarie e delle valli del Noce hanno implorato un ministro in vacanza a Pinzolo, prodigo di promesse e onusto di medaglie al valore sulla sua parola, di intervenire sul Governo perché gli orsi problematici possano essere abbattuti. “Ne parlerò fin da lunedì in Consiglio dei Ministri, a Roma” ha promesso il ministro ai respingimenti e all’aiutiamoli a casa loro. Come si è visto. Ma il 26 agosto, al di là delle promesse, il Trentino, grazie all’attuale governo provinciale ha perso la faccia e l’orgoglio dell’autogoverno che i Padri fondatori avevano faticosamente conseguito. Temporibus illis. Al punto che perfino l’orso della fontana di Zuclo è rimasto… di pietra. Come il Golem, del resto.
Se un nutrito gruppo di Sindaci decide di scrivere una lettera ufficiale ad un Ministro alle Infrastrutture (i cari, vecchi Lavori Pubblici) che in materia di fauna selvatica forse non è il più competente, superando così ogni confronto con il Presidente della Provincia e di fatto certificando la sua immobilità e l’assenza di ogni volontà di agire, ciò significa riconsegnare a Roma le chiavi della nostra autonomia. Trento non sa, non vuole, non può, non è in grado di fare nulla e allora intervenga lo Stato. Quella lettera è, in sostanza, il certificato di morte dell’autonomia speciale, incapace totalmente di usare gli strumenti che già ha a disposizione e che sono gli stessi richiesti dai Sindaci al governo. Se forse quest’ultimi, esasperati dall’immobilismo del Presidente, sono comprensibili, non lo è il silente “de profundis” del “Governatore”, chiuso nel tormento del non essere cannibalizzato dai suoi “Fratelli” e nelle sue autobiografie.
Una resa ignobile, senza combattere, senza provare percorsi autonomi, senza il pudore di una storia ricca di “resistenza” all’invadenza del centralismo e dello statalismo. Nel silenzio totale ( sarebbe troppo sperare almeno imbarazzato) degli autonomisti sotto le insegne del PATT.
L’autonomia speciale muore così, in un caldo giorno estivo. Officiano le esequie un Ministro che non ha le competenze istituzionali per rispondere a quella lettera ed un Presidente solo interessato al proprio personale destino. La cerimonia è accompagnata dal canto funebre di un gruppo di Sindaci che non sa più a che Santo votarsi. Non fiori, ma opere (elettorali) di bene.
Il Golem