Povere vittime, poveri assassini. Poveri noi. Due donne aggredite e trucidate da una furia omicida in pochi giorni a Noriglio e Rovereto. Entrambe per mano di immigrati e questo “vizio” d’origine complica il ragionamento.
Cambierebbe qualcosa se, invece di chiamarsi Nweke Chukwuka, 37 anni, immigrato dalla Nigeria, o Ilir Zyba Shehi, di origine albanese, avessero nome e cognome “trentino” gli assassini di Iris Setti (60 anni, impiegata di banca, uccisa a Rovereto, mentre attraversava un parco pubblico, la sera di sabato 5 agosto) e di Mara Fait (l’infermiera di 63 anni, uccisa a Noriglio, sulla porta di casa la sera di venerdì 28 luglio)?
Avremmo due vittime, trucidate da una furia incontrollata e incontrollabile, ma avremmo due criminali sui quali, probabilmente, sarebbe difficile innervare l’attacco politico e consentire agli sciacalli, che saltellano e ululano quando la cronaca consente loro di mettersi in mostra, di accusare sempre gli altri e mai sé medesimi. Chi accusa fa parte di una classe politica che dovrebbe e avrebbe dovuto mettere mano ad azioni di prevenzione. Le parole volano, le parole, talvolta, sono pietre.
In questi giorni, da destra, si è assistito a un crescendo di violenza verbale nei confronti del sindaco di Rovereto, Francesco Valduga, che si spiega, ma non si giustifica, solo perché è il candidato-presidente del centro sinistra alle prossime elezioni provinciali. E che invece avrebbe bisogno di sostegno e di appoggio bipartisan perché è il sindaco di una città e di una comunità straziate.
Nessuna voce, tanto per esseri chiari, sulle politiche di smantellamento dei servizi sociali, di sfascio della psichiatria di prossimità, di mani legate da leggi e cavilli non già ai potenziali assassini ma a chi dovrebbe prevenire tutto quanto accaduto.
È facile e fors’anche inevitabile riandare alla malattia psichiatrica come spiegazione possibile dei due sciagurati delitti. Più difficile predisporre interventi e azioni di contrasto.
Nel caso di Noriglio, a sollevare la mano dell’assassino hanno fatto da terreno di coltura pessimi rapporti di vicinato che si sono esacerbati con il passare dei mesi e degli anni.
A Rovereto, l’assassino ha scaricato la sua furia a caso. Poteva capitare a chiunque fosse transitato in quel momento dai giardini di Santa Maria, sul Lungoleno. E questa convinzione diffusa fa da moltiplicatore dell’orrore e del senso di frustrazione e di insicurezza che alberga in ciascuno di noi. Soprattutto la sera, soprattutto quando si avvicina qualcuno con pigmentazione diversa dalla nostra.
Se poi si scorrono le cronache e le puntuali ricostruzioni dei colleghi, lo sconforto è inevitabile.
“Perché era libero”? si chiede il sindaco Valduga, in una intervista a Matthias Pafaender, sull’Adige di martedì 8 agosto, il quale argomenta: “Nweke Chukwuka è una persona molto nota alle forze dell’ordine. Numerosi i precedenti penali a suo carico. La maggior parte per reati violenti.” Si viene a sapere che, nel corso degli anni, si era cercato di procedere a mandarlo via dall’Italia ma una serie di cavilli giuridici e di pastoie burocratiche ne avevano impedito l’espulsione.
Così è e così sarà, probabilmente, anche in futuro, in presenza di episodi e persone “problematici”. Adesso si convocano comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica. Sguardi pensosi, parole di circostanza, inviti alla vigilanza. Tutto già visto, tutto scontato. E intanto, il giorno dopo l’omicidio, a pochi passi dal sangue ancora fresco, i soliti noti avevano ripreso lo spaccio, le scorribande, le risse. In attesa del prossimo delitto, del prossimo sciacallo del giorno.